Svizzera

Il favorito eletto, il terzo incomodo e la sinistra che litiga

Beat Jans che prende il posto di Alain Berset in Governo, Jositsch che ruba la scena a Pult, scintille fra Verdi e Ps. Il reportage da Palazzo federale

Il giuramento (la promessa, nel caso di Beat Jans ed Elisabeth Baume-Schneider) dei consiglieri federali eletti per il periodo 2023-2027
(Keystone)
13 dicembre 2023
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Qui sotto la Bundesterrasse, una cinquantina di metri più in basso, il fiume minaccia di straripare. Già ieri sono stati attivati i piani d’emergenza: le autorità hanno ordinato la chiusura di diversi passaggi che dalla città vecchia scendono verso l’Aar e sbarrato i sentieri che lo costeggiano; sono stati messi a disposizione sacchi di sabbia e installate altre protezioni mobili contro l’acqua alta; e agli abitanti dei quartieri ‘bassi’ (Matte, Marzili, Altenberg) è stato raccomandato di rimanere lontano dalle rive.

Sono le 6.15 e non smette di piovere. Facciamo la coda per entrare a Palazzo federale, lato sud. Davanti a noi c’è Claude Longchamp. Cappellino, scarpe sportive, un plico di fogli sotto braccio, il noto politologo – ormai in pensione – dice di non credere a una sorpresa. «Jositsch era al Bellevue, ieri sera [martedì, per chi legge, ndr]. Non credo che accetterà un’elezione da candidato ‘selvaggio’. Ma non si sa mai». E i Verdi? «Nessuna chance: hanno perso le elezioni, il presidente è dimissionario. Peggio che nel 2019. Non è il momento giusto per loro».

C’è parecchia gente. Gli arcigni agenti della Fedpol sono piantati là davanti. La fila stenta a smaltirsi. Aspettiamo. «Come le elezioni federali: ci sono molti candidati», scherza Longchamp. Manco finito a dirsi, si avanza. Un metro, due, tre. Poi: «Badge, prego», controllo d’identità, tornello, controllo di sicurezza, altro tornello. Dentro.

Psicodramma a sinistra

Dentro c’è già un bel viavai. La ex consigliera nazionale Sandra Locher Benguerel, ‘ambasciatrice’ del conterraneo Jon Pult a Palazzo, confabula con vari parlamentari. Un giornalista della ‘Nzz’, seduto su una panca a fianco dell’entrata principale (lato Piazza federale), scruta chi entra e chi passa davanti al grande albero di Natale che – di fronte, a metà scalinata – nasconde il monumento ai tre Confederati.

Pult va veloce di qua e di là. Alle 7.50 è uno dei primi ad uscire dalla sala 286, al secondo piano, dove telecamere e microfoni attendono che il gruppo socialista informi finalmente sulla sua strategia. Passa di lì l’ambasciatore dell’Ue in Svizzera Petros Mavromichalis: è diretto alla tribuna del pubblico, una dozzina di persone lo seguono come un’ombra.

Sono i capigruppo Samira Marti e Samuel Bendahan a dare l’attesa notizia: al secondo turno, una non meglio precisata «minoranza» della ‘frazione’ voterà per Gerhard Andrey; la maggioranza invece riconfermerà Ignazio Cassis (Plr). La ragione principale: la candidatura dei Verdi non ha alcuna chance. Primo segnale di un piccolo psicodramma a sinistra.

La partita principale però si giocherà al settimo turno, non al secondo. Fra questi due momenti clou, i sei consiglieri federali uscenti verranno tutti rieletti in Governo per i prossimi quattro anni, in prima battuta e con risultati più o meno confortanti: brillante per l’Udc Guy Parmelin (215 voti), ottimo per Viola Amherd del Centro (201), buono per l’Udc Albert Rösti (189), meno onorevole per Karin Keller-Sutter del Plr (176) e soprattutto per la socialista Elisabeth Baume-Schneider (151).

Cassis se la caverà bene, tutto sommato. Il ticinese verrà riconfermato in prima battuta, con 167 voti su 239 schede valide. Andrey ne otterrà 59: una trentina abbondanti dai suoi e dai verdi-liberali, il resto dagli altri gruppi (anche da quello socialista, che ne conta 50). Un discreto ‘score’, peggiore di quello fatto segnare quattro anni fa da Regula Rytz (82), allora presidente del partito, nel primo tentativo di scalzare il ticinese dall’esecutivo.

Jans contro Pult (pardon: Jositsch)

Sono le 11.15. Pult è concentrato. Durante lo spoglio rimane seduto. Parla con i suoi, ci si scambia battute. Anche con l’ex capogruppo Roger Nordmann, tirato in ballo nelle ultime settimane come ‘Wildkandidat’ (candidato selvaggio). Si avvicinano i consiglieri nazionali Martin Candinas (Centro) e Anna Giacometti (Plr), grigionesi come lui. La bregagliotta lo incoraggia stringendo i pugni. Nella tribuna del pubblico, in prima fila, fanno il tifo per lui il presidente del governo grigionese Peter Peyer (Ps) e la consigliera di Stato zurighese Jacqueline Fehr (Ps), già candidata al Consiglio federale nel 2010. Pochi contatti, anche visivi, tra parlamentari socialisti ed ecologisti, che siedono fianco a fianco nella parte destra dell’emiciclo.

Jans 89, Jositsch 63, Pult 49, Andrey 30, altri 12: il risultato del primo turno è uno schiaffo per Pult. Ma anche per il suo partito. E non tanto per il gesto di protesta dei Verdi, che hanno rilanciato la candidatura di Andrey contro un seggio dei ‘cugini’. Samira Marti si rivolge ai 246 membri dell’Assemblea federale, ma soprattutto a chi ha trasformato nuovamente Jositsch in candidato selvaggio. La basilese esorta i colleghi a votare per uno dei due candidati ufficiali, rispettando una regola informale che contribuisce alla «stabilità» e alla «concordanza».

Fino al terzo turno

Pult rimane impassibile. Jositsch è seduto in fondo alla Sala del Nazionale, esattamente al centro, su una delle 46 sedie riservate ai consiglieri agli Stati. Non fa una piega. Come un anno fa: anche allora lo zurighese, sempre da candidato ‘selvaggio’, non si chiamò fuori dai giochi, dopo aver ottenuto 58 voti. Gettò così alle ortiche quel residuo capitale di simpatia rimastogli nel suo gruppo parlamentare dopo aver deciso di scendere in campo nonostante il Ps avesse riservato a sole donne la corsa alla successione di Simonetta Sommaruga.

Le cose non vanno meglio al secondo turno. Jans fa un balzo a 112 voti, a 12 dalla maggioranza assoluta; Pult sale di poco, a 54; Jositsch arriva a 70 voti; Andrey si ferma a meno di 10 voti ed è fuori. L’ambizioso ‘senatore’ chiacchiera amabilmente con gli uni e con gli altri. In casa socialista sale la tensione: i co-presidenti (Cédric Wermuth, Mattea Meyer) e i due capigruppo sono seduti vicini, sembrano nervosi. Pult adesso è in piedi. Al suo fianco, Nordmann e Marti. Sperano che al prossimo turno anche il terzo incomodo si tolga di mezzo. Invece no. Jositsch scende solo di due voti, a 68, mentre Pult retrocede a 43. Quanto basta al consigliere di Stato di Basilea-Città per superare, con 134 voti su 245 schede valide, la maggioranza assoluta (123).

Per Basilea buona la seconda

Alle 12.12 Jans entra nella Sala del Consiglio nazionale, accolto da una standing ovation. Indica lo sfidante (quello ufficiale, non il ‘selvaggio’), mostra le mani giunte in segno di ringraziamento. Un pensiero anche per la moglie Tracy e le due figlie, di 16 e di 18 anni. Lui crede stiano seguendo l’elezione alla tv, invece no: sono lì, in tribuna. Sono «il meglio che mi è capitato», dice il neo consigliere federale. In un momento che lo «riempie di gioia e di rispetto», il 59enne promette (anche in italiano) di svolgere l’incarico «al meglio delle mie possibilità». Poi Jans abbraccia calorosamente la ‘senatrice’ Eva Herzog, basilese come lui, alla quale un anno fa molti pronosticavano un’entrata in carrozza in Consiglio federale.

Stavolta invece niente sorprese: alla fine al posto di Alain Berset è stato eletto un candidato ufficiale del Ps (il favorito, per giunta); l’attacco dei Verdi al secondo seggio del Plr è andato a vuoto, come ampiamente previsto; e nessuno dei piani ‘segreti’ della vigilia (un ‘centrista’ al posto di Cassis) si è materializzato. Scaramucce a parte, tutto è rimasto negli argini. Nessuno straripamento (nemmeno dell’Aar, ma le misure di protezione rimarranno in vigore per giorni). Con buona pace della stabilità. E di una concordanza che ognuno continuerà a interpretare a modo suo.

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