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Il capo Dogana Sud: ‘È mancata la discussione generale’

Permangono le preoccupazioni per la trasformazione che tocca sicurezza e controlli lungo il fronte sud

Specializzazioni a confronto
18 marzo 2024
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Silvio Tognetti è il capo Dogana Sud. Lo abbiamo incontrato per confrontarci sul clima che aleggia all’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (Udsc) dove vi è in atto una importante trasformazione.

Partiamo subito dall’intervista che l’ex comandante Rossinelli ha concesso a ‘laRegione’ il 16 gennaio scorso. Viene fuori un quadro di un Corpo minato in equilibrio e missione. Molte voci all’interno, e che abbiamo raccolto nell’articolo correlato, ne attestano la veridicità. Si potrebbe pensare a un passo indietro o quantomeno a un aggiustamento?

Sono stati pubblicati a novembre i risultati, commissionati dal Dipartimento federale delle finanze, di uno studio volto a considerare il nuovo profilo professionale unico o comune, che unisce lo specialista doganale di una volta e la guardia di confine. Ebbene questo gruppo di esperti ha indicato che la via scelta è quella corretta, tanto da sconsigliare la reintroduzione delle due professioni. Una nuova formazione in linea con la trasformazione digitale. Dal mio punto di vista non posso che confermarlo, anche attraverso gli esiti lavorativi e i controlli che sono, vorrei utilizzare questo termine, a 360 gradi. Abbiamo così guadagnato in efficacia e, per quanto riguarda il contribuente, in velocità. E questo è sicuramente un aspetto importante che dimostra come la strada imboccata della formazione unica sia stata quella più pertinente.

Nessun ripensamento dunque?

Il rapporto mostra che nella gestione dei cambiamenti sono stati commessi degli errori. Abbiamo probabilmente intrapreso un cammino forse troppo velocemente e probabilmente non abbiamo integrato e coinvolto sufficientemente le parti interessate, in un contesto di discussione generale; è forse ciò che è maggiormente mancato in questa fase. Vogliamo evidentemente migliorarci e abbiamo capito che siamo chiamati a fare di più. Con l’implementazione successiva andiamo proprio in questa direzione, di raccoglierne le osservazioni così da poter fare meglio. Come? Coinvolgendo il personale, i partner esterni. Certo, lo facciamo già, ma lo dobbiamo fare meglio! In un processo di transizione, risulta fondamentale non solo idearlo e codificarlo, ma successivamente anche spiegarlo, questo sicuramente è un aspetto importante che è mancato.

Pensate di porvi rimedio?

Il nuovo direttore, Pascal Lüthi, è già in visita da quest’anno nelle varie regioni e lo sarà ancora, arriverà naturalmente anche in Ticino, e si presterà a rispondere alle domande, a chiarire alcuni punti che sono magari ancora aperti. Proprio per togliere queste incertezze che sono tipiche di un momento di ‘changement’. Ne abbiamo consapevolezza. Quando c’è un cambiamento di questa portata, si parla non di una modifica, ma di una trasformazione. E in questo risulta importante dare delle risposte, attraverso soprattutto indicazioni sul dove si vuole andare. Lo spirito nuovo è, quindi, quello di portare il messaggio fino in fondo.

L’ex direttore generale Christian Bock, artefice della trasformazione, anziché assistere alla conclusione dell’iter ha lasciato la sua carica, uscendo totalmente dal Corpo. Forse ha accusato le critiche?

Mi permetta di non rispondere direttamente alla sua domanda perché parliamo di una questione personale. Mi rifaccio semplicemente a quanto il Consiglio federale ha scritto nel suo messaggio. C’è stata una ‘risoluzione consensuale del rapporto di lavoro’. Durante la sua carica ha diretto numerosi progetti, in particolare il programma di trasformazione DaziT, il cui incarico gli era stato assegnato nel 2018 dal Consiglio federale, programma che aveva lo scopo di semplificare e digitalizzare i processi nonché incentivare lo sviluppo organizzativo.

La trasformazione da Afd a Udsc è stata concepita, cito, ‘sulla base di una legge concettualmente non ancora approvata’. Come è stato possibile?

Non è propriamente corretto. Abbiamo agito su mandato del Consiglio federale e del Parlamento. Per questo, tutto quello che abbiamo implementato si basa su giurisprudenza, rispettivamente su basi legali e direttive esistenti. Sulla correttezza e legittimità di questi adattamenti il Consiglio federale si è già espresso più volte, anche rispondendo a diverse interrogazioni parlamentari. La trasformazione del resto si basa su tre pilastri chiave importantissimi: sviluppo organizzativo, semplificazione dei processi lavorativi e, per finire, digitalizzazione. Una trasformazione che ci chiama a essere più performanti e che è il senso stesso della trasformazione, ovvero quella necessità di dotarci di una base legale più moderna e che rispecchi i tempi. Vi è dunque in atto un iter parlamentare che dovrà decidere se entrare nel merito e avallare la legge oppure intervenire con delle modifiche. Il 6 marzo, intanto, il Consiglio nazionale ha già approvato la revisione totale della Legge sulle dogane. Con 120 voti favorevoli, 62 contrari e 8 astensioni, il Consiglio nazionale ha detto sì al progetto.

Che la trasformazione non sia andata giù a molti, lo dimostra anche il fatto che alcuni collaboratori continuano a indossare la vecchia uniforme (scritta ‘Guardie di confine’ e non ‘Dogana’ nelle quattro lingue). Non le sembra anche questo un segnale del malessere all’interno del Corpo?

In questa fase di trasformazione e prevedendo una nuova uniforme a partire dal 2026, i nostri collaboratori, attraverso una direttiva del 2019, hanno potuto mantenere la divisa con la scritta guardia di confine anziché dogana. Uniforme sostenuta da due basi legali: l’ordinanza sul personale federale (articolo 70) che presuppone appunto che gli impiegati debbano essere riconosciuti dal pubblico nello svolgimento dei controlli e l’articolo 91 della legge sulle dogane. Viviamo dunque una fase di transizione che a mio modo di vedere non deve assolutamente essere letta come volontà di non accettare il nuovo corso. Del resto questa fase di transizione è impostata su più anni. L’altro aspetto, che credo sia altrettanto importante, è che con l’attuale legge doganale, del 2007, il Corpo delle guardie di confine esiste ancora con i suoi diritti e doveri e non si è, quindi, cancellata questa terminologia. Solo la nuova legge doganale potrà dare loro un altro nome.

La criticità maggiore pare però essere la fusione delle due facce della medaglia in una figura unica di Specialista dogana e sicurezza dei confini. Ma con l’unire due contesti professionali così diversi non si rischia diversamente la perdita di competenze a favore di figure maggiormente generaliste? È sostenibile reclutare per un profilo unico ciò che in realtà necessita una specializzazione in due contesti ben differenti?

Le rispondo di no. Il profilo unico ci permette di rendere lo specialista ancora più performante e attrattivo, inserendosi nel contesto della trasformazione digitale. Abbiamo appena iniziato questo percorso e sicuramente il tutto va verificato e migliorato. Quello che sicuramente vogliamo ottenere è che le peculiarità, le specializzazioni già esistenti siano mantenute e rivalorizzate. Lo stesso direttore si chinerà per garantire queste specializzazioni.

Si è parlato anche di armi.

L’aspetto dell’arma, su cui si è discusso molto, in particolare per la figura di quello che era l’impiegato doganale, resta una scelta, non un obbligo. Chi decide, invece, di portare l’arma deve assolvere a tutta una serie di certificazioni, con un esame finale, così da garantirne la sicurezza, del collaboratore e degli altri, evidentemente.

Qual è la sua personale opinione su questa che è stata definita una rivoluzione?

Ne sono sempre stato un fautore. Ho seguito questo progetto quale membro del Consiglio di direzione dell’Amministrazione federale delle dogane, prima, e del nuovo ambito direzionale operazioni in seguito. Negli anni 2010 si era iniziato a discutere sul fatto che tanti progetti informatici stavano arrivando a termine e andavano sostituiti. L’idea era di riflettere su un nuovo processo informatico e, nel contempo, su una nuova organizzazione e nuovi processi di lavoro. Sollevare insomma il lavoro più amministrativo così da occupare le forze e le risorse maggiormente nei controlli. Ero già all’epoca convinto che fosse una buona cosa. Nel 2016 è arrivato questo progetto, se ne è discusso e si è cominciato a segnare la strada in questa direzione. Due anni dopo il messaggio DaziT e un budget di 400 milioni di franchi regolarmente monitorati ci hanno avviato verso la trasformazione. Nel 2024 rimane ancora parecchio da fare, ma vedo dal punto di vista dei risultati operativi un miglioramento. Noto certo delle incertezze e preoccupazioni, e siamo consapevoli di doverle gestire nel modo migliore. Verso qualche legittima apprensione iniziale, sta a noi dare delle risposte. Ogni cosa del resto, per essere implementata, ha bisogno di tempo e un accompagnamento dei collaboratori. Il risultato e il mio pensiero sono sicuramente positivi. Sostengo questa direzione, anche perché è in atto un’evoluzione complessa della società e dell’economia e dobbiamo essere pronti.

Dogana... in guardia

Sono ex dirigenti, anche di alto rango, ufficiali, guardie, quanti hanno accolto, condividendola, la riflessione di Fiorenzo Rossinelli su quella che è stata definita una vera e propria rivoluzione ‘mal riuscita’ in seno alla Dogana e alla sicurezza dei confini: «C’è costernazione per cosa è stato fatto, fermo restando che la digitalizzazione è irrinunciabile – ci spiega l’ex comandante –. Invece non trova nessun consenso (o pochi) l’imposizione del profilo unico d’assunzione di Specialista dogana e sicurezza dei confini».

Ed è proprio il nuovo profilo professionale a convogliare i maggiori malumori: «La formazione per i nuovi collaboratori dura 2 anni (18 mesi di formazione di base nei due ambiti, merci e persone, e 6 mesi per specializzarsi in un campo). Non tutti i candidati hanno potuto però scegliere in che ambito specializzarsi, molti hanno quindi abbandonato la formazione e si sono licenziati – sono alcune delle voci che raccogliamo –. Il livello professionale dopo due anni di formazione è peraltro reputato appena sufficiente», tanto che – e sta qui uno dei problemi – «il nuovo profilo non è attrattivo, specialmente oltre Gottardo dove si fatica a reclutare il personale».

Non c’è quindi da stare ‘Allegra’, parafrasando il nome dato alla formazione («trasformazione») di tutto il personale da specialista doganale o guardia di confine in Specialista – come evidenziato in apertura – dogana e sicurezza dei confini: «Si tratta da cinque a sei moduli della durata di una settimana, dove vengono date delle nozioni di base – ci spiega una guardia molto critica –. Al termine della teoria è richiesta l’implementazione nella pratica. Per ragioni di effettivi e priorità, la messa in pratica delle nozioni acquisite con quei moduli risulta però quasi nulla. La conseguenza è che quel poco visto e appreso in aula va completamente perso. In conclusione, con Allegra si è sottratto prezioso personale dal fronte».

Peccato poi, secondo quanti contestano questo nuovo corso, che «la filosofia sia stata imposta. Nessun margine di contestazione o quantomeno di riflessione condivisa. Per il personale in generale, ma soprattutto per i quadri dirigenti, l’obiettivo al momento della concertazione della valutazione personale era quello di essere sempre e comunque a favore della trasformazione, contribuendo attivamente al processo! Si trattava di incoraggiare e sostenere il lavoro congiunto Corpo guardie e Dogana. Stop».

Criticità che non farebbero ben sperare per il futuro: «Nei prossimi anni se si dovesse continuare con la filosofia dell’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini, imposta dal precedente direttore generale, si perderanno quelle competenze specialistiche maturate con i due profili precedenti...».

Fra il personale ancora in servizio c’è scoramento: «Sia ex guardie di confine sia ex specialisti doganali non vedono l’ora di andare in pensione – è un altro dei diversi commenti che raccogliamo –. O si era d’accordo con quanto veniva elaborato o si veniva messi in disparte, nessuna possibilità di replica, dirigenti validi e competenti ‘accantonati’! Perché, mi chiedo, è stata militarizzata de facto la dogana civile? Ora abbiamo per i compiti puramente doganali agenti in uniforme, non armati, che possono diventare, pericolosamente, potenziali bersagli... Era anche per questo motivo che in passato si era rinunciato a mantenere in uniforme quella parte di personale che si occupava delle merci del traffico commerciale».

Due professioni, uno specialista

Il ‘rospo’ che stenta a essere digerito sta dunque, per la maggior parte, nella fusione in una sola medaglia, per utilizzare una metafora, di due distinte facce: «Quello che si sta proponendo ora non è specializzazione, ma la formazione di generalisti che non brilleranno in nessuna delle due specialità e che perderanno ulteriormente competenze! Le stesse critiche sollevate in Svizzera interna non sono mai state ascoltate. Con evidenza, una volta uscite di scena le ex guardie di confine, vi sarà un grave deficit di sicurezza nella fascia di frontiera – è l’allarme di una guardia che non ha mai condiviso il processo “con cognizione di causa” come ci ha espressamente sottolineato –, già ora le conoscenze del territorio e la capacità di controllo sono limitate e sono scemate ulteriormente, senza dimenticare che la popolazione vede sempre meno guardie di confine ai valichi e sul terreno, e non è una buona cosa».

Molti, del settore, del resto, reputano che i valichi importanti che dovrebbero avere un’occupazione garantita, hanno carenze di effettivo e che sempre più sovente rimangono addirittura scoperti.

Un tornare indietro, è il parere che raccogliamo di molti, «da quel 2007 quando il Corpo delle guardie di confine con la riorganizzazione ‘Innova’ fece, diversamente, un importante passo e un salto di qualità verso il futuro, ovvero la definizione di una nuova struttura attraverso la quale si sarebbero meglio sfruttate le sinergie con i partner interni ed esterni. Ci fu un cambio d’uniforme, si passò al colore blu delle forze di sicurezza. In un mondo sempre più globalizzato si volle, infatti, un Corpo più preparato per le sfide date dalle migrazioni, dalla lotta al contrabbando, al traffico di sostanze stupefacenti, ecc.».

‘Innova’ vide la sua progettazione nel 2004 e sulla rivista informativa della dogana svizzera ‘Forum D.’ lo stesso Rossinelli, che diede un contributo importante con i suoi ufficiali prima di passare al beneficio della pensione nel 2008, scrisse: “Da Innova mi aspetto un Corpo inserito nell’architettura di sicurezza della Svizzera quale partner specializzato nelle questioni di frontiera, riconosciuto soprattutto nel suo ruolo di organo competente e affidabile per Cantoni, Uffici federali e autorità estere quindi uno strumento attivo nella cooperazione internazionale. Il Corpo ‘innovato’ deve essere non solo un tassello della sicurezza nazionale ma anche sicuro per il suo personale”.

Oggi, invece, è opinione di quanti abbiamo avvicinato fra il personale che già ora si siano perse molte competenze, anche nella collaborazione interforze: «Il personale della parte sicurezza dei confini vuole una collaborazione da veri specialisti e reputa la trasformazione Allegra non sufficiente!».

Se non un passo indietro, questa volta, quantomeno in molti si auspicano che vi sia «la possibilità di ricucire con il passato e con la storia di un’Amministrazione federale delle dogane e di un Corpo guardie che godevano di una eccellente reputazione, senza trascurare le spartane commemorazioni elvetiche, ad esempio i 130° del Corpo delle guardie di confine!».

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