economia

Via dalla Cina, il 10% delle aziende europee medita la fuga

Ripresa incerta e dubbie norme post-Covid. Il focus ora si sposta su Singapore

‘Più soldi’
21 giugno 2023
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Le imprese europee lamentano un ulteriore e "significativo deterioramento" della fiducia verso la Cina, con un'azienda su 10 che pianifica "di spostare la propria sede asiatica – oppure lo ha già fatto – fuori dal Paese", in favore soprattutto di Singapore.

Clima non favorevole

A dispetto della riapertura dopo quasi tre anni di strette anti-Covid, Pechino sconta una ripresa incerta, crescenti tensioni internazionali e un clima imprenditoriale sempre più politicizzato, rendendo – in base al 64% delle 570 aziende della Camera di commercio dell'Ue in Cina, un livello mai così alto – più difficile portare avanti le proprie attività.

Il China Business Confidence Survey 2023 (Bcs), il sondaggio annuale condotto dalla Camera presso i suoi associati insieme a Roland Berger, non poteva essere diffuso in un momento più strategico: il premier cinese Li Qiang è impegnato nella sua prima missione all'estero con una nutrita delegazione di ministri e capi delle aziende statali a scongiurare il de-risking e a rilanciare i rapporti sull'asse Berlino-Parigi, i principali partner commerciali europei del Dragone, facendo leva sulla promessa non nuova di maggiore apertura del Paese verso l'esterno.

In guardia

"Le tendenze negative che vediamo nel sondaggio 2023 sono preoccupanti e riflettono le recenti sfide portate dalle incertezze del contesto politico cinese, dall'aumento di tensioni geopolitiche e dalla persistenza di barriere di accesso al mercato di lunga data", ha messo in guardia Jens Eskelund, presidente della Camera, presentando il rapporto. "Per invertire la tendenza e consentire alle imprese Ue di svilupparsi e di contribuire alla crescita cinese con il loro pieno potenziale, dobbiamo davvero vedere azioni concrete", ha ammonito Eskelund.

Fino a dicembre 2022, la Cina si è isolata con le restrizioni anti-Covid che hanno causato problemi ad attività industriali, consumi e catene di approvvigionamento. La riapertura aveva alimentato le speranze di ripresa economica, ma i dati macro reali hanno segnalato una situazione difficile. Tra la produzione industriale in affanno, le vendite al dettaglio stagnanti e l'export in frenata, la disoccupazione giovanile (16-24 anni) ha toccato a maggio il record storico del 20,8%.

Troppe situazioni a rischio

Il 60% delle aziende Ue intervistate ha lamentato la legge antispionaggio – in vigore a luglio e dai contorni molto vaghi –, la crisi tra Cina e Usa su Taiwan – che Pechino considera parte "inalienabile" del suo territorio da riunificare anche con la forza, se necessario – tra i principali timori. L'11% ha spostato gli investimenti fuori dalla Cina e il 75% ha rivisto la supply chain. Si è consolidato il disaccoppiamento tra quartier generale europeo e cinese per gestire i rischi, con l'impennata dei costi.

Mentre la riduzione di manager stranieri ha minato il trasferimento di know-how e best practice, tra i fattori che più hanno aiutato la Cina a correre. Non sorprende allora che Goldman Sachs, ad esempio, abbia tagliato le stime sul Pil cinese del 2023 al 5,4% (dal 6% precedente) e quelle sul 2024 al 4,5% (dal 4,6%), puntando il dito sull'indebolimento della fiducia e le nubi che continuano ad addensarsi sul mercato immobiliare.

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