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Un eroe imperfetto

La ricerca quasi ostinata del martirio ha fatto di Navalny un personaggio che va oltre i suoi meriti e i suoi demeriti

In sintesi:
  • La decisione fatale di tornare in patria lo ha reso quasi un protagonista da romanzo dell’Ottocento
  • Nel suo passato anche parecchie ombre, ma un destino comune a tutti i nemici di Putin
Alexei Navalny in versione oratore
(Keystone)
20 febbraio 2024
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C’è da sperare che anche da morto continui a essere un incubo per il truce autocrate che troneggia al Cremlino con le sue sembianze da mediocre scaccino ortodosso. Ucciso dall’esilio nel gulag lassù, a 2’000 km da Mosca, nel gelo del circolo polare artico o direttamente assassinato da qualche sicario, da un’ennesima dose di Novichok, forse non lo si saprà mai.

Confinato nella colonia penale IK-3, Alexei Navalny non ha mai ceduto al crudele accanimento dei secondini: spedito 27 volte in isolamento per aver denunciato “la guerra criminale in Ucraina” per aver citato una risoluzione della Corte europea dei diritti umani, ma pure per non aver pulito bene il cortile o per aver abbottonato male l’uniforme carceraria. Tre dei suoi avvocati sono stati imprigionati negli ultimi mesi.

Decisamente Alexei era un personaggio scomodo anche in galera. I familiari sono stati informati del suo decesso con un lapidario documento: “Morto il 16 febbraio alle 14.17 ora locale”. Russia Today e altri media di regime si sono affrettati a parlare di morte naturale, di trombosi, un po’ tanto improvvidi nell’anticipare l’autopsia con la versione ufficiale.


Keystone
Il lutto per il dissidente

Quattro giorni dopo, alla ricerca di una verità proibita, la madre del dissidente e gli avvocati si trovano a cozzare contro i silenzi, le ostruzioni, le porte blindate di carcere, ospedale e obitorio. Nessuna possibilità al momento di vedere la salma. “Quel blogger”, “quel personaggio”: Vladimir Putin gli ha sempre negato un nome, oggi alla famiglia nega il suo corpo.

Navalny con le sue inchieste sulla corruzione era indubbiamente il più scomodo dei personaggi pubblici in Russia (36 milioni di visualizzazioni per l’inchiesta sui capitali e le proprietà di Dmitri Medvedev, ben 130 milioni per quella in cui smascherava l’esistenza del gigantesco palazzo di Vladimir Putin sul Mar Nero).

Il suo percorso politico è stato segnato da non poche ombre nel primo decennio del 2000: una militanza nazionalista radicale, diversi eccessi xenofobi nei confronti dei caucasici manifestati con estrema violenza verbale. Ha fatto insistentemente ammenda, e nel passato più recente il lavacro di una militanza liberale e democratica gli ha consentito di guadagnarsi un’aura di credibilità, assumendo agli occhi del mondo il ruolo di antagonista per antonomasia alla tirannia moscovita. La quale – è utile ricordarlo – si alimenta ideologicamente di un nazionalismo di tradizione apertamente nazi-fascista (in particolare il revanscismo slavofilo di pensatori quali Dugin o Il’in).


Keystone
Navalny con la moglie Yulia

Putin non fa comunque differenze tra i suoi nemici, li elimina senza distinzione: democratici (come Boris Nemtsov), avvocati (Sergei Magnitsky), mafiosi (l’ex alleato Evgenij Prigozhin capo delle milizie Wagner), giornalisti (tra i tanti, Anna Politkovskaja, Yuri Shchekochikhin, Natalia Estemirova). Navalny, come rivela un’inchiesta del sito Bellingcat, fu pedinato e avvelenato nel 2020 dall’Fsb (ex Kgb): Putin negò ovviamente di essere il mandante (“se fossi stato io sarebbe morto”).

Navalny venne salvato dai medici in un ospedale tedesco. Poi la decisione fatale di tornare in patria, quasi volesse incarnare il più russo dei martirii, in uno spirito da romanzo dell’800. Una decisione – come sottolinea Roberto Saviano – che ricorda il socratico eroismo: l’ingiustizia devi viverla per renderla davvero visibile. In questo, l’ondata di indignazione ha già consegnato a questo eroe imperfetto una grande vittoria.

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