Estero

'I 5Stelle spinti nell'angolo dal loro stesso successo'

Intervista a Piergiorgio Corbetta già professore di Sociologia all'Università di Bologna e direttore della Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo

Luigi Di Maio (Keystone)
20 giugno 2020
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Giacobini senza illuminismo. La definizione dei 5Stelle data dal politologo Carlo Galli è una delle più recenti e calzanti del movimento fondato da Beppe Grillo e oggi nel pieno della più grave crisi di identità.

Espressione e al tempo stesso interpreti del disagio sociale e della sfiducia nei confronti delle forme consolidate della politica, i grillini hanno scalato il potere con una successione di exploit elettorali senza precedenti. Un potere che sembra essere esploso loro in mano. Passati infatti dalla redditizia posizione all’opposizione alle responsabilità di governo, il nullo spessore della loro dirigenza e l’inconsistenza della loro proposta politica sono venuti alla luce con esiti tra il drammatico e il grottesco.

Sugli organi di informazione oggi va per la maggiore la distinzione tra "movimentisti" e "governativi", ma si tratta di una semplificazione che non coglie la complessità delle dinamiche che stanno lacerando il non-partito. Tale distinzione, infatti rimanda a un confronto propiamente politico, ma ciò che si muove oggi nei ranghi grillini ha molto (se non più) a che fare con le sorti individuali (carriere, professioni lasciate o mai esercitate, uno stipendio, più prosaicamente) di persone catapultate in posti e incarichi più grandi di loro. Ai quali, tuttavia, si sono affezionati.

Il potere, anche in briciole, esercita un'attrattiva formidabile, e abbandonarlo - quando non forzati a farlo - pare davvero essere penoso. Anche per chi lo aveva preso per demolirlo, per aprire come una scatola di tonno il famigerato parlamento della repubblica.

In questo scenario, la stanchezza di Beppe Grillo si può capire. Non che ne diminuiscano la responsabilità, ma le misere prove di incapacità in cui si sono esibiti i "suoi" ragazzi avrebbero scoraggiato anche il più invasato dei leader. E la sua amarezza, risolta talora in battute da rodato uomo di palcoscenico, ricorda paradossalmente quella di un Berlusconi alle prese con le intemperanze di sottoposti che pure tutto gli dovevano. Mentre in parte diverso è il discorso relativo a Davide Casaleggio (figlio del mitizzato fondatore Gianroberto) e al sancta sanctorum Rousseau, riducibile forse di lunghezza del guinzaglio...

E pur accordando la presunzione di innocenza al riguardo dei presunti finanziamenti dal Venezuela, non si può certo escludere che i 5Stelle finiscano  come Pulcinella bastonato e le risate finali, non fosse che, trovandosi essi al governo, le conseguenze di una loro implosione trascinerebbe con sé l’esecutivo. E l’Italia. Mentre irrisolto resterebbe il problema di dare rappresentanza a quella vasta parte del Paese che non si riconosce in quelle già presenti.

Ma non corriamo. Vediamo per intanto che cosa succede nel firmamento grillino, con le parole di Piergiorgio Corbetta già professore di Sociologia all'Università di Bologna e direttore della Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo, autore di diversi saggi sul fenomeno 5Stelle.

Professore, i 5 Stelle si trovano al governo dopo esservi già stati con una maggioranza di segno opposto. Si tratta di una ricercata condizione di centralità nello scenario politico (se non altro per ragioni numeriche), o piuttosto è l’angolo da quale non possono uscire, pena l’irrilevanza?

Privilegerei la seconda interpretazione. I 5 Stelle sono finiti in un angolo dove li ha spinti il successo elettorale del 2018, imprevisto da loro stessi. Un successo che li ha costretti ad assumere una responsabilità primaria di governo. Uno sviluppo in contraddizione profonda con la natura stessa del movimento. I 5Stelle non sono in realtà una forza di governo e stabilità, ma una forza destabilizzante e di opposizione,rivelata dallo stesso presentarsi come non-partito.

La categoria di populismo, inoltre, evoca la contrapposizione frontale tra popolo ed élite. Tutte le élite: economiche,e finanziarie, mediatiche, sindacali, e soprattutto quelle politiche contro le quali il movimento ha assunto le posizioni più drastiche. Senonché trovarsi al governo significa essere élite. Di conseguenza, negli anni in cui vi si sono trovati (e ancora vi si trovano) hanno dovuto in qualche modo negare la propria vocazione originaria, che ne faceva un partito congenitamente diverso da tutti gli altri. E che aveva garantito loro, in opposizione - culturale prima ancora che politica  i successi elettorali del 2013 e del 2018

Un bel guaio, il successo. lei stesso, qualche anno fa aveva osservato che per mantenere la propria forza e la propria funzione, i 5Stelle non avrebbero dovuto crescere troppo...

Il fatto è che l’ingresso al governo ha ribaltato il partito, se non altro perché i 5Stelle non hanno saputo né potuto governare nel modo radicalmente diverso da quello di tutti i partiti che li hanno preceduti in quel ruolo

La loro difficoltà è chiara. Se vogliono mantenere l’elettorato di partenza non hanno che da uscire dal governo per riproporsi in una collocazione di critica radicale, vale a dire quella originaria di Beppe Grillo. 

Diciamo allora che le due trasformazioni fondamentali subìte dal movimento sono state l’autoemarginazione di Grillo; e l’ingresso in governo con Di Maio. Ne suo insieme è stata una trasformazione profonda della natura stessa dei 5Stelle o perlomeno nell’appello su cui avevano raccolto un consenso così vasto.

Grillo, appunto. Ricordo una copertina dell’Economist che nel 2001  pubblicò una caricatura di George W.Bush che si chiedeva: “Cosa? io presidente?” Il fondatore del movimento non è forse scomparso perché resosi conto di averla fatta grossa?

Grillo non è stato emarginato. È stato lui a essersi tirato fuori. Dobbiamo anche considerare una componente di carattere psicologico personale: Grillo non è un politico, ma un comico, un tribuno istintivo, aggressivo, estremamente capace di creare una sintesi tra retroterra ideologico, propaganda politica ed esibizione teatrale. Ma sempre limitato alla dimensione della protesta e dell’invettiva antisistema. 

Grillo non ha mai abbozzato nulla in termini di programmazione politica, di pianificazione di ampio respiro. Non è mai stato, né aspira a diventare un politico. Quando avrebbe dovuto compiere il balzo per diventarlo, si è tirato indietro, tornando al teatro. Va detto che questo ha coinciso con l’assunzione di una posizione politica da parte del movimento assolutamente diversa da quella che Grillo aveva plasmato. La stessa figura antropologica, umana di un Di Maio in grisaglia non potrebbe stridere di più con quella di un Grillo scamiciato che si tuffa tra la folla. Il problema, per loro, è che il successo dei 5Stelle si deve a Grillo, non a Di Maio. E se pure il fondatore si investirà del ruolo di paciere nel caso di gravi fratture interne, la sua stagione è ormai terminata. Il suo itinerario è già un altro.

Anche in questa occasione, si ripone il problema della collocazione dei 5Stelle, della loro pretesa di non essere né di destra né di sinistra. È ancora sostenibile questa posizione? Non li indebolisce, non concorre a determinare una rottura intestina? 

Oltre alla pretesa di essere anti-sistema e poi venirne integrati, la mancanza di una bussola ideologica (e mi riferisco specificatamente all’asse sinistra-destra) è l’altra grande contraddizione interna dei 5Stelle, un deficit originale e profondo. Gli sbandamenti, le incertezze, i ripensamenti, questa identità politica tanto debole possono anche non risultare determinanti nella fase della protesta alla Grillo. Una protesta generica, pur radicale, contro l'assetto esistente, può contenere di tutto; ma non è possibile invece quando è il momento di formulare una proposta politica.E in politica, secondo me, la distinzione tra destra e sinistra, pur in un'accezione aggiornata, resta insostituibile.

I 5Stelle hanno dragato un larghissimo consenso elettorale proprio perché hanno cavalcato la protesta indifferenziata, l’abbiamo detto. Ma quando la protesta deve passare alla proposta, deve assumere la responsabilità di scontentare la componente di destra o quella di sinistra. D’altro canto, l’ambiguità ideologica di 5Stelle fa sì che il loro seguito elettorale lo sia, ma soprattutto che lo sia anche il loro personale politico, al vertice e nei quadri intermedi. Ed è inevitabile che questa eterogeneità, questa mancanza di collante ideologico provochino fortissime tensioni interne, a danno della proposta politica e della solidità interna. Quello che oggi è sotto gli occhi di tutti.  Quelle che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

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