laR+ il mufti said ismagilov

‘Costretti alla guerra, salviamo la dignità’

Il leader spirituale musulmano arruolato nella Difesa territoriale a Kiev: ‘Questa è anche la nostra terra. Dobbiamo difenderla’

Il mufti Ismagilov
(Anna Korbut)

Ucraini di tutte le fedi stanno combattendo insieme per difendere la madrepatria. Said Ismagilov – figura di spicco della comunità locale islamica – è dal 2009 il mufti dell’Amministrazione spirituale dei musulmani d’Ucraina (Umma). Ismagilov, come la maggioranza dei suoi correligiosi ucraini è un sunnita che segue la corrente al-Wasati, un islam centrista e moderato, che crede nell’equilibrio e nel rifiuto di estremismi e radicalismi.

Nel 2013 e 2014, durante Euromaidan, o – come la chiamiamo qui – la Rivoluzione della Dignità, il mufti Ismagilov stava con i manifestanti. Dall’inizio di questa guerra si è arruolato nella difesa territoriale di Kiev. Insieme a un gruppo di volontari ha anche creato la fondazione benefica "Le ali della vittoria", il cui obiettivo è comprare medicine, giubbotti antiproiettile e tutto quel che può servire per sopravvivere a una guerra. È un modo come tanti per aiutare la gente: ognuno fa come può, e tanti, tantissimi, si arruolano nella Difesa territoriale.

‘Mi chiedono uniformi e medicine’

Il mufti Ismagilov ha le idee chiare: "I musulmani d’Ucraina sono e si sentono parte dell’Ucraina come qualsiasi altro. Ci sono paramedici musulmani al fronte, cappellani militari, arruolati sia nelle forze armate che nelle brigate civili. Tantissimi fanno volontariato e la gente si fida di noi. Personalmente vengo chiamato decine di volte al giorno: mi chiedono di tutto, dalle uniformi agli elmetti, dalle protezioni alle medicine. La nostra è una rete ampia, con migliaia di persone che si adoperano su tutto il territorio. Essendo una persona nota, cerco di usare la mia popolarità per arrivare alla cosa più importante: la vittoria. Non ho dubbi, possiamo liberare sia la Crimea che il Donbass".


Il mufti con una volontaria nel suo ufficio (Anna Korbut)

A differenza dei preti ortodossi, che non possono tenere o usare armi, le figure religiose dell’Islam possono e anzi devono proteggersi. Nell’Islam si crede che sia meglio morire difendendo la propria casa che dare i propri cari in pasto all’aggressore. Questo è uno di quei casi in cui gli uomini hanno l’obbligo di combattere, e anche le donne possono scegliere di fare la loro parte per difendere la propria terra, tante si sono arruolate senza pensarci. E se qualcuno non vuole o non può usare armi, può sempre entrare nelle forze armate guidando un’auto, cucinando, preparando o scaricando pacchi di aiuti.

‘Difendersi, mai aggredire’

Questa è la visione di Ismagilov: "Nell’Islam non esiste il sacerdozio. Un imam o un mufti è semplicemente una persona con una grande cultura teologica che viene scelta per soddisfare i bisogni religiosi della sua comunità. Puoi essere eletto, ma anche licenziato. Puoi essere un guerriero, anzi, devi esserlo quando la guerra ti arriva addosso. Ecco perché sono nella Difesa territoriale, anche se la gente si sorprende. Ma è giusto sottolineare una cosa, un uomo può farsi guerriero, ma non deve essere mai un aggressore. Deve difendersi, non invadere il confine. Mai attaccare per primo. Mai uccidere donne o bambini, mai torturare, mai oltraggiare i morti. Bisogna mostrare dignità umana anche di fronte al nemico. Lo dice la mia religione, ma anche la Convenzione di Ginevra. E così facciamo in Ucraina, dove ai prigionieri garantiamo cibo, cure, protezione, condizioni umane. Mai insultare o sbeffeggiare i prigionieri, nemmeno dopo tutto quello che la Russia ci sta facendo. Ne sono orgoglioso perché quello che fa il mio Paese va di pari passo con quel che dice la mia religione, anzi tutte le religioni. In Russia, invece, persino alcuni musulmani approvano l’invasione dell’Ucraina e questa guerra devastante. Dimenticano l’umanità e gli insegnamenti della loro stessa religione, per abbracciare e sostenere la politica del terrore di Mosca. Ricordo che sono arrivate parole di condanna per quel che sta accadendo da molti centri del mondo musulmano: Egitto, Turchia, Libano. La lista è lunghissima".


Membri della Difesa territoriale di Kiev (Keystone)

‘Guardarsi ancora in faccia’

Il mufti insiste: "L’umanità non deve essere mostrata al nemico in quanto tale, quella qualità dobbiamo mostrarla a noi stessi. Un guerriero valoroso non deve mai vergognarsi di quel che ha fatto in tempo di guerra. Deve essere in pace con sé stesso. I suoi figli devono sapere che non ha mai torturato un nemico.Sono cose che si fanno anche per gli altri, ma soprattutto per poter guardarci ancora in faccia e sentirci umani. Quel che fanno i russi, non ho idea di come possano convivere con le loro atrocità. Quelli che hanno sparato sull’ospedale pediatrico. Prima o poi si verrà a sapere chi sono e potranno anche mentire a un processo. Ma non a loro stessi. Potranno dire di non aver capito cosa stavano facendo, ma qualsiasi pilota sa distinguere una base militare con un palazzo civile".

I tatari, la Crimea, l’Islam

Tante sono le religioni che convivono in Ucraina: ortodossi, greci ortodossi, cattolici, protestanti, ebrei e musulmani. Hanno saputo coesistere per secoli e anche l’ultima ondata di immigrati musulmani, quella degli ultimi decenni, si è integrata, riuscendo a vivere serenamente nella società civile senza dover rinunciare al proprio credo. I musulmani sono in Romania e Bulgaria da 300 anni, in Ucraina da mille, insiste Ismagilov: "Noi ci sentiamo profondamente ucraini e musulmani, un po’ come accade ai bosgnacchi in Bosnia e ai Pomacchi in Bulgaria. Parliamo la lingua locale e viviamo in un luogo non-musulmano, eppure la nostra identità religiosa è forte. Abbiamo assimilato libertà e diritti e manteniamo una forte etica morale".

Sono 500’000 i tatari di Crimea, un popolo con quasi 800 anni di storia. Ci sono tatari di Crimea in Ucraina e in Russia e le loro origini si mischiano tra greci, goti, turchi, polovesiani, sciti e sarmati. Questa stratificazione ha portato a un popolo unico, molto diverso dai suoi vicini.


Una protesta anti-russa dei tatari di Crimea (Keystone)

Il mufti ricorda quanto l’importanza delle radici per questo popolo lo sia più che per altri: "Molti tatari ricordano l’origine delle loro famiglie, chi arriva dalle steppe sa di essere discendente dei nagai, chi sta nella costa sud si autoproclama erede dei goti. C’è poi chi discende dai greci. Eppure si sentono tutti tatari di Crimea".

Molti sono i tatari che hanno lasciato le loro case dopo l’occupazione russa del 2014. Sia il popolo che il parlamento locale, chiamato Majilis, hanno subito una dura repressione per aver sostenuto l’Ucraina. Una situazione già vissuta dai loro antenati, visto che la penisola fu occupata e annessa dall’Impero russo nel 1783. E poi, nel 1944, con Stalin al potere, ci fu una deportazione su larga scala di tatari. Anche in quell’occasione dovettero lasciare le loro case, la loro terra.

Ricordi di famiglia

Situazione simile nel Donbass invaso dai russi, dove i tatari sono circa 300mila. Arrivarono in tre ondate diverse: la prima all’inizio del XIX secolo, quando si svilupparono le miniere di carbone, la seconda in seguito alla Rivoluzione bolscevica e la terza con la fine della Seconda guerra mondiale, quando c’era da far ripartire l’industria della regione messa in ginocchio dal conflitto.

Il mufti Ismagilov ricorda: "La mia famiglia si trasferì nel Donbass nel dicembre del 1917 perché tutte le proprietà le furono confiscate. Rischiavano di essere uccisi oppure di morire di stenti. L’unica strada per sopravvivere e guadagnare denaro portava al Donbass. Non erano gli unici, assieme a loro altri 300mila tatari arrivarono in Ucraina, diventandone parte integrante. Quella gente è ucraina da oltre un secolo ormai".

Anche per questo, in molti, a cominciare dal mufti, sono convinti che l’occupazione delle loro terre, la Crimea e il Donbass, possa essere provvisoria, e restare nei libri di storia, come è accaduto nel 1783, nel 1917 e poi nel 1944. Una volta era l’Impero russo, poi l’Unione Sovietica, oggi la Russia di Putin. I tatari vogliono solo tornare ad abitare le stesse terre dei loro antenati e fare ritorno a casa.


"Crimea è Ucraina", una protesta del 2014 a Simferopoli (Keystone)

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