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La dittatura dell’opinione

Nell’articolo apparso sulla Weltwoche e a pagamento su laRegione del 20 gennaio, Tito Tettamanti si chiede come contrastare "la dittatura dell’opinione" ad opera dei "post-marxisti" che individua in ogni partito. Secondo la sua analisi Ps, Plr, ex Ppd, Verdi e Verdi Liberali applicano "un progressismo che persegue esattamente gli stessi obiettivi dei movimenti comunisti che lo hanno preceduto". Parole forti. Certamente occorre avere una visione un tantino paranoica del quadro politico per arrivare a parlare di dittatura dell’opinione. Anche affermare che il Ps sia estremamente radicalizzato diverge dalla realtà che mostra piuttosto un Ps risucchiato al centro dal vuoto lasciato dalla quasi totale sparizione di radicali e cristiano-sociali. È indiscutibile che in passato le posizioni all’interno dei partiti fossero molto più allineate, nonostante la presenza di più anime al loro interno. Ed è proprio quel dibattito ideologico, allora necessario già all’interno dei partiti stessi, che venendo a mancare ha lasciato dei partiti orfani d’identità e forse anche di orizzonti chiari. Tra le pecorelle smarrite che questa situazione ha partorito, è possibile che alcune pecore nere (rosse e numerose per Tettamanti), siano finite nel recinto partitico sbagliato. Ma a dare fastidio a Tettamanti sembrano essere quei "post-marxisti camuffati" che mettono in discussione la ripartizione della ricchezza. Questo è però un problema reale: la sua evoluzione è infatti molto preoccupante. Secondo l’Ufficio federale di statistica (Ust), nel periodo 2003-2017 la sostanza di coloro che hanno dichiarato al fisco più di dieci milioni è aumentata del 315%, mentre i salari reali aumentavano del 10%. Il confronto di queste cifre ha poco di scientifico, ma mette in risalto una situazione anomala. Così, mentre l’economia era alla disperata ricerca di informatici, il nostro Consiglio di Stato prorogava per necessità un Cnl che prevede, per un informatico con titolo di studio universitario, un salario orario minimo di Chf 24,64. Un problema non solo ticinese: l’Ust indica infatti che in Ch, nel 2019, l’8,2% delle persone occupate era a rischio di povertà: tale cifra equivale a 300’000 lavoratori a un passo dal dover richiedere aiuto. Sembra dunque evidente che il crescente divario tra capitale e lavoro vada riequilibrato, in linea con la Costituzione che vuole il rispetto e la protezione della dignità della persona. Quando la coperta è corta ci si può abbandonare al gioco tanto caro ai politici, ma sarebbe molto più sensato adattare la coperta, così da coprire ciò che, volenti o nolenti, va comunque coperto. Un salario decente oggi è più razionale che una moltitudine di aiuti domani. Approccio keynesiano, non marxista. Condivido infine la conclusione di Tettamanti quando afferma che è ora che i partiti si riprendano dalla confusione ideologica in cui si trovano, ma suggerisco di farlo partendo da un’analisi lucida delle cause che l’hanno generata.

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