Spettacoli

Sfogliando ‘Se questo è un uomo’ a teatro

Magnifica prova di Valter Malosti, martedì scorso al Lac, nel portare in scena il testo di Primo Levi

(Tommaso Le Pera)

Non ha tradito le aspettative il magnifico lavoro di Valter Malosti (regista e attore) presentato martedì scorso al Lac all’interno delle celebrazioni per la Giornata della memoria, per commemorare le vittime dell’Olocausto. ‘Se questo è un uomo’ ha anticipato il calendario, lo spettacolo del 27 gennaio pensato per l’occasione non ha potutto per ovvie ragioni essere qui.

Presentazione in grande spolvero quindi, tra i presenti le massime autorità cantonali (tra le quali il presidente delle istituzioni Norman Gobbi), l’ambasciatrice israeliana a Berna Ishaf Reshef e l’ambasciatore italiano Gabriele Meucci. Sono state le particolari parole di quest’ultimo a portarci là dove era necessario, tra la scrittura originale di Levi, scoperta in una prima edizione riscritta e cancellata a matita dall’autore stesso. E così, accompagnandoci con il gesto concreto dello scrittore che rivede, a volte cancella, poi riscrive, nega e forse traduce, abbiamo raggiunto Levi.

Come Malosti aveva raccontato qualche giorno fa in un’intervista, Levi non è stato solo uno dei principali, enormi testimoni del genocidio nazista: il capolavoro che ha scritto è di una ricchezza linguistica eccezionale. E sono le sue parole quindi, oltre che la sua vita, a essere celebrate in questo spettacolo. Parole che scivolano, incalzano, si interrompono, inanellate in frasi pressoché perfette. Che vanno a evocare un testo conosciuto da tutti ma qui riscoperto da molti nella sua ricchezza auditiva.
Ascoltare un romanzo, sfogliarlo in scena, è possibile? L’intermediario non ne comprometterà la sua anima? Sarà possibile per gli spettatori recepirlo onesto e sincero, farlo giacere nel nostro essere per qualche istante, permetterci di sfumarlo con la nostra immaginazione personale e non solo quella di chi declama? Sì. È stato possibile. E Valter Malosti ha dimostrato la sua bravura permettendoci di ascoltare ‘Se questo è un uomo’, per ben due ore, quasi immobile in una scena a tratti onirica (la casa), poi cruda e reale (le macerie), claustrofobica e infine liberatoria (a cura della brava Margherita Palli). Forse quanto è maggiormente piaciuto a chi scrive è proprio l’aver sentito la libertà di riascoltare il romanzo a suo modo, cosa che una recitazione più marcata (chissà come sarebbe con Paolo Pierobon come inizialmente previsto nella sua genesi) non avrebbe permesso.

Un lavoro enorme da parte del regista, un testo mandato a memoria per ben due ore di spettacolo: pochissime, discrete pause per bere, il racconto che fluisce sulla scena. Un uomo solo, sineddoche di una moltitudine di voci, in una scena che avremmo goduto anche senza il bisogno dei due performer (resi forse superflui a casua della loro presenza incostante, così come le immagini), con un testo che funziona – inutile dirlo – talmente bene che non necessitava le pause, a dir la verità un po’ costruite e confuse, dei madrigali a opera di Carlo Boccadoro sulla base dei versi del poeta Levi.

Riuscito invece il gioco di luci di Cesare Accetta, che ci ha permesso diverse angolature di questo uomo imponente, in cappotto, elegante, con una valigia. Che così tanto si distanza dall’immaginario che potremmo avere di Levi stesso. Eppure ce ne dimentichiamo, e vediamo tutto, quasi come deve essere visto. Il viaggio e il campo, i compagni, la solitudine, la degradazione e la discesa agli inferi. Dante citato e evocato da Levi, rivive qui, in un crescendo culminante con quel capolavoro che è il Viaggio di Ulisse. Non si rimane indifferenti a ‘Se questo è un uomo’, proprio perché la grandezza del suo testo non lo permette, come la nostra conoscenza della realtà storica. Per Primo Levi stesso. Ma anche per il genoroso gesto di Valter Malosti, che ha dimostrato come trattare un opera con il rispetto che merita.

Mi porto a casa la neve, così lieve e definita, che oggi mi ha invogliata a riascoltare Guccini. La neve che col suo candore stride sulle pagine nere del nostro passato. E che meraviglia, perché a teatro abbiamo bisogno anche di questo.

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