L'INTERVISTA

Il giornalista e la macchina che scrive

Lugano: mercoledì all'Auditorium dell'Usi l'incontro ‘Quando la scrittura è creata da una macchina’, nell'ambito della rassegna ‘Il futuro è aperto’

Il prof. Colin Porlezza
(@depositphotos)
15 novembre 2023
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Mercoledì alle 18,30 l'Auditorium dell'Usi ospiterà l'incontro ‘Quando la scrittura è creata da una macchina’, organizzato dall'associazione NEL. Parteciperanno i giornalisti Gabriele Beccaria del quotidiano ‘La Stampa’ e Roberto Porta della Rsi, l'avvocato Francesca Gemnetti e Colin Porlezza, professore di giornalismo digitale presso la facoltà di comunicazione, cultura e società dell'Usi. Sul tema dell'appuntamento abbiamo rivolto alcune domande al prof. Porlezza.

Che cos’è il giornalismo digitale e in cosa si differenzia da quello tradizionale?

Non c’è una definizione che incontri il consenso unanime degli accademici. Secondo alcuni, non sarebbe altro che il giornalismo tradizionale, fatto usando strumenti digitali. In un'altra percezione, decisamente più complessa, si tratta di un fenomeno di cui le tecnologie digitali sono una parte integrante, in un insieme di dinamiche socio-tecniche in cui il giornalismo digitale da un lato plasma nuove tecnologie e dall'altro ne è plasmato, dando vita a un rapporto sempre più simbiotico e interattivo con il pubblico. Chiaramente non bisogna sopravvalutare il ruolo delle tecnologie, che non determinano tutto, perché alla fine è il giornalismo a utilizzarle in una certa maniera.

Fino a quale punto la tecnologia aiuta il giornalista e oltre quale limite invece può danneggiare la qualità dell'informazione?

Questo dipende sia dalla tecnologia stessa, sia dal modo in cui viene utilizzata. L'intelligenza artificiale, ad esempio, può facilitare il reperimento di informazioni, può aiutare a verificarle, ma potrebbe anche essere temuta come un mezzo in grado di mettere in pericolo l’aspetto principale, più creativo del giornalismo. A quel punto, quando viene percepita come una minaccia alla creatività o quando viene messa in competizione con il mestiere giornalistico, la si valuta, come spesso succede al giorno d'oggi, con un certo scetticismo.

Lo scetticismo può anche derivare dal timore che il ricorso delle macchine faccia diminuire i posti di lavoro. Oppure intorno al loro uso potranno servire nuove competenze?

In futuro nelle redazioni potrebbero esserci professionisti specializzati in grado di dare ai sistemi come chatGPT le istruzioni e le richieste corrette. Oppure dei mediatori tra gli sviluppatori di questi sistemi e la redazione, per fare in modo che la tecnologia venga utilizzata in un modo che sia in linea con i valori del giornalismo, con le richieste editoriali e con la routine dei processi di produzione delle notizie. Credo però che alcune attività ripetitive e più noiose – come ad esempio fare le tabelline o le cronache di partite – potranno effettivamente essere automatizzate, ma questo potrebbe anche essere un’opportunità per i giornalisti per concentrarsi su ricerche più complesse.

E invece al momento quale differenza ci può essere tra un articolo scritto da una macchina e uno scritto da un giornalista in carne e ossa?

Sicuramente la qualità, perché i sistemi in grado di produrre testi in modo automatico scriveranno pezzi carini e corretti dal punto di vista formale e grammaticale, ma non è detto che siano immuni da errori fattuali o da inaccuratezze. Le faccio un esempio: un paio di mesi fa una pagina web americana che si chiama Cnet ha condotto degli esperimenti con articoli prodotti interamente con un sistema simile a chatGPT. Questi testi non sarebbero mai stati pubblicati, perché contenevano innumerevoli errori. Questo vuol dire che un testo prodotto interamente o parzialmente da una macchina necessita sempre di un controllo editoriale da parte di un essere umano, tant’è che tante linee guida stabilite negli ultimi mesi (come quelle di ATS), confermano che ci vuole sempre una supervisione umana su qualsiasi cosa a cui l'intelligenza artificiale abbia messo mano. Per cui alla fine la responsabilità ultima dell'essere umano rimane al centro del discorso.

Ma allora quanto è intelligente questa intelligenza artificiale?

Non ancora così tanto da poter sostituire interamente i giornalisti. Può dare sicuramente un grosso aiuto, per esempio per verifiche informazioni rilevanti, smascherare fake news, o per automatizzare i processi ripetitivi di cui dicevo prima, o per confrontare numeri nel giornalismo economico. Invece in quello investigativo, dove sono determinanti la contestualizzazione, l'interpretazione e l'analisi, l'intelligenza artificiale fa moltissima fatica. Dobbiamo anche considerare che il dibattito e la percezione pubblica si sono focalizzati sulla produzione automatica di testi, che in realtà rappresenta una parte minima di tutto l'utilizzo che il giornalismo fa dell'intelligenza artificiale, presente in modo pervasivo ma usata più che altro come un supporto.

Possiamo dire che il momento in cui leggeremo un quotidiano interamente scritto da macchine è ancora lontano?

Il mio ruolo non è quello di fare profezie, ma su una prospettiva del genere sarei piuttosto scettico.

Quindi l'ignoranza naturale non deve temere l'intelligenza artificiale?

L'intelligenza artificiale cambierà sicuramente il giornalismo, ma ancora non sappiamo dire come, anche perché ciò dipenderà dai modi in cui le varie aziende mediatiche si serviranno di queste tecnologie. C’è chi le usa in minima parte o non le usa per niente, chi le utilizza molto per distribuire e personalizzare i contenuti, un ambito in cui la commercializzazione e la monetizzazione giocano un ruolo fondamentale.

Che cosa possiamo aspettarci nell'ambito della narrativa? Le macchine metteranno in discussione il primato creativo degli scrittori?

È una domanda che esula dalla mia area di competenza. A quanto ne so, ultimamente qualcuno ha utilizzato questi sistemi anche per scrivere dei romanzi, ma pare, anche se non esistono ricerche basate su dati empirici, che i risultati non siano stati eccelsi.

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