Commento

Milioni a palate per Notre-Dame. E i poveri cristi?

Una chiesa non la fanno i mattoni, ma la comunità attenta anche ai tanti Quasimodi e alle tante Esmeralde che stentano a tirare la fine del mese!

20 aprile 2019
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Le fiamme nel cuore di Parigi sono ormai spente. Ora fanno discutere (e riflettere) tutti quei milioni, un vero record, donati per riportare in vita Notre-Dame. Quante emozioni forti in pochi giorni! C’è stato il momento dello stupore, lunedì sera: ci ha zittiti e incollati agli schermi tv, davanti a quelle fiamme troppo alte e indomabili, che hanno ridotto in cenere in poche ore centinaia d’anni di storia e cultura pure nostre. Ricordandoci anche la nostra finitezza. È poi seguito il momento della presa di coscienza sull’entità del danno (per fortuna solo materiale), sull’assenza di cause da ricondurre ad atti terroristici e sulla volontà della grande maggioranza di ricostruire, anche in tempi brevi, la svettante cattedrale. E poi c’è stato il momento della rincorsa, quasi forsennata, a chi mette sul banco più milioni di euro per contribuire al restauro. Centinaia di milioni, donati in particolare da facoltose famiglie francesi, griffate e non, che sono spuntate – con la loro benevolenza – come… champignons. Per carità, brave, ben vengano tutti quei milioni. Ma dove erano tutti i benefattori prima che Notre-Dame attirasse la loro attenzione? Forse, per quanto ne sappiamo, già c’erano e già avevano, o stavano contribuendo, con discrezione alla salvaguardia di questo o quel monumento. E, se così fosse, questa riflessione potremmo già chiuderla qui. Ma se non c’erano prima, quando la cattedrale aveva necessità di sostegni economici senza i riflettori del pianeta ad illuminarla, vale la pena riflettere – almeno un attimo – sul perché e per come una persona/famiglia del Gotha mondiale ad un certo punto decida di intervenire in modo così deciso e generoso. L’emozione per quelle fiamme ha preso il sopravvento? Voglia di entrare nella storia, per essere fra i pochi magnanimi benefattori della nuova ‘era del 5G’? Donare alla chiesa, pensando al dopodomani, perché non si sa mai… Lasciamo senza risposta queste domande, tanto non ne avremo mai una certa. E poi a che servirebbe?

Guardiamo piuttosto ad un’altra polemica (che speriamo non rimanga tale) che accompagna anch’essa la pioggia di versamenti che sta ormai superando il miliardo di euro. C’è chi ha visto nella gara a elargire denaro anche uno schiaffo alla miseria. Francese e non. Il segretario del sindacato francese Cgt ha detto – lo ha riportato laRepubblica – ‘la smettano di dirci che non ci sono abbastanza soldi per rispondere all’emergenza sociale’. Dal canto suo la fondazione Abbé Pierre invita – udite udite – a dare l’1% delle somme versate per la cattedrale ai bisognosi.

Si tratta di una proposta – quella dell’1% – destinata a creare un interessante dibattito. Perché una chiesa, piccola o grande che sia, non la fanno i mattoni, le architravi, il tetto, i dipinti anche preziosi, i candelabri e le croci d’oro. No. La chiesa la fa – da quel poco che ricordo – la comunità dei credenti che si raduna in un determinato spazio. Spazio che può anche essere una palestra scalcagnata o un prato erboso sotto il cielo. Certo, potrebbe anche essere una cattedrale. Ma se quell’opera magistrale è stata edificata/
riparata spendendo/investendo milioni e milioni, e se fuori da essa vi sono persone (non necessariamente credenti, magari tanti Quasimodi, tante Esmeralde e tanti poveri cristi) che stentano a tirare la fine del mese e mettere insieme il pranzo con la cena, che senso ha – mi chiedo – investire tanti milioni nelle pietre?

Mentre facevo fra me e me queste riflessioni, Lulo Tognola mi ha inviato la vignetta che pubblichiamo oggi a pagina 20 per la rubrica del Sofà. Fa vibrare le corde giuste, ponendosi sulla stessa lunghezza d’onda della richiesta della fondazione Abbé Pierre. Buona Pasqua!

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