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Dafond: ‘Ticino2020 non risolverà molto? Riduttivo e ingeneroso’

Il presidente dell'Associazione comuni ticinesi replica al sindaco di Lugano Foletti: ‘Questa riforma cambia anche la perequazione finanziaria tra Comuni’

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(Ti-Press)
2 settembre 2023
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«Dire che il progetto di riforma Ticino 2020 non risolverà molto è un giudizio riduttivo e un po’ ingeneroso. Innanzitutto è un primo passo nella direzione tanto auspicata di riconoscere al Comune il suo ruolo istituzionale». E ancora: «Con Michele Foletti, Andrea Pellegrinelli e il sottoscritto abbiamo fatto parte del gruppo strategico, assieme ai consiglieri di Stato Vitta, Gobbi e De Rosa, che ha concretizzato questo progetto». Insomma, non tarda ad arrivare la replica del presidente dell’Associazione comuni ticinesi e sindaco di Minusio Felice Dafond all’intervista concessa a ‘laRegione’ dal sindaco di Lugano.

Colloquio con il quale Foletti ha pacatamente cannoneggiato su ‘Ticino 2020’, affermando testualmente che “non risolverà molto. Avrà il merito di fare chiarezza e trasparenza nei rapporti fra gli enti pubblici, ma non risolverà il problema dei Comuni paganti, che temo non verrà mai risolto”. Perché? Perché, Lugano in testa, “i Comuni paganti sono talmente pochi che non avranno mai i numeri necessari in Gran Consiglio per cambiare il sistema”. Quello della perequazione intercomunale.

‘La riforma della perequazione è un punto fondamentale’

E Dafond, da noi raggiunto, con conciliante determinazione non ci sta. «‘Ticino 2020’ è un progetto molto importante, per gli importi e anche per la ridefinizione di flussi e competenze tra Cantone e Comuni – premette il presidente dell’Act –. Ricordo a Foletti, ma non solo, che questo progetto è stato ostaggio per molto tempo dell’autorità cantonale, la quale ci aveva detto che prima doveva essere finanziariamente neutro per il cittadino poi, in corso di progetto, ci ha detto che doveva essere neutro anche nei rapporti tra Comuni e Cantone: senza oneri in più per il Cantone». Ecco, «questo ha complicato non poco il lavoro». Che però resta «pur non essendo l’Uovo di Colombo un progetto di riforma che ha un punto fondamentale». Ed è proprio «la riforma della perequazione cantonale».

Una riforma dovuta, «perché la situazione attuale è insoddisfacente», continua Dafond. Oggi «abbiamo una compensazione verticale tra Cantone e Comuni, poi una compensazione orizzontale tra Comuni e Comuni ma questi sistemi non sono trasparenti e con questi sistemi non si capisce bene. Si sa cosa, se e quanto si paga, ma non se è corretto o meno».

Tutti i cambiamenti che avverranno (prima o poi)

Ebbene, l’ultimo capitolo della riforma ‘Ticino2020’ che per Foletti “non risolverà molto”, per Dafond è invece importante: «È quello del nuovo sistema di perequazione finanziaria tra Comuni. Con questa novità avremo un progetto trasparente. D’un lato si tratta di assicurare a tutti i Comuni le risorse fiscali necessarie per svolgere i compiti minimi; di fondare i calcoli dell’importo da ridistribuire sui gettiti delle imposte; di adottare un indice del potenziale fiscale (basato sulle risorse pro-capite) quale criterio discriminante tra i Comuni paganti e quelli beneficiari; disporre di formule di prelievo e ridistribuzione che assicurino il rispetto della graduatoria calcolata sulle risorse pro-capite prima e dopo l’effetto della perequazione e che risultino il più possibile neutre in caso di aggregazioni comunali; di eliminare la perequazione indiretta; di eliminare il moltiplicatore politico d’imposta quale fattore di calcolo per il prelievo e la distribuzione dei contributi perequativi; di eliminare la fascia neutra e il concetto di ripresa».

Foletti cita le case anziani, con Lugano che ha il costo di cura giornaliero più basso ma versa 34 milioni per finanziare strutture che hanno costi di gestione anche doppi. Dafond su questo punto, con compostezza, ribatte: «In una situazione ingarbugliata come quella attuale dove sono comprese tutte le case per anziani private e pubbliche, i servizi di aiuto domiciliare privati e pubblici, compresi gli infermieri, si creano dei costi importanti. Questi costi, dedotto quanto pagano gli utenti, dedotto il contributo (plafonato) delle casse malati è assunto dai Comuni nella misura dell’80% e dal Cantone del 20%». E Dafond è caustico: «Siedo da molti anni in municipio, e nei municipi si dice spesso che sono spese obbligate, per le quali non si può fare niente… invece no!». Nel senso che «spetta ai Comuni condividere con il Cantone la governance di questo settore e quindi ottimizzare i costi». Con ‘Ticino2020’ «abbiamo proposto un’organizzazione tale da coinvolgere i Comuni nella gestione, permettendo loro di organizzarsi in un comprensorio e quindi di occuparsi dei costi. Vero, come dice Foletti, che Lugano e Bellinzona con le aggregazioni si sono messe parzialmente in rete, ma lo stesso lavoro va fatto nei comprensori con tutti i municipi e gli attori, parlandosi e cercando le migliori soluzioni».

Poi, «certo le città, rispetto alle regioni periferiche, producono la maggior quota di prodotto interno lordo, ma usufruiscono nel contempo di riparti fiscali di gettito e del gettito delle sedi delle società che producono ricchezza per tutto il nostro Cantone e offrono lavoro. Per l’effetto poi della concentrazione abitativa esse possono creare spazi interessanti per il cittadino e non solo per il lavoro ma anche per abitarvi».

Gobbi: ‘Se non si fa il primo passo, non rivedremo mai le competenze operative’

A intervenire, raggiunto da ‘laRegione’, è anche il direttore del Dipartimento istituzioni Norman Gobbi. Che innanzitutto premette come a suo avviso «Foletti non ha criticato ‘Ticino 2020’ ma un sistema che oggi è comunque perverso, e non fa rendere conto a dovere di quale sia il reale flusso finanziario tra Comuni e a noi sta a cuore la coesione tra Comuni ricchi e Comuni con meno risorse fiscali». Detto questo, riprende Gobbi, «è vero, ‘Ticino 2020’ non raggiunge il porto che inizialmente e idealmente avevamo fissato insieme, per i paletti posti lungo il percorso da parte del Consiglio di Stato ma anche da parte dei Comuni. Questo, evidentemente, ci porta a un approdo un po’ più distante rispetto al previsto». Però quello che va anche detto è che «si farà chiarezza nei flussi, sia quello verticale tra Cantone e Comuni sia quello orizzontale tra Comuni. Questo può creare un certo timore, sia in chi paga, sia in chi riceve».

Ma per Gobbi la pietra angolare è una: «Quello che è oggettivamente condiviso è che andare avanti col sistema attuale non risolve nessun problema: se il progetto di riforma non è la panacea di tutti i mali, rimanere fermi acuirebbe solo questi problemi. Per questo credo, e spero, che dalla consultazione in atto si cominci a guardare il macrosistema, l’impianto, e si guardi di meno il piccolo conto comunale: le serate informative organizzate dall’Associazione dei comuni e dall’Ente regionale dello sviluppo del Luganese aiuteranno».

Poi la conseguenza, per il direttore del Di, vien da sola: «Se non si fa il primo passo di questa riforma, con il riordino dei flussi e della perequazione, sarà ben difficile passare alla fase due, quella in cui possiamo rivedere le competenze operative tra Cantone e Comuni». Insomma, «se non c’è trasparenza sui flussi, ben difficile diventa un passo ulteriore per vedere chi fa cosa dal punto di vista operativo: per noi come Dipartimento istituzioni è importante consolidare questo approccio a un federalismo asimmetrico e differenziato, perché non tutti i Comuni sono uguali».

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