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Un ‘ponte’ tra la piazza e il Parlamento

Christian Levrat lascia la presidenza del Pss. La futura co-presidente Mattea Meyer spiega come intende il ‘nuovo’ ruolo del partito.

(Keystone)
16 ottobre 2020
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Mattea Meyer, domani diventa co-presidente del Partito socialista svizzero. Con quale sensazioni?

Me ne rallegro. Sono anche un po’ tesa, nervosa [ride, ndr]. È una grande sfida quella che attende me e Cédric [Wermuth]. Ma sono ottimista.

Un’enorme responsabilità: a 32 anni diventa co-presidente del secondo partito svizzero.

Certo. Sono felice di poterla condividere con Cédric. E sono consapevole che è l’incredibile lavoro svolto dai nostri membri, nelle sezioni locali e cantonali, a fare la forza del Ps svizzero. È questo che ci motiva ad assumere la carica, alla testa di un partito che ha ottenuto conquiste importanti per il Paese, come l’Avs o il diritto di voto delle donne. Sono fiera di appartenere a questo partito, che anche nel ventunesimo secolo vuole essere un punto di riferimento per le cruciali sfide che ci attendono: la crisi climatica, ma anche la difesa dei salari, così come i problemi delle cittadine e dei cittadini confrontati con affitti elevati e premi di cassa malati che non cessano di aumentare, come ben sapete in Ticino.

Lei e Cédric Wermuth avete fatto la gavetta nella Gioventù socialista, siete considerati dei “gemelli politici”. Non è per forza un vantaggio.

Essere “gemelli politici” lo è. Se non fosse così, sarebbe facile per chiunque giocare sulle differenze, metterci l’uno contro l’altra. Con Cédric ci conosciamo da tempo, abbiamo sempre lavorato bene assieme. Tra noi c’è una grande fiducia. Abbiamo optato per la formula della co-presidenza perché siamo convinti che l’epoca dei ‘combattenti solitari’ sia finita e che in un team si possa lavorare meglio, in modo più costruttivo. Siamo anche convinti che sia possibile assumere allo stesso tempo la responsabilità di dirigere un grande partito come il Ps e quella di una famiglia, assieme al proprio partner: sia io che Cédric abbiamo figli piccoli. Ci spartiremo i compiti in modo equo: una volta sarà lui ad andare in una sezione, un’altra volta sarò io. Vogliamo inoltre che la vicepresidenza [7 membri, tra i quali il consigliere nazionale ticinese Bruno Storni, n.d.r.] abbia un ruolo forte e sia presente, in tutta la Svizzera. Si tratterà anche di far confluire nella politica del partito a livello nazionale le esperienze positive fatte dalle sezioni cantonali. La sezione lucernese si è battuta contro la riduzione dei sussidi di cassa malati [bocciata dal Tribunale federale, n.d.r.]. Poi altre sezioni cantonali hanno seguito l’esempio, con successo.

Cosa pensate di poter fare meglio di Christian Levrat?

Christian Levrat in questi ultimi 12 anni ha dato molto al partito. Ma ora bisogna guardare avanti. Cédric e io siamo convinti che la politica non comincia né finisce a Palazzo federale. Molti passi avanti vengono fatti fuori, sulla piazza: lo vediamo adesso per esempio con i movimenti per il clima o per lo sciopero delle donne; ma anche con tutte queste persone – gli indipendenti, le lavoratrici e i lavoratori precari – duramente colpite dalla crisi del coronavirus. È un lavoro di collegamento tra questi due ‘mondi’ – quello fuori e quello dentro Palazzo federale – che ci proponiamo di portare avanti. Un lavoro perfettamente in linea con la nostra traiettoria personale: la mia ‘politicizzazione’ è avvenuta attraverso le proteste contro la guerra in Irak e contro le banche, durante la crisi finanziaria del 2007-2008.

Due co-presidenti con lo sguardo rivolto più alla piazza che a Palazzo federale. Così sarà più complicato tessere alleanze in Parlamento.

No, non credo. Abbiamo un forte gruppo parlamentare, coordinato da Roger Nordmann. Sia io che Cédric ne facciamo parte, ma non vogliamo certo essere una seconda presidenza della ‘frazione’. Saremo i presidenti dell’intero partito, dei nostri membri e dei partiti cantonali. Di recente in Parlamento mi sono battuta per la rendita ponte a favore dei disoccupati ‘over 60’, così come per il prolungamento delle indennità per la perdita di guadagno agli indipendenti, ai titolari di piccoli commerci e ai lavoratori su chiamata. Sono riuscita a ottenere qualcosa proprio grazie alla capacità di tessere alleanze, di scendere a compromessi, oltre gli steccati partitici.

I rappresentanti dell’ala moderata nel gruppo parlamentare si sono praticamente estinti. Non è un problema?

Ne abbiamo discusso molto al nostro interno nelle ultime settimane. Tutti comunque, anche chi si richiama alla Piattaforma riformista [gli esponenti dell’ala pragmatica, n.d.r.], si sentono parte della stessa famiglia politica. Sia io che Cédric vogliamo rafforzare la discussione interna sui contenuti: sono questi scambi che fanno la forza di un partito. Si tratta anche di avere un occhio di riguardo per le diverse realtà presenti nel Paese. Per questo vogliamo rafforzare gli scambi anche col Ps ticinese.

Alcune sezioni romande e buona parte del gruppo parlamentare hanno espresso il timore che con voi il Ps si ‘gisificherà’ [da Giso, acronimo di Gioventù socialista, solitamente su posizioni più radicali rispetto al partito dei ‘grandi’, n.d.r.], scivolerà a sinistra. Può capirle, queste critiche?

Mi sento molto bene nel partito, so che qui affondano le mie radici politiche e sento di avere un forte sostegno. Io e Cédric per anni abbiamo fatto politica a livello comunale e cantonale. A Winterthur, quand’ero presidente della locale sezione socialista, ho sempre lavorato in maniera costruttiva con Daniel Jositsch [ora ‘senatore’, n.d.r.], Chantal Galladé [ex consigliera nazionale del Ps, nel frattempo passata ai Verdi-liberali, n.d.r.] e Yvonne Beutler, tutti esponenti di spicco della Piattaforma riformista del Ps svizzero. Un partito ‘Gisificato’? Non dimentichiamo che dalla Giso negli ultimi anni sono uscite – anche in Ticino – persone diventate poi presidenti di sezioni cantonali, deputati nei parlamenti cantonali o parlamentari federali. Poter contare su nuove leve è un punto di forza.

Alle ultime elezioni federali il Ps è sceso di due punti percentuali al 16,8%, ai minimi dal 1919. Fa ancora male quella sconfitta?

La sconfitta è stata amara e ha fatto male. Va però letta in modo differenziato. Assieme ai Verdi, la sinistra arriva adesso al 30% dei voti nelle elezioni per il Consiglio nazionale: complessivamente non è mai stata così forte. E questo fa la differenza. Negli ultimi otto mesi siamo riusciti a ottenere – alle ultime elezioni federali, poi nel lavoro parlamentare, infine nelle votazioni popolari – quello che non eravamo riusciti a ottenere nelle due passate legislature.

Mai come ora il vento della politica soffia alle spalle della sinistra, ma il Ps – da sempre il partito faro dell’area progressista – non riesce ad approfittarne.

Non sarei così netta. In Ticino, ad esempio, Marina Carobbio è stata eletta al Consiglio degli Stati, facendo sensazione. Nelle elezioni cantonali e locali degli ultimi mesi siamo rimasti praticamente stabili. Non brilliamo, certo. Ma restiamo la principale forza politica di sinistra di questo Paese. Ad ogni modo, aldilà delle percentuali, ciò che conta è quel che riusciamo a portare a casa a favore dei cittadini. Parlo di risultati tangibili, come quelli ottenuti alle votazioni federali di fine settembre.

Nessuna paura dei Verdi che continuano a crescere, dunque?

A volte si è alleati, altre volte concorrenti. Quel che conta è che sulle questioni essenziali – giustizia climatica, potenziamento dell’Avs, abbassamento dei premi di cassa malati, ecc. – ci sia un impegno comune.

La sua professione è quella di politica, ormai. Se tutti facessero come lei, sarebbe la fine del sistema di milizia.

“Quelli fanno i politici di professione, non hanno alcuna idea della vita reale”. Politici borghesi me lo rimproverano in continuazione. Io sono del parere che le decisioni che prendiamo come politici abbiano un’enorme portata, effetti tangibili sulla vita quotidiana delle persone. Vanno ponderate seriamente, e per questo c’è bisogno di tempo. Un’altra cosa: i rimproveri ai politici professionisti, molto spesso, vengono mossi da colleghi parlamentari la cui professione è quella di accumulare mandati su mandati, lautamente retribuiti, nei consigli d’amministrazione. Io sono una politica che si occupa – accanto al mio mandato di consigliera nazionale e assieme al mio compagno, con compiti equamente suddivisi – di una figlia in tenera età. E così mi sento molto più vicina alla realtà vissuta dalle persone di questo paese, di quanto si possano sentire politici di milizia che con cinque mandati in un consiglio d’amministrazione incassano 200mila franchi all’anno, oltre al reddito che percepiscono in qualità di parlamentari.

La scheda

Due al posto di uno

Salvo improbabili sorprese, i consiglieri nazionali Mattea Meyer (32 anni) e Cédric Wermuth (34) verranno eletti sabato alla presidenza del Partito socialista svizzero in un congresso che si terrà online e non a Basilea, come previsto. L’unico sfidante della zurighese e dell’argoviese è infatti il 26enne Martin Schwab, di Nidau (Berna), sconosciuto al grande pubblico. I futuri co-presidenti del secondo partito del paese – sarebbero i più giovani presidenti che il Ps svizzero ha da decenni a questa parte – sono considerati gemelli, politicamente parlando. Entrambi hanno militato per diversi anni nella Gioventù socialista: Wermuth ne è stato dapprima segretario generale e poi presidente (2008-2010), Meyer vicepresidente (2009-2013). Il primo è entrato in Consiglio nazionale nel 2011, la seconda quattro anni dopo. La zurighese vive con la sua famiglia (il compagno e una figlia di quattro anni) a Winterthur, l’argoviese – sposato e padre di due figli – a Zofingen. Meyer e Wermuth ricevono il testimone dal consigliere agli Stati Christian Levrat, che ha guidato il partito negli ultimi dodici anni e che ha annunciato le sue dimissioni all’indomani del pessimo risultato (16,8%, mai così in basso nell’ultimo secolo) conseguito dal partito alle elezioni federali dell’autunno 2019.

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