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Oltre 100mila firme per un Fondo per il clima

È riuscita l’iniziativa popolare lanciata da Verdi e Ps. Ne parliamo con i consiglieri nazionali Greta Gysin e Bruno Storni

Solo l’1% degli edifici viene risanato dal punto di vista energetico ogni anno in Svizzera
(Keystone)
31 gennaio 2024
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È riuscita l’iniziativa popolare congiunta di Verdi e Ps che chiede di istituire un fondo per il clima (vedi sotto). A poco più di un mese dalla scadenza del termine per la raccolta delle sottoscrizioni, i promotori fanno sapere a ‘laRegione’ di averne raccolto complessivamente «più di 100mila». Le firme verranno consegnate il 22 febbraio alla Cancelleria federale.

La lezione del ‘no’ popolare alla Legge sul CO2 (2021) è stata imparata. Stavolta nessun obbligo, divieto o restrizione per il cittadino. Nemmeno tasse d’incentivazione, in base al principio ‘chi inquina paga’. Invece, massicci investimenti pubblici. «La svolta climatica è in primo luogo una responsabilità collettiva, non può essere demandata unicamente al singolo individuo», spiega Greta Gysin, consigliera nazionale dei Verdi. I privati stanno facendo la loro parte. Chi può, almeno. «In Svizzera i cittadini ormai investono molto nelle rinnovabili, in particolare per il fotovoltaico. Ma non tutti possono permettersi certe spese, al netto dei sussidi», le fa eco il consigliere nazionale socialista Bruno Storni.

L’aspetto sociale

L’aspetto sociale è cruciale. Finanziamento e attuazione delle misure devono essere “socialmente equi”, recita il testo dell’iniziativa. Cosa significa? La svolta climatica «funziona soltanto se è equa dal punto di vista sociale», se comporta «benefici diretti per le persone meno abbienti», dichiara Gysin. La deputata ecologista pensa in particolare agli investimenti che un fondo per il clima consentirebbe nell’ambito del risanamento energetico degli edifici, che dovrebbero portare a una diminuzione delle spese accessorie per gli inquilini.

Anche Storni ha in mente gli inquilini. Così come i proprietari di immobili: «In Svizzera ogni anno solo l’1% degli immobili viene risanato dal punto di vista energetico. Si fanno circa 8mila ‘cappotti’: di questo passo, ci vorrà un secolo per rendere climaticamente idoneo il parco immobiliare. Il problema è che un sacco di gente non ha i soldi per eseguire questo tipo di lavoro. Oppure molti proprietari di palazzine vi rinunciano, per svariate ragioni. Qui il potenziale è enorme. Il fondo per il clima, sostenendo finanziariamente chi non ha i mezzi, permetterebbe di sfruttarlo molto meglio».

Il fondo per il clima è ‘sociale’ per almeno altre due ragioni. La prima è legata al finanziamento: «Le risorse non proverrebbero da tasse di incentivazione, che tutti pagano allo stesso modo, ma dalle casse della Confederazione, alimentate in buona parte dagli introiti dell’imposta federale diretta, proporzionale al reddito», spiega il deputato di Gordola.

In secondo luogo, il fondo fornirebbe i fondi necessari per implementare misure di formazione, formazione continua e riqualifica professionale. «L’idea – rileva Gysin – è di ‘accompagnare’ i lavoratori dei settori ad alta emissione di CO2 – come l’aviazione, o quello dei carburanti e combustibili fossili – nella transizione verso impieghi in settori virtuosi sotto il profilo climatico». L’esempio è quello dei bruciatoristi: a mano a mano che i riscaldamenti a gas e a nafta scompariranno, «sono destinati a restare senza lavoro», osserva Storni. «Bisognerà perciò disporre di risorse sufficienti per offrire una riqualifica a queste persone, che grazie alla svolta energetica potranno trovare un nuovo lavoro. Nella fabbricazione e la posa di pannelli solari, ma anche di termopompe o serramenti. Oppure ancora nella realizzazione di isolazioni termiche per gli edifici».

Freno all’indebitamento in discussione

Dai 3,5 ai 7 miliardi l’anno: tanto potrebbe costare alla Confederazione il fondo per il clima, stando alle proiezioni fatte a suo tempo. Ce lo potremmo permettere solo allentando il freno all’indebitamento. Ed è proprio questa la via indicata dai promotori dell’iniziativa. Gysin ritiene necessario «un ripensamento» di questo corsetto finanziario che, se da un lato «garantisce l’equilibrio di bilancio nel corto termine», dall’altro «limita fortemente le possibilità di investimento a medio-lungo termine». «Nella politica energetica e climatica – aggiunge la consigliera nazionale – questi investimenti permetterebbero di ottenere enormi risparmi. Basti pensare agli 8 miliardi di franchi che spendiamo ogni anno per importare energie fossili: soldi che grazie alla svolta climatica resterebbero in Svizzera, con ricadute positive anche sul piano economico e occupazionale».

Storni abbonda nella stessa direzione. «La Svizzera ha un debito pubblico tra i più bassi al mondo. E questo freno all’indebitamento è di una rigidità esagerata». Il fondo, invece, è «un investimento pagante a lungo termine». Nel senso che «evita importazioni nocive per il clima, crea ricchezza e occupazione in Svizzera, genera dunque introiti fiscali, e mitiga danni ambientali per miliardi di franchi dovuti al cambiamento climatico». «A beneficiarne saranno le prossime generazioni», si dice convinto il consigliere nazionale di Gordola.

Che lo Stato debba indebitarsi ulteriormente per finanziarlo «non è un problema, anzi è una necessità», afferma Gysin. Tanto più che a livello di finanze pubbliche la «Svizzera è messa molto bene». La Confederazione «si permette spese ingenti in alcuni ambiti, come l’esercito, ed è pronta a mettere a disposizione decine di miliardi di franchi per garantire il salvataggio delle grandi banche». «Sarebbe ora – conclude – che si riconoscessero le priorità, quelle vere, che toccano l’insieme della popolazione».

la scheda

Un Fondo da 3,5-7 miliardi l’anno

Lanciata congiuntamente nel settembre del 2022 da Verdi e Ps, l’iniziativa popolare, denominata ‘Per una politica energetica e climatica equa: investire per la prosperità, il lavoro e l’ambiente’ (Iniziativa per un fondo per il clima)’, obbliga Confederazione, Cantoni e Comuni a lottare “contro il riscaldamento climatico di origine umana e le sue conseguenze sociali, ecologiche ed economiche”. Ciò deve avvenire “in conformità con gli accordi internazionali”. Inoltre, finanziamento e attuazione delle misure devono essere “socialmente equi”.

Tutto ruota attorno a un fondo per il clima, dal quale la Confederazione attingerebbe sia per finanziare progetti climatici propri, sia per sostenere gli investimenti di Cantoni, Comuni e terzi in svariati ambiti. Come la decarbonizzazione dei trasporti, degli edifici (tramite la sostituzione dei sistemi di riscaldamento a combustibili fossili, fra l’altro) e dell’economia. Oppure il risparmio energetico, la sicurezza dell’approvvigionamento e il potenziamento delle ‘rinnovabili’. O ancora il rafforzamento della biodiversità.

La Confederazione alimenterebbe il fondo ogni anno fino al 2050, al più tardi a partire dal terzo anno dopo l’accettazione dell’iniziativa, con lo 0,5-1% del prodotto interno lordo. Ciò corrisponde a un importo annuo compreso fra i 3,5 e i 7 miliardi di franchi. Una somma che verrebbe sottratta al freno all’indebitamento e che potrebbe essere ridotta “in maniera adeguata” quando la Svizzera avrà “raggiunto i suoi obiettivi climatici e internazionali”.

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