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Quella festa dei Benetton a ponte appena crollato

Un estratto dal libro che ripercorre tutte le tappe del Morandi: la costruzione, le bugie, le omissioni. I guadagni sulla pelle di 43 vittime innocenti

Il camion della Basko sull’orlo del baratro, simbolo della tragedia
(Keystone)
11 luglio 2023
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Mentre a Genova si scava nel fango, a Cortina si brinda. Le immagini terrificanti che rimbalzano sulle tv di mezzo mondo non cambiano i programmi dei signori delle autostrade.

Come ogni anno, i Benetton festeggiano il Ferragosto in famiglia in località Cojana, a due passi dal Golf club, nel grande prato della villa di Giuliana Benetton, 81 anni, sorella di Luciano, Carlo e Gilberto.

Il menù prevede aperitivo, risotto e branzino, allestito dal catering del ristorante Da Celeste di Venegazzù, in provincia di Treviso. Mentre la sera prima, in un locale chic sul lago di Ghedina, si è tirato fino alle ore piccole per il compleanno di Ermanno Boffa, marito di Sabrina Benetton, figlia di Gilberto.


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I primi soccorsi da parte dei vigili del fuoco

I dettagli delle due feste di Cortina sono pubblicati dalla Verità e dal Fatto Quotidiano. La notizia diventa un caso: «Una festa impeccabile» scrive La Verità, «tutto perfetto». Tranne la data: le 12 di mercoledì 15 agosto, 24 ore esatte dopo il collasso del ponte, quando già si era scatenato il sabba delle polemiche sugli omessi controlli, sulla manutenzione carente e sui (troppi?) miliardi incassati da Autostrade. E quando il nome dei Benetton cominciava, sia pure a fatica, a entrare nel frullatore mediatico dell’affannosa ricerca delle responsabilità della strage.

Queste rivelazioni si accompagnano al silenzio del gruppo. Il primo comunicato di Aspi sembra ricalcare i toni di una difesa preventiva e ricorda «gli investimenti della società in sicurezza, manutenzione e potenziamento della rete superiori a un miliardo di euro» effettuati negli ultimi cinque anni.

Due giorni dopo

Solo il 16 agosto arriva il primo riferimento ai morti: «A nome dei suoi azionisti e del suo management», la società esprime «profondo cordoglio alle famiglie delle vittime e la propria vicinanza ai feriti e a tutti coloro che sono stati coinvolti nel tragico crollo».

Il Fatto Quotidiano dà conto di una seconda festa, la notte stessa della catastrofe: «Se qualche invitato era a disagio l’ha tenuto per sé. Così la sera del 14 agosto, poche ore dopo la tragedia di Genova, una rampolla della famiglia Benetton ha festeggiato il compleanno del marito con una quarantina di invitati».


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Luciano Benetton, capostipite della famiglia

Il fantasma dei festeggiamenti di Cortina insegue i Benetton nei mesi a venire. Sulla comunicazione hanno costruito un impero e nei mesi successivi provano a recuperare quell’enorme danno di immagine. Il primo a parlare è Gilberto Benetton, il più impegnato nel settore delle autostrade: «Dalle nostre parti il silenzio è considerato segno di rispetto». Fare festa come se nulla fosse, gli fa notare il giornalista, è parso un «grave segno di poca sensibilità»: «Non è mia abitudine rispondere a insinuazioni, ma è vero, tutta la famiglia il 15 agosto si è riunita a casa di mia sorella Giuliana, come abbiamo sempre fatto negli ultimi trent’anni, questa volta stretti assieme per ricordare nostro fratello Carlo, il fratello più giovane, scomparso meno di un mese prima».

L’anno successivo è il fratello Luciano a ritornare sull’affaire Cortina: «Anche se non è vero che era una festa, quella riunione di famiglia nel giorno di Ferragosto andava fermata. Ma proprio perché non era una festa, nessuno ci ha pensato. E davvero c’è bisogno che io dica che nessuno della famiglia ballava sui tavoli? Per effetto di quel misterioso conformismo che a volte in Italia contagia anche i migliori, siamo stati descritti come una banda di feroci gaudenti assetati di champagne davanti ai morti. C’è bisogno che le dica che quel giorno eravamo, come tutti e più di tutti, testimoni sbigottiti di una terribile sciagura?».

Dieci giorni dopo

Il 25 agosto del 2018 Repubblica dedica un reportage al «clima avvelenato» di Cortina: “Qui davanti alla meraviglia solenne delle Dolomiti, con le Tofane ombreggiate dalle nubi e sul finire delle vacanze di ricchi molto invidiati, si potrebbe immaginare che la famiglia Benetton trovasse riparo e persino ristoro, dall’onda rancorosa dopo il disastro di Genova, e l’immediato crucifige sui social. Ed è invece piuttosto sorprendente scoprire che l’onda è arrivata fin qui, nel potenziale paradiso dove hanno casa da decenni, e che il rancore nuovo si aggiunge a malumori antichi. Del resto, questa è la moda corrente in Italia, lo spirito dei tempi avvelenati che cerca il castigo pubblico, anche in un posto di vacanze splendente come è Cortina. Così, i Benetton esperti di moda pagano la fama, la gloria di imprenditori del primo Made in Italy, e per di più i successi internazionali, quel negozio aperto da spavaldi a New York sulla Madison, nel 1980, e le campagne etiche, e di sinistra, impegnate su integrazione, gay, guerre, Aids, politica, immigrazione e molto altro ancora. Il bersaglio ideale, vien da dire, e non sono i soli”.


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Una donna abbraccia la bara di una delle vittime

A ognuno il suo «castigo» (o il suo crucifige). Si può certamente affermare senza timore di smentita che il discredito «pubblico» del Paese di cui parla «Repubblica», l’«onda rancorosa» che da Genova raggiunge i Benetton, è del tutto trascurabile rispetto alla vera pena, questa sì incommensurabile, toccata ai familiari delle vittime, da quel giorno e per il resto della loro vita.

In molti rifiutano i funerali di Stato, celebrati il 18 agosto 2018 solo per 19 dei 43 morti del viadotto Polcevera: «Non vogliamo assistere a passerelle di politici» tuona Giovanni Battiloro, padre di Roberto. L’esclusiva meta turistica sulle Dolomiti è piena di veleno anche su questo: «Verso l’ora dell’aperitivo, quando i turisti si siedono nei bar e si materializza una Ferrari nera inutilmente rombante, nella solita Cortina vip e pettegola i clienti del Café Royal – perlopiù romani e ciociari – commentano ancora i fatti di Genova con disprezzo, ‘manco so’ andati ai funerali, manco hanno avuto il coraggio di prendersi li fischi’.


La copertina de “Il crollo” di Marco Grasso (Ponte alla Grazie)

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