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Impronte in terra romanda

Tracce di vita che portano a Friburgo, città episcopale che sa unire l’atmosfera clericale con i brividi di maledettismo (aspettando ‘Textures’)

Può capitare di avvertire, nell’oscurità, sussurri invitanti e di sentirsi piccoli Baudelaire persi nella città tentacolare
(Depositphotos)
27 febbraio 2023
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Domenica prossima sarò a Friburgo agli Incontri letterari ‘Textures’, dove presenterò un libro bilingue fatto con Jérôme Meizoz, ‘Storie di paese/ Histoires de village’, per una casa editrice romanda che si chiama ‘Empreintes’: bel nome per chi pubblica poesia.

Empreintes. Si vorrebbe fossero impronte di vita, quelle poetiche, per contrastare, se non cancellare, quelle mortifere che ci mortificano mortalmente ogni giorno. Ma è impossibile, perché l’uomo è inguaribile, ama fare la guerra. Inguaribile. E immediatamente il pensiero va a un’altra città romanda, Ginevra, dove fra tre mesi si terrà il Festival, multilingue e intergenerazionale, ‘The Healing Poetry’, proprio all’insegna della poesia come medicina intesa a guarire le nostre relazioni, i nostri corpi, le nostre memorie: la poesia "inutile" che dà salute.

Ma oggi non è di Ginevra, è di Friburgo che vorrei parlare. Perché è là che sarò fra qualche giorno, nella città episcopale che sa unire l’atmosfera clericale con i brividi di maledettismo che si respirano in Basse ville: dove può capitare di avvertire, nell’oscurità, sussurri invitanti e di sentirsi piccoli Baudelaire persi nella città tentacolare.

In quella città dove ho studiato scrissi, negli anni sessanta di giovinezza, un testo per il sorriso triste della vecchia mademoiselle che "andava a passetti" e mi ospitava, insieme con sua sorella, in una casa vecchiotta di Avenue de Rome, tra la Biblioteca cantonale e l’Università (ma che dico, era una via ben modesta quell’Avenue). Provenivano dalla verde Gruyère, le due sorelle, dove avevano gestito un bistrot. Mi raccontavano le loro storie – il "farmacista sparatosi in giovane età"... – e mi fecero omaggio di un bel cucchiaino bucato che serviva per il rito dell’absinthe, un pezzo da museo. E scrissi anche, in quella stanzetta di studente, una risposta in versi a mia madre preoccupata, nella quale dicevo che la città "non è di quelle che portano all’inferno" e parlavo di carretti venuti dalla campagna che vanno al mercato della verdura. E anche una lettera poetica per una ragazza ticinese, un giorno novembrino di "incaute speranze", in cui "nessuna religione mi rallegrava".

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I miei studi universitari sono stati precari. Mi sono bastati per capire che, a chi scrive, c’è qualcosa che lo studio, anche quello più proficuo – sono stato allievo di Giovanni Pozzi – non può dare: l’impronta della creatività. Ma la città sulla Sarine in compenso mi ha regalato impronte di vita che hanno messo radici in me: amicizie, qualche ubriacatura, vagabondaggi, una gita a Berna in bicicletta per partecipare a una manifestazione, le riunioni per opporsi allo spirito goliardico degli studenti e rivendicare quello sindacale. E la sensazione di essere – o illudersi di essere – uomo libero che scopre una città e una lingua diverse dalle sue.

Le poesie del libro che presentiamo domenica sono nate da un’amicizia, come quasi tutto nasce. Jérôme mi ha mandato una scelta di testi, io gli ho mandato i miei e li abbiamo tradotti. Voilà. Il bello del tradurre è il confronto, la sfida, la scoperta– in questo caso – delle affinità e delle differenze fra due lingue imparentate. E anche, se sei poeta, la riscoperta di te stesso, al quale sei abituato e non ci fai più caso.

Tradurre è leggere con la massima attenzione, cercare di penetrare nel testo e di trasporre le parole dell’altro nella tua lingua: "tradirle", per farle tue. Un atto d’amore.

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A Friburgo, in quella stanzetta di studente, ho letto – in parte, naturalmente – grandi classici francesi come Flaubert, Zola, Proust: che anche loro qualche impronta l’hanno lasciata in me, anche se non so bene dire quali. Forse queste: da Flaubert ho imparato che il talento è una lunga pazienza. Zola mi ha detto: fa’ un’esperienza, se vuoi scrivere, osserva le cose reali, non inventare trame, prendi appunti, ascolta quel che dicono gli altri. Proust: guarda dentro di te, scava, fantastica, perché la vita è solo un viaggio interiore, una tessitura di ricordi.

Certo, sto semplificando; e vedo già qualcuno che mi guarda con un sorrisetto ironico. Ma non si preoccupi: è solo per dire che per me i luoghi recano impronte poetiche.

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