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L’accordo è storico e la pecora fa bè

Per l’ennesima volta finisce un summit sul clima tra il tripudio generale, ma siamo sicuri che questo summit cambierà il mondo? Leggerlo fa dubitare

In sintesi:
  • Gli archivi mostrano un sacco di accordi storici sul clima che non ricorda nessuno
  • Dopo Parigi 2015 una lunga serie di passi avanti su una scala mobile che procede al contrario
  • Che scusa tireranno fuori alla Cop78?
Un gregge di pecore assetate in Kenya
(Keystone)
14 dicembre 2023
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La distrazione è fatale, la svolta epocale e il disastro annunciato; la donna è mobile, i napoletani fanno uè e la pecora fa bè. Le indagini, poi, sono sempre a 360 gradi (gli stessi che tra un po’ ci saranno all’Equatore), mai uno o dieci di meno. E l’accordo? È storico, “ça va sans dire”, scriverebbe qualcuno. Poi non importa se non è storico, non importa nemmeno se non è un vero accordo.

Basta esagerare, comunicare per iperboli, come quando il telecronista urla come un ossesso facendo passare un gol qualunque per Maradona che slalomeggia tra gli inglesi all’Azteca. E si può capire chi esagera, facendo girare veline in stile Pravda, perché deve provare a dimostrare di aver combinato qualcosa – oltre pasteggiare a champagne – a un evento con 80mila delegati e tutti gli occhi del mondo puntati addosso. Ma chi racconta i risultati della Cop28 di Dubai dovrebbe usare qualche superlativo in meno o usarli in senso opposto. Basterebbe entrare nel merito, senza nemmeno affannarsi troppo, tra le pieghe di un documento che riesce a dire ogni cosa e il suo contrario per accontentare un po’ tutti, come in quelle riunioni di condominio che si trascinano stancamente e dove a un certo punto uno ha l’arrosto che gli brucia nel forno, l’altro il figlio da andare a prendere a judo e l’altro ancora l’amante che l’aspetta dall’altra parte della città e tutti firmerebbero anche il via libera a un centro di stoccaggio di scorie nucleari nel proprio bagno pur di chiuderla lì.


Keystone
Attivisti di Fridays for Future

A Dubai, in un summit guidato da un presidente che fa affari sia col petrolio che con le nuove fonti energetiche (un cortocircuito tale che sembra uscito da un film di Cetto Laqualunque), si festeggia tutti assieme appassionatamente la “transizione” lunga 27 anni che dovrebbe portarci fuori dai combustibili fossili. Che poi non si dica con certezza da nessuna parte che la fine del petrolio sarà davvero nel 2050 poco importa a quelli dall’accordo storico facile. Ricordiamo che il 30 novembre si celebrava un “accordo storico” per i risarcimenti ai Paesi africani: talmente storico che sono passate due settimane e non se ne parla più.

Ma a rileggere i vecchi giornali (su Open, ad esempio), si esultava giusto un anno fa in coda alla Cop27 di Sharm el-Sheikh, in Egitto. Un “accordo storico” che aveva fatto seguito a un altro “accordo storico”, quello Energia e Clima del G20 di Napoli. Come non ricordarlo? Infatti non ce lo ricordiamo.

Persino alla precedente – e deludentissima – Cop26 di Glasgow c’è chi (e non una testata qualunque, ma la Cnn) parlava di “historical reference to fossil fuels” dentro l’“agreement”. Insomma, se proprio l’accordo – visto il flop – non poteva essere definito storico, bastava andarci a trovare qualcosa di “storico” dentro. O inventarselo. L’ex premier britannico Boris Johnson, bugiardo patologico e gran cerimoniere del summit scozzese, parlò – indovinate un po’ – di “accordo storico”. Per continuare con le metafore pallonare, è come uscire dallo stadio dopo una partita finita 0-0 e poi raccontare a chi non c’era di aver assistito a un gol, appunto, “storico”.


Keystone
Il presidente della Cop28 di Dubai Al Jaber con John Kerry

La Cop25 di Madrid, altro buco nell’acqua, è stata comunque incensata da alcuni per l’inizio di un “coordinamento per le azioni negli oceani”. Della serie, “però con Lui i treni arrivavano in orario”. Inutile poi tornare indietro fino all’unico vero accordo storico, quello di Parigi, nel 2015, ormai lontano. Anche quello, da solo, non sta in piedi: e tutti questi passi avanti suonano di camminata in salita su una scala mobile che va nella direzione opposta. E pure veloce, come il riscaldamento globale.

Insomma, l’accordo, che già molti col passare delle ore chiamano compromesso (eufemismo per dire che le due anime del summit non si sono proprio mandate platealmente a quel Paese, o almeno non a favore di telecamera), sembra mancare di ambizione, convinzione, concretezza, radicalità. Dice quello che andrebbe fatto, ma poi, con calma. E non obbliga davvero nessuno a farlo: è un “pagherò” senza nessuno che ti verrà davvero a cercare quando non pagherai.

E ora aspettiamo la Cop29, la Cop30, la Cop 44 e 54… una lunga serie – c’è da scommetterci – di accordi storici che portano ad altri accordi storici che non portano a niente (salvo miracoli, in un mondo in cui l’arte della diplomazia non sembra andare di moda. Vedi Israele, Ucraina, Guyana…). Già si possono immaginare, i Grandi della Terra, uscire dalla Cop78, rigorosamente tra gli applausi, con chissà quale “accordo storico” e quanti gradi in più su questo pianeta moribondo e dire: “Ma sai che alla fine non è tanto il caldo, ma l’umidità”.

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