L'altra economia

Guerra e inflazione

(Ti-Press)

Per gli economisti l’inflazione è un po’ come il lupo cattivo nelle fiabe per bambini: non si sa quanto sia veramente cattivo e come intende comportarsi.

Dopo oltre un decennio di inflazione negativa o nulla, da circa tre anni siamo di nuovo confrontati con un aumento dei prezzi dei beni al consumo, a cui si riferiscono appunto le statistiche pubbliche. Per calcolare la loro variazione, l’Ufficio federale di statistica definisce un paniere rappresentativo dei beni di consumo e mensilmente ne calcola la variazione dei prezzi. Tra questi beni – è necessario ricordarlo – non ci sono, ad esempio, i premi dell’assicurazione sanitaria che sono considerati investimenti e non consumo.

Fatte queste considerazioni vediamo alcuni aspetti più tecnici. Dall’introduzione della moneta unica europea l’obiettivo delle banche centrali di tutti i Paesi sviluppati è di contenere la variazione dei prezzi a un valore non superiore al 2%, al fine di garantire una certa stabilità economica. Questo valore è molto discutibile, ma ormai è un riferimento quasi insindacabile e che oggi è largamente superato da quasi tutti i Paesi.

Ma che cosa determina l’aumento dei prezzi? In un mercato ideale, abbiamo un aumento dei prezzi quando la domanda è superiore all’offerta, ma fermarsi a questa definizione è riduttivo. Oggi il commercio dei beni è globale e quindi sovente l’aumento dei prezzi dipende in buona parte da un aumento del costo delle importazioni. L’inflazione di questi ultimi anni è in larga parte dovuta alla pandemia e soprattutto alla guerra di Ucraina, che ha fatto lievitare il costo di alcuni beni come grano, petrolio, gas, elettricità e alcune materie prime. Poi naturalmente abbiamo la speculazione finanziaria: quando ci sono delle tensioni politiche i mercati tendono ad anticipare gli aumenti garantendosi così, generalmente, profitti superiori alla media (vedi gli utili delle multinazionali del petrolio nel 2022). Ci sono poi altri fattori che incidono sull’aumento dei prezzi, come il cambiamento climatico o i tassi di cambio.

Per contrastare l’aumento dei prezzi normalmente si usa lo strumento del tasso di sconto, cioè il prezzo della moneta stabilito dalla Banca centrale. L’idea è la seguente: se la moneta è più cara, gli investimenti (e in parte i consumi) tenderanno a diminuire, generando così un rallentamento della domanda, che progressivamente si allineerà all’offerta. Ma non sempre tutto funziona come previsto dalla teoria, perché molte variabili entrano in gioco. Oggi l’inflazione in Svizzera sembra una battaglia vinta; infatti, l’ultimo dato parla di una variazione dei prezzi dell’1,7%. Ma la prudenza è d’obbligo. Questo dato positivo è in gran parte imputabile alla forza della nostra moneta che, rivalutandosi, fa abbassare il prezzo dei beni importati, ma fa anche aumentare il prezzo delle nostre esportazioni. Per ora non sembrano esserci ripercussioni negative da questo lato, ma in futuro le aziende esportatrici potrebbero essere penalizzate.

Le conseguenze negative dell’inflazione si manifestano però soprattutto nella vita di tutti i giorni. In primo luogo perché quando i prezzi aumentano, difficilmente i salari aumentano nella stessa misura e quindi si assiste a una progressiva perdita di potere d’acquisto che, se da un lato contribuisce a diminuire la domanda, dall’altro mette in serie difficoltà i nuclei familiari con un reddito contenuto, compreso quello della famosa classe media.

L’aumento del costo della moneta comporta poi un aumento degli altri tassi di interesse. Nel nostro Paese la maggior parte delle ipoteche sono a tasso fisso, ma al momento del rinnovo molti proprietari di immobili potrebbero trovarsi in serie difficoltà, mentre coloro che sono in affitto sono già confrontati con un aumento delle pigioni.

Teoricamente bisognerebbe considerare il tasso reale. Se il tasso di inflazione è del 2% e i tassi ipotecari a 5 anni sono del 3%, il tasso reale è dell’1%, addirittura inferiore a quando era attorno all’1,5% ma con un tasso di sconto negativo. Ma nella pratica le cose sono più complicate soprattutto se non c’è l’adeguamento al rincaro dei salari.

Nella realtà, in presenza di inflazione, gli unici a guadagnarci sono coloro che hanno dei debiti (il valore del debito diminuisce) e, come detto sopra, coloro che sono in grado di speculare sull’andamento dei prezzi.

L’unica strada per contrastare buona parte dell’inflazione sarebbe una conclusione immediata della guerra (o delle guerre), ma se guardiamo ai dati sulle spese militari, abbiamo ben poco da sperare su questo lato: pochi faranno affari d’oro, molti moriranno, e moltissimi faranno fatica a far quadrare i bilanci a fine mese.

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