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Nuvolette di Emmentaler, facsimile elvetico

Sono molte le peculiarità svizzere che vengono ‘rubate’, copiate e duplicate nel mondo. Ultimo caso? Le foto turistiche della Tailandia

In sintesi:
  • Potremmo chiamarla ‘la tentazione del copia-incolla’
  • La piccola Helvetia fa (ancora) gola a molti
Mi mangio l’Helvetia
(Ti-Press)
4 luglio 2023
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Hanno provato a copiare il cioccolato, ricordate ‘svizzero? No, Novi’? Hanno cercato di entrare nei meccanismi di orologi a cucù e coltellini rossocrociati. Dall’Italia hanno anche pensato bene di allargare i confini e annettere la Verzasca per farci le Maldive di Milano. C’è poi chi vorrebbe clonare l’affidabilità e la puntualità dei trasporti pubblici elvetici e chi rimpinguare le cassette di sicurezza casalinghe come, soprattutto un tempo, quelle dei maggiori centri finanziari, da Zurigo a Ginevra passando per Lugano. Qualcuno si è pure intrufolato, dal darkweb, negli archivi dell’Amministrazione federale per carpirne segreti, informazioni e, magari, riportare alla vita qualche... scheletro.

Insomma, la piccola Helvetia fa (ancora) gola a molti. Anche, dunque, al mondo della pubblicità. Dai laghi alle montagne, dalle banche alle mucche, le ‘bellezze’ confederate vengono spesso prese come spunto, tanto da desiderare, con ogni mezzo, di riprodurle. Così nelle Filippine, dove una campagna di promozione turistica, anziché utilizzare proprie immagini, ha sfacciatamente ‘rubato’ scatti panoramici, fra altri Stati, anche alla Svizzera.

Potremmo chiamarla ‘la tentazione del copia-incolla’. Individuo un’eccellenza e ne faccio un doppione, e non importa se il cacao non ha la stessa qualità e la lama si spezza solo a tagliare un pomodoro, se i minuti restano cronicamente indietro e se Manila continua a essere lontana migliaia di chilometri da Berna.

Siamo là, ma vorremmo essere qui. È stato prodotto lì, ma avremmo voluto concepirlo a una diversa latitudine, magari almeno. Ce lo insegnano e impongono, spesso e volentieri, i Paesi orientali che sempre più entrano a gamba tesa nel mercato internazionale, forti di una concorrenza, in prezzi e persone, quasi irraggiungibile: un orologio a 10 franchi, un chilo di (falso) Emmentaler a 5 (senza buchi si risparmia). Anni fa produssero persino delle mentine della Marina svizzera!

Lontani sono i tempi delle nuvolette di gambero o dei Budda di simil-ceramica, oggi la vera ‘arte’ pare essere il facsimile. Quasi uguale a, uguale ma non troppo, identico se non fosse che... Del resto, oltre dieci anni fa, il comico-politico Beppe Grillo lo aveva prefigurato: “Dobbiamo copiare quello che possiamo copiare dagli svizzeri pur essendo italiani”. Peccato però che la carta carbone spesso annerisca tutto il foglio bianco, con il concreto pericolo di macchiare dita e senso di colpa. Perché, anche se ci si salva da sbavature, resta comunque... una (brutta) copia.

“Piuttosto che una borsa fake mi compro un sacchetto in rafia”, è l’iconica e costante frase di una cara e vecchia amica. Oggi continuo, come lei, a pensarla così: meglio un quadretto di quello buono, che una tavoletta indefinita in gusto e aroma; meglio una gustosa raclette, acquistata direttamente in capanna, che un intruglio di caseina ‘made in somewhere’; meglio un tuffo nei nostri laghi e fiumi anziché nelle acque, pur cristalline, di ‘ricostruite’ spiagge caraibiche.

Continuo a scegliere l’originale, aborro il duplicato. E se proprio non posso permettermi un Rolex, ebbene, per sapere che ore sono, preferisco ancora alzare lo sguardo verso il campanile, quello del mio (nostro) paese.

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