La guerra in ucraina

Dal gulag al fronte: ‘Il nazifascista è Putin’

Il regista Oleh Sencov combatte contro i russi a Kiev. Sotto le bombe, ha poca pazienza per i facili pacifismi e le giustificazioni pro-Cremlino

(Ffdul)

«Voi magari pensate che questo sia un gioco, che sia un film. Ma non è né un film né un gioco: qui ci piovono le bombe sopra la testa, siamo bersaglio dei missili e dell’artiglieria russa. Questa è una guerra e non so se in futuro potremo farne ancora, di film, perché prima dobbiamo sopravvivere». Il regista ucraino Oleh Sencov, 45 anni, ha già trascorso cinque anni abbondanti in un gulag siberiano per colpa di Mosca: lo avevano accusato di ‘terrorismo’ per avere aiutato con cibo e suppellettili i soldati del suo Paese dopo l’invasione della Crimea nel 2014, sicché gli hanno messo un sacchetto di plastica in testa e se lo sono portato via. Condannato a vent’anni di reclusione, è stato liberato dopo 145 giorni di sciopero della fame grazie a uno scambio di prigionieri. Lo avevamo conosciuto l’anno scorso a Lugano, in occasione del Film festival diritti umani, per la presentazione del suo durissimo lungometraggio ‘Numbers’: una riflessione sulla stupidità umana che si fa gioco concentrazionario, a metà tra il Rinoceronte di Ionesco e Squid Game. Ora Sencov è tornato a combattere, stavolta non più a Sinferopoli, ma in quella Kiev che le truppe russe sperano di conquistare con tecniche di assedio e logoramento.

Ancora una volta lei, russofono con una carriera da regista internazionale, ha deciso di mollare tutto e andare a combattere. Perché?

Non c’era un’alternativa, non c’era una scelta. Quando ti attacca un nemico così forte e potente, che vuole distruggere te e il tuo Paese, nessuno può davvero decidere diversamente. L’unica cosa che puoi fare è imbracciare le armi. È una questione di autodifesa, è inevitabile. Per questo mi sono unito ai volontari della difesa territoriale che supportano le forze armate ucraine. Dovevo farlo, e l’ho fatto.

Chi c’è lì con lei?

Ogni sorta di persone, centinaia di migliaia di volontari da tutte le parti del Paese, tutti con le armi in mano per contrastare quest’invasione su larga scala. C’è gente che aveva già combattuto e gente che non aveva mai imbracciato un fucile, giovani e vecchi, donne, persone dall’estrazione culturale e professionale più diversa. Quello che li unisce è il fatto di essere disposti a morire – e a uccidere – per difendere l’Ucraina.

Cosa vede sulle strade di Kiev?

Ci sono diversi checkpoint, la città è semivuota perché molti sono fuggiti. I colpi di artiglieria, i missili, i bombardamenti aerei sono costanti, ma in modo altrettanto costante sentiamo i colpi della nostra difesa. Mentre vi rispondo sento il rombo lontano di un raid aereo, l’esplosione di proiettili e bombe. Quando camminiamo per le strade vediamo le macerie delle abitazioni distrutte.

Com’è il morale?

Restiamo molto lucidi, padroni di noi stessi. Non ci sono saccheggi, e quando ci sono vengono immediatamente fermati. La popolazione si è organizzata, è preparata all’assedio che i russi hanno pianificato per Kiev. Qui mi trovo anch’io, sulla linea di difesa della capitale.

Domanda stupida: non ha una gran paura?

È da parecchio tempo che non ho più paura di nulla. La guerra è solo l’ennesimo calvario che tocca a me, al mio popolo e al mio Paese. Ma davvero, non provo paura. In due settimane sono successe tante cose, abbiamo assistito a tanti avvenimenti diversi. In un certo senso io stesso non mi rendo ancora del tutto conto del fatto che sta capitando una guerra del genere, anche perché la stiamo combattendo lungo strade e città che fanno parte della mia vita di tutti i giorni. È una sensazione molto strana.

Come sta andando?

Non è facile, ma la cosa più importante è che stiamo sgominando il nemico, che sta perdendo il suo potenziale offensivo. Abbiamo distrutto una parte importante delle sue armi, e continuiamo così. Però credo che gli scontri più importanti debbano ancora avere luogo.

Per combattere ha lasciato la sua famiglia. Hanno capito?

La mia famiglia ha sempre sostenuto la mia scelta e intanto si è spostata nell’Ovest del Paese, dove la situazione è relativamente più sicura, mentre io sono rimasto a Kiev. Sono rimasto perché è qui che stanno accadendo le cose più importanti, questa è la capitale e combattiamo perché gli occupanti non se ne impossessino. Chiaramente non è stato facile separarmi dalla mia famiglia, anche perché non sappiamo ancora quanto andrà avanti questa guerra. Soprattutto, non sappiamo se sopravviveremo.

In Svizzera c’è chi sostiene che non dovremmo sostenere troppo la vostra resistenza per non compromettere la nostra neutralità. Che ne pensa?

Supportare o meno la nostra resistenza è una libera scelta di ogni Paese. Non condanno la Svizzera e la sua storica neutralità. Però gli invasori non considerano la neutralità: quando arrivano ammazzano tutti, e a quel punto è troppo tardi. Putin, poi, non è il tipo di invasore che minaccia solo l’Ucraina: è un pericolo per tutta l’Europa e per il mondo intero, per colpa delle sue azioni militari e delle sue armi nucleari. Un terrorista nucleare come lui è sempre una minaccia internazionale, e a quel punto non c’è neutralità che tenga: le radiazioni non sanno cosa sia, la neutralità.

Anche qui da noi c’è chi sostiene la versione del Cremlino, secondo la quale l’intervento militare sarebbe mirato a "de-nazificare" l’Ucraina e fermare un genocidio in Donbass. Cosa risponde?

La storia della de-nazionalizzazione e della de-nazificazione dell’Ucraina è solo uno slogan russo. Mi chiedo se in Europa ci sia davvero gente che abbia una coscienza e possa credere a cose del genere. Chi sia il nazista e il fascista qui è chiaro.

C’è anche chi si chiede se abbia senso opporre resistenza a una potenza militare superiore come quella russa. Non sarebbe meglio arrendersi subito per evitare ulteriori sofferenze?

Ripeto: Putin ha fatto vedere al mondo chi è il vero nazifascista, chi ammazza i civili, chi invade Paesi indipendenti con qualsiasi pretesto. Di fronte a tutto questo, invitare ad arrendersi per limitare le perdite è già di per sé una provocazione. Chi lo fa non capisce cosa sta succedendo, oppure è cieco, o stupido. Oppure lavora per il nemico: la Russia.

Questo non è un film, ma qui l’invasione la vediamo dagli schermi delle tivù e dei telefonini. Cosa ci sfugge?

Beh, qui è tutto reale, molto reale. Non è un film, quando nel Ventunesimo secolo ti tocca vedere una bambina che muore disidratata nel bel mezzo di una capitale europea, perché è intrappolata in una cantina dai bombardamenti senza nulla da bere.

Si spera almeno in negoziati rapidi.

Ma cos’altro vi serve per capire chi è la Russia e cosa vuole? Non ci può essere pace con questi invasori, non ci possono essere negoziati. Stiamo parlando di un regime criminale che dev’essere distrutto, il mondo intero deve unirsi per distruggerlo come ha fatto col Terzo Reich. Gli unici negoziati possibili sono quelli per la sua resa, questa è la sola cosa della quale possiamo discutere con uno come Putin: la sua resa e la liberazione dell’Ucraina, insieme a un cambio di regime politico in Russia. Se firmiamo una tregua prima, invece, gli stessi problemi si ripresenteranno. Stiamo parlando di un coccodrillo che vuole divorare la gente: non puoi negoziare con un coccodrillo. Puoi solo distruggerlo.

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