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La nuova Engadina di Marco D'Anna (racconti da bordo Piscina)

Nel segno di Segantini, ‘Oltrereale’ è il divisionismo del fotografo ticinese, fino al 29 ottobre a Villa Arconati, nel Milanese

Un nuovo trittico della natura
(M. D’Anna)
13 ottobre 2023
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Dal muro ci guarda Miles Davis a Estival Jazz Lugano, ma i diffusori rilanciano Maria Bethânia. Il jazz immaginato e i suoni latinoamericani non cancellano l’abbaglio delle vasche affollate del litorale laziale in estate, o i bacini artificiali senza un’anima negli hotel del mare d’inverno, sulla riviera romagnola. «All’inizio questa era una piscina condominiale. È incredibile, ci venivo a fare il bagno da piccolo». Qualcuno, in quello che oggi è l’Atelier La Piscina – a tutti gli effetti, casa di Marco D’Anna, fotografo – organizzò anche dei corsi pre-parto. Con la dovuta astrazione, i toni più alti della voce di Bethânia, sorella di Caetano Veloso, sfiorano, se non il vociare dei neonati, almeno le grida dei bagnanti che vanno su e giù dalla scaletta. Che è ancora quella, così come la piastrellatura.

All’occorrenza spazio condiviso, luogo di esposizioni del fotografo ma pure altrui – e luogo in cui la Fondazione Artphilein presenta la sua collezione di libri –, la Piscina è fonte di distrazione dallo scopo primario della nostra visita. Le bobine di cotone colorato, per esempio, sono avanzi di un servizio fotografico che oggi fanno arredamento, e curiosità che chiede di essere soddisfatta: «Anni fa, un magnate dell’industria tessile mi chiese di fotografare tutti i suoi operai sparsi per il mondo. “Voglio stampare un libro di ritratti da regalare a ognuno di loro”, mi disse». Il volume s’intitola ‘Grazie’ e fu consegnato proprio a tutti: «Ho visto gente piangere, la ricordo come una bellissima storia di terza-quarta generazione di industriali illuminati, mi piace chiamarli così». Dai dipendenti, il servizio fotografico si estese poi alle industrie, in altro libro. Quell’angolo da negozio di scampoli, proprio nei pressi della scaletta, viene da lì.


M. D’Anna
Nel suo atelier a Paradiso

(Ir)realtà montane

In quel di Paradiso, siamo a bordo Piscina con Marco D’Anna per parlare di ‘Oltrereale’, sottotitolo ‘Frammenti di memoria infinitamente mutabili’, la prima mostra fotografica ospitata nella sua ala espositiva da Villa Arconati, tra gli edifici storici del Parco delle Groane (Bollate, Milano). Lì, per le prossime tre domeniche (la mostra chiude il 29 ottobre) si apriranno ideali finestre sulle montagne tanto care al fotografo e, non di meno, a Giovanni Segantini (1858-1899), al cui divisionismo s’ispira D’Anna nella tecnica di riproduzione che porta alla luce nuove realtà montane, quelle di un’Engadina mai vista, nel senso che non esiste.

‘Oltrereale’ nasce durante il lockdown, dalla reclusione di un uomo che ha viaggiato per gli ultimi vent’anni. Quando il mondo si è fermato, lo spirito libero di D’Anna è stato graziato dalla libertà di movimento svizzera di quei giorni, sufficiente a fargli raggiungere l’Engadina per rimettere in discussione il mito della montagna creato da Segantini e da tanti altri artisti di fine Ottocento. In primis, cercando una tecnica che richiamasse il divisionismo segantiniano, applicato a foto ‘materiche’, rese tali dalle vecchie carte Fabriano dell’epoca analogica Polaroid-transfer; trovata la tecnica, D’Anna ha ‘ricostruito’ duecento fotografie, frutto di una quarantina di viaggi in Engadina durante tutte e quattro le stagioni. ‘Ricostruire’ è per dire di più ‘Engadine’, di scorci montani diversi, assemblati in un’unica immagine il cui risultato è un luogo mentale, non reale, o almeno non interamente, perché visivamente credibile: «La possibilità di costruzione è stata data dal computer, in una modalità di fotomontaggio che un tempo non era immaginabile. La materia è poco controllabile, non mi è possibile riprodurre sempre lo stesso modello, dipende dalla carta. C’è casualità nella materia, non nella costruzione, che io decido».

Maloja-Parigi

La materialità è amplificata da Villa Arconati, i cui spazi ospitano fotografie grandi fino a quattro metri di altezza o larghezza. Ma per ‘Oltrereale’, mostra che aveva un proprio trascorso ben prima della sua ultima collocazione, l’esordio fu «nel posto più bello in cui potessi sperare di esporre», racconta il fotografo. È dell’atelier Segantini a Maloja, villaggio alpino che ospitò il pittore e la sua famiglia dal 1894 fino all’ultimo suo giorno su questa terra. Al contrario di Villa Arconati, a Maloja le foto 13x18 si adattavano alle piccole dimensioni dell’edificio. ‘Oltrereale’ ha toccato anche il giardino dell’ambasciata svizzera a Parigi, quest’anno; una parte delle opere ha raggiunto Madulain (Gr), nell’omonima ‘Stalla’. «Perché Segantini? Ho avuto la fortuna di fotografare per Franco Maria Ricci e ho conosciuto bene la Storia dell’arte. In quell’apprendistato, i riferimenti erano la pittura contemporanea, l’avanguardia, e c’era anche Segantini. Il mio non è un pretesto, ma un ritrovarlo. Quando ho pensato che potesse essere interessante riflettere sui miti delle montagne svizzere, la prima persona che mi è venuta in mente è stata lui. Mi pareva giusto fare un omaggio e poi andare per la mia strada, perché il mero tributo sarebbe stato troppo facile».

Si potrebbe dire che in ‘Oltrereale’ la tecnica sia più pittorica che fotografica, non fosse che per l’autore il limite nemmeno esiste più: «L’avvento della fotografia ha permesso alla pittura di liberarsi del ‘dovere’ di riproduzione del paesaggio e dei ritratti, permettendo, dal Novecento in avanti, la nascita delle avanguardie. La fotografia si è assunta il ruolo, seppur ambiguo, di riproduzione del reale, aprendo a un momento straordinario per la pittura. L’arrivo del digitale ha cambiato di nuovo le carte in tavola, permettendo alla fotografia di fare un ulteriore passo al di fuori della riproduzione del reale. Io ho una tavoletta e una matita digitale, che uso come pennello».

Fondamentalismi

Miles continua a guardarci dall’alto. «È una foto del 1987, ero poco più che un ragazzino. Oggi ho quasi sessant’anni, la mia fotografia evolve con me, con la mia cultura, le mie conoscenze, la mia emozione». Questo per dire che D’Anna non è uno strenuo sostenitore dell’analogico, niente “prima era meglio”, nessuna Sindrome dell’epoca d’oro: «Sono più di quarant’anni che faccio il fotografo, ho un background di camera oscura, so esattamente cosa significa. Mi sono sempre piaciute le novità, sono una persona curiosa, gli strumenti nuovi mi hanno sempre affascinato, e il digitale di conseguenza. Sono un sostenitore dell’essere al passo con i propri tempi. Un mio caro amico e grande fotografo, Gianni Berengo Gardin, con il quale ho fatto due libri, scrive dietro le stampe fotografiche una serie di specifiche sul fatto che la fotografia è vera, non elaborata al computer e altro ancora. Ho il massimo rispetto per questa scelta, ma il mio mondo è diverso. Della fotografia m’interessa tutto, anche l’Nft, senza rinnegare il mio passato di pellicola, di bianco e nero, il ‘superclassico’».

L’ultima riflessione di Marco D’Anna tocca l’intelligenza artificiale (Ia), applicata all’Engadina di ‘Oltrereale’: «Credo che con i giusti parametri, qualcosa di questo tipo si possa ottenere. Sono felice di averlo fatto senza Ia, o prima». Poi ci mostra i fiori dell’Engadina, opere delle quali esiste un’anteprima a Villa Arconati, ma che saranno materia per il prossimo inverno. A differenza delle montagne, in questa composizione non c’è più nulla di figurativo, e nessun rapporto con il reale. E l’ago della bilancia che regola fotografia e pittura segna decisamente ‘pittura’. «Oggi sono questo. L’emozione è sempre la stessa, l’approccio mentale è sempre lo stesso, digitale o pellicola che sia. Lo scopo è sempre quello di lasciare un’immagine, che sia Miles Davis o questi fiori. L’importante è che trasmetta emozione e armonia».


Fiori d’Engadina

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