A Tirana il parlamento ha approvato in via definitiva l’intesa con Roma che ‘esternalizza’ le procedure d’asilo. Il premier Rama: ‘Noi come uno Stato Ue’
‘Esportare’ le procedure d’asilo fuori dai propri confini? L’idea circola dagli anni Ottanta. Fin qui solo l’Australia è riuscita ad attuarla: dal 2013 Canberra gestisce centri di detenzione offshore per richiedenti asilo e migranti nel remoto Stato-isola di Nauru e sull’isola di Manus, in Papua Nuova Guinea. In Europa l’idea è stata accarezzata dall’Austria e dalla Danimarca, per essere poi riposta in un cassetto. Anche in Svizzera se ne parla. Nel Regno Unito il ‘progetto Ruanda’ del governo di Rishi Sunak – bollato come “illegale” dalla Corte Suprema – naviga in cattive acque e pare destinato a naufragare.
In porto frattanto è arrivato un altro progetto: ieri l’Albania ha accettato di ospitare sul suo territorio due centri dove le autorità italiane nei prossimi cinque anni gestiranno le domande d’asilo di profughi e migranti tratti in salvo nelle acque del Mediterraneo. È il primo esempio di un Paese non membro dell’Unione europea (ma che aspira a diventarlo) che accetta di ospitare temporaneamente profughi e migranti per conto di uno Stato Ue.
L’accordo è stato criticato da varie organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Anche il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha espresso la sua preoccupazione. L’Ue invece non ha avuto nulla da ridire. Anzi. I suoi Stati membri, nonostante i ripetuti appelli lanciati da Roma, non si sono certo stracciati le vesti negli ultimi anni per alleviare il fardello che grava sull’Italia, confrontata nel 2023 con circa 160mila arrivi (+50%, + 130% rispetto al 2021) sulle sue coste.
L’intesa era stata siglata a Roma lo scorso 6 novembre dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal primo ministro Edi Rama. In gennaio è giunto il nullaosta di Camera e Senato italiani. Spettava poi all’Albania fare la sua parte. Il Partito Democratico (Pd), principale forza dell’opposizione di centro destra, ha presentato ricorso alla Corte Costituzionale. Questa però a fine gennaio ha dato il via libera al protocollo, respingendo la tesi secondo cui in questo modo l’Albania – tra i Paesi più poveri in Europa – cederebbe territorio e autorità a uno Stato estero, in spregio alla Costituzione.
A Tirana, come detto, il sì definitivo del Parlamento è arrivato ieri. Con il sostegno di 77 deputati (i 74 della maggioranza socialista, più i tre di un piccolo partito di opposizione) su 140. I 63 deputati del Pd hanno boicottato il voto. «La nostra posizione non riguarda le relazioni con l’Italia, né la nostra riconoscenza per quello che ha fatto [il riferimento è all’accoglienza di centinaia di migliaia di albanesi a partire dagli anni Novanta, ndr], ma l’accordo va oltre a questo, in quanto viola l’interesse pubblico e minaccia la sicurezza nazionale», ha dichiarato Gazmend Bardhi, capogruppo parlamentare del Pd. “L’Albania si schiera a fianco dell’Italia scegliendo di agire come uno Stato membro dell’Ue”, ha scritto dal canto suo Edi Rama su X. “Nessun Paese può affrontare da solo una sfida simile”.
Un Centro di primo approdo nel porto di Shëngjin, 75 km circa a nord della capitale Tirana, in una apprezzata zona turistica, dove far attraccare le navi italiane con i profughi. E un centro più grande – detto Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) – nell’entroterra, nell’area dell’ex aeroporto militare di Gjader, 20 km più a nord. Sono le due strutture previste nel Protocollo tra Italia e Albania. In sintesi i punti principali: