laR+ IL COMMENTO

Neutralità tra coerenza e opportunismo

Tra neutralità e indifferenza, così come tra equidistanza e codardia, tra coerenza e camaleontismo il confine è labile

In sintesi:
  • La discussione sul tema e la pressione sulla Svizzera sono tra i pochi risultati di questo Wef
  • Non esiste ‘la’ neutralità, esistono ‘le’ neutralità
(Keystone)
23 gennaio 2023
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A occhio, l’aver riproposto l’annosa disputa sulla nostra neutralità sembra essere tra i rari tangibili risultati di un’edizione sottotono del Wef di Davos, destinata a entrare negli annali forse unicamente per l’indecorosa speculazione degli affittacamere. Tra realtà storiche, miti, interpretazioni strumentali, la questione è tanto centrale quanto impossibile da considerare in modo univoco. Siamo in effetti nel campo della polisemia, dell’evoluzione storica, dell’ambiguità e dei rapporti di forza. Ne sa qualcosa Ignazio Cassis, che ha a più riprese cercato di rendere meno rigida, sulle tracce di Micheline Calmy-Rey, l’equidistanza patria. Passare dalla "neutralità attiva" della socialista ginevrina a quella "cooperativa" del ticinese non sarebbe stato solo un passaggio semantico: avrebbe consentito ad esempio esercitazioni militari congiunte con forze Nato. Troppo per il Consiglio federale, che preferisce rimanere al più prudente rapporto redatto trent’anni fa.

La pressione occidentale (e ucraina) nella località grigionese si è manifestata con insistenza, ma al momento sono fuori discussione sia la fornitura di armi sia l’utilizzo, richiesto in particolare dalla sinistra (Ps), dei fondi congelati agli oligarchi russi (7,5 miliardi, bruscolini stando alla stima di 200 miliardi) per la ricostruzione del Paese aggredito. Un passo audace che necessiterebbe tuttavia di una modifica legislativa, e comunque gravido di potenziali contraccolpi per la piazza finanziaria. La destra, che può certamente rivendicare coerenza nella difesa della neutralità – suo caposaldo identitario, cifra del suo Dna – ha già sfoderato le spade: l’iniziativa lanciata da Pro Svizzera (in sostanza Blocher, l’Udc, gli ultras sciovinisti dell’Asni – Azione per una Svizzera Neutrale e Indipendente) mira a iscrivere nella Costituzione una definizione rigida e blindata della neutralità, che vieterebbe per esempio sanzioni economiche come quelle oggi attuate contro Mosca.

La battaglia sul futuro si combatte anche sull’insidioso terreno del nostro passato. Chi ne difende una definizione integralistica risale alla sconfitta di Marignano nel 1515 che segnò la fine definitiva dell’espansionismo elvetico. La moderna neutralità non fu comunque l’espressione di un epico sussulto patriottico, bensì il risultato di una sostanziale imposizione straniera alla fine delle guerre napoleoniche. Concetto intricato e soprattutto facilmente strumentalizzabile da chi più o meno candidamente lo associa ad astensione, disimpegno, isolamento. Le neutrali Austria o Svezia sono nell’Ue, noi stessi siamo membri dell’Osce e del Partenariato per la pace con la Nato, i militi di Swisscoy sono da anni nel Kosovo, la bandiera della missione militare di pace svizzera sventolava tra le due Coree già nel 1953.

Non esiste "la neutralità", esistono "le neutralità". Siamo mai stati veramente neutrali durante la guerra fredda? I buoni uffici e le mediazioni non sono forse sopravvalutati? Una neutralità impalata si presta anche ad accuse di opportunismo: quelle lanciate nella diatriba su fondi ebraici e oro dei nazisti o sul Sudafrica dell’Apartheid non hanno certamente rafforzato l’immagine di prodi "liberi e svizzeri" in grado di garantirsi con la loro superiorità morale un’eterna pace kantiana. Di kantiano qui c’è tutt’al più, prosaicamente, solo la complessità: tra neutralità e indifferenza così come tra equidistanza e codardia, tra coerenza e camaleontismo il confine è labile. Sarà la cruciale battaglia politica in corso a disegnarne il tracciato.

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