laR+ L'intervista

‘Non è coraggio, ho solo fatto il mio dovere’

Lugano Animation Days: ‘Tufo’, in un corto la storia di Ignazio Cutrò, imprenditore siciliano che ha sfidato la mafia diventando testimone di giustizia

In sintesi:
  • Il cortometraggio di Victoria Musci è una storia umana e di mafia in cui il cartoon si sposa con il reale (alla maniera di Roger Rabbit, per intenderci)
  • Cutrò: ‘In un Paese normale, noi testimoni di giustizia saremmo il fiore all’occhiello delle istituzioni, forse ogni anno andremmo a mangiare il panettone con il presidente della Repubblica’
‘Tufo’, tra animazione e realtà
10 novembre 2023
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Per strada c’è un blocco di tufo e il trattore si ferma. L’amorevole padre alla guida tranquillizza il figlioletto: “È che uno le cose quando non le vede chissà come se le immagina. Poi le vede e capisce se c’è da avere paura oppure no. È come le persone, Ignazio mio, tu se le vuoi capire, negli occhi le devi guardare, e gli occhi parlano meglio delle parole”. Il trattore è vero, la strada pure e il blocco di tufo anche. Ignazio invece è un cartone animato e così la sua famiglia e gli altri personaggi di ‘Tufo’, cortometraggio animato scritto, diretto e disegnato da Victoria Musci, storia vera di Ignazio Cutrò, imprenditore edile siciliano che ha denunciato i suoi estorsori, finte vittime di mafia. “Forse aveva ragione Giovanni Falcone quando diceva che il primo mazzo di fiori che arriva è quello dell’assassino”, dirà un giorno Cutrò raccontando la sua storia in tv. Con gli aguzzini in cella, il paese gli volta le spalle, nessuno lo fa più lavorare, l’azienda di famiglia va in rovina; grazie al supporto di giornalisti e magistrati, i Cutrò – che non hanno sborsato un solo centesimo di pizzo – diventano testimoni di giustizia senza lasciare la Sicilia sotto falso nome, ma restando nella propria terra, faticosamente, e facendo un passo in più: scrivere un disegno di legge che consenta a chi come Ignazio, espostosi contro la mafia da semplice cittadino, di lavorare nelle pubbliche amministrazioni. Legge ancora in vigore in Italia su scala nazionale.

Trasmesso in maggio da Rai Kids in occasione della Giornata per la legalità, ‘Tufo’ è transitato dal festival dell’animazione per eccellenza, quello di Annecy in Francia, ma anche per i Lugano Animation Days, fino a domenica allo Studio Foce, occasione nella quale abbiamo incontrato regista e protagonista, che di coraggio – Ignazio – nemmeno vuole sentir parlare: «Il mio non è coraggio, è fare il proprio dovere nei confronti della propria famiglia e delle istituzioni», esordisce. «Resto convinto del fatto che non devo essere io a lasciare la mia terra, non sono le persone oneste a doversene andare, semmai i mafiosi. E penso anche che quella parte di Stato deputato a farlo deve essere così coraggiosa e forte da mandare via loro. Perché la gente onesta denuncia, il mafioso va in galera, poi esce e torna più forte di prima».

L’intervista/1

‘Vittime di mafia vive’


Ignazio Cutrò

Parlando della propria condizione, Ignazio Cutrò dice che c’è un fraintendimento, una pericolosa affinità lessicale di cui tenere conto, quando si parla di testimoni. «Il ‘testimone di giustizia’ è una persona perbene, a differenza del ‘collaboratore di giustizia’, più volgarmente detto ‘pentito’. Se lo Stato fa entrare in un programma di protezione un testimone di giustizia e lo allontana da casa, allora abbiamo perso tutti». Dei due programmi di protezione disponibili in Italia – quello da attuarsi nella località di residenza e quello in località protetta – i Cutrò sono stati i primi testimoni di giustizia a scegliere di restare. Da lì è iniziata quella che Ignazio chiama «una battaglia di civiltà», che per gradi ha portato alla legge di cui si parla anche nel corto, e che è nata con questo intento: «Nel momento in cui il testimone di giustizia fuoriusciva dal programma di protezione, non aveva né arte né parte e si ritrovava nato in un posto qualsiasi del mondo, con un curriculum qualsiasi; di panettiere, per esempio, senza avere idea di cosa fosse un panificio. Abbiamo detto che non ci avrebbero dovuto regalare soldi, che non siamo persone che vogliono vivere alle spalle dei contribuenti. Vogliamo solo la possibilità di poter tornare a fare gli imprenditori, e se qualcuno non dovesse farcela, lo Stato lo aiuti in forma di stipendio, così che la persona si alzi la mattina, vada a lavorare, contribuisca all’economia nazionale, si senta realizzato e non un verme. La Sicilia è stata la prima regione al mondo a riconoscere le vittime di mafie vive».

Per quanto si possa parlare di felicità, ‘vittime di mafie vive’ è definizione che a noi pare felicissima. «È così, ci siamo, esistiamo, siamo vivi benché qualcuno ancora non lo voglia accettare. In un Paese normale saremmo il fiore all’occhiello delle istituzioni, forse ogni anno andremmo a mangiare il panettone con il Presidente della Repubblica. In Italia invece, ogni tanto qualche amministrazione cade per infiltrazioni mafiose, o si sente dire che si vogliono portare i collaboratori di giustizia nelle scuole. È una follia: c’è il rischio che un giovane pensi che si può delinquere e poi pentirsi, che se ti penti lo Stato ti dà dei soldi e diventi un Vip che gira le scuole. Dobbiamo stare molto attenti».

Beata testardaggine

Che sensazione si prova a diventare un cartone animato, qual è stata la sua reazione alla fine di ‘Tufo’? «Victoria Musci è riuscita a farmi piangere», risponde Cutrò. «È stata così brava che questo che chiamano cortometraggio, ogni volta che lo guardo, per me dura dai dodici ai quindici anni. È stata brava anche perché praticamente tutto quello che accade nel cartone animato è reale, perché è stato girato a casa nostra e perché ci ha fatto fare le comparse». Quando, dieci anni prima della nascita del film, Victoria si è presentata ad Agrigento per illustrare il progetto, Ignazio si è trovato davanti una ragazzina esile, timida. «Noi qui la chiamiamo ‘ffruntusa’. Mi ha detto che avrebbe voluto raccontare una parte della mia vita e quando ci ha fatto sapere che avrebbe cercato finanziamenti per il corto io mi sono messo a ridere». Pare che di finanziamenti ne siano arrivati ben pochi. «Testardamente, ha lavorato per anni e nella sua testardaggine io mi sono rispecchiato». E i Cutrò che si erano ripromessi di non aprire più le porte di casa alle telecamere, hanno fatto un passo indietro.

Dopo tutto questo lottare, chiediamo a Ignazio se qualcosa sia cambiato a Bivona, il paese che gli ha voltato le spalle. «È cambiato che prima ero sbirro, confidente di questura, pezzo di m*****, pentito. Oggi sono pentito, pezzo di m****, confidente di questura, sbirro. La somma è la stessa. Io e la mia famiglia siamo rimasti lì perché è casa nostra, ma dico sempre che abitiamo in Svizzera, e oggi posso dire che sono in Svizzera davvero e mi sento a casa mia. Per strada, a Bivona, saluto chi mi saluta e saluto anche chi sputa per terra quando mi vede». Dice di essere a Lugano perché ha capito che ci sono ragazzi che gli vogliono bene e che lui è disposto a fare qualsiasi sacrificio per raccontare loro la sua storia.

L’intervista/2

‘C’era un uomo disposto a parlare’


Victoria Musci

«Ho iniziato questo progetto molti anni fa non conoscendo nemmeno troppo bene la vicenda. Il momento fatale è stato l’incontro ad Agrigento nel 2014, quando rimasi colpita più dalla storia umana che dalla tematica mafiosa. Pensai che fare un film sarebbe stato necessario». Victoria Musci è autrice e regista. Arriva a ‘Tufo’ dopo due corti di cui uno in stop motion, tecnica che avrebbe applicato anche alla storia di Ignazio, se non fosse che qualcuno le ha consigliato di dare priorità ai suoi disegni. «Il mio linguaggio è principalmente il disegno, nel corso della mia vita ho visto film come ‘Valzer con Bashir’ e ‘Persepolis’ che mi hanno toccata profondamente per la loro capacità di rendere gli argomenti difficili e pesanti molto più accessibili proprio grazie all’animazione. Volevo raggiungere i ragazzi, gli adolescenti, «e un cartone animato è più accessibile che non un documentario camera in mano».

Libera

Victoria ha fatto il percorso inverso dei siciliani saliti a Torino, è una torinese scesa in Sicilia, ce l’hanno portata le vicissitudini di Ignazio e della sua famiglia e, ancor prima, il coinvolgimento della giovane artista con Libera, il cartello di associazioni contro le mafie nato nel 1995. «Ho origini napoletane e scozzesi, ma sono cresciuta a Torino e per andare a trovare mia nonna ogni volta passavo davanti alla sede di Libera, chiedendomi cosa mai fosse». Nel 2014, proprio disegnando per l’associazione, Victoria espresse il desiderio di andare sul posto, sentendosi rispondere che sarebbe stato troppo pericoloso. Fu un volontario a dirle che c’era un uomo che sarebbe stato disposto a parlare, diversamente da altri testimoni di giustizia che avevano scelto di non restare sul posto, per sentire i quali si sarebbe aperto un iter di autorizzazioni ministeriali e più.

Dieci anni dopo il desiderio, ‘Tufo’ è una bellissima realtà in cui il cartoon si sposa con il reale, alla maniera di Roger Rabbit, per intenderci: «Non ho fatto il film da sola, devo tanto alla squadra di Ibrido (studio di animazione torinese, ndr) e ai co-produttori italiani e francesi. La scelta della tecnica è legata soprattutto al voler mostrare i luoghi reali, quelli nei quali si sono svolte le vicende. Se quel mondo lo avessimo disegnato, ci saremmo persi la sensazione di verità e di realtà di tutto. Le case, la campagna, i paesaggi sono l’aspetto documentaristico». Victoria dice che voleva dare veridicità al film, Ignazio ci ha messo la faccia. Così ha fatto anche la sua terra.

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