La recensione

Da Tbilisi a Londra con Maximilian Hornung

Osi in Auditorio: apre Mendelssohn, qualche problema su Haydn, ma il concerto verrà ricordato per Azarashvili

Visto e ascoltato allo Stelio Molo
(OSI / F. Fratoni)
21 gennaio 2024
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Due secoli in retromarcia dal Concerto per violoncello e orchestra d’archi di Vaja Azarashvili (*1936) con la prima esecuzione a Tbilisi nel 1969 a tre celebri opere che ebbero la prima esecuzione a Londra: l’ouverture “Le Ebridi” di Felix Mendelssohn (1830), la Sinfonia n. 104 (1795) e il Concerto per violoncello e orchestra n. 2 (1783) di Franz Joseph Haydn. Un programma play&conduct dal violoncellista Maximilian Hornung, su misura per l’Orchestra della Svizzera italiana, schierata nella sua formazione di base con ventotto archi, e per l’Auditorio di Besso, che ha poco più di quattrocento posti.

L’ouverture di Mendelssohn ha aperto il programma in modo promettente. Mi è sembrato ben equilibrato il rapporto fra la luminosità dei dodici fiati e la trasparenza delle sezioni degli archi e solida la comunanza di intenti interpretativi fra direttore e orchestra.

Qualche problema c’è stato con le opere di Haydn. Nel concerto con il violoncello solista davanti rivolto verso il pubblico e l’orchestra alle sue spalle costretta a cavarsi d’impiccio da sola in molte scelte dinamiche e ritmiche. Ma soprattutto nella Sinfonia, dove papà Haydn sfoggia otto legni e quattro ottoni, come fosse già nell’Ottocento, la direzione è stata alquanto approssimativa e ha penalizzato ancor più i dettagli ritmici e dinamici.

Comunque il concerto potrà essere ricordato per l’esecuzione, veramente senza pecche, del brano di Azarashvili. Il recensore penso possa ammettere, senza senso di colpa, d’aver ascoltato per la prima volta dal vivo un’opera del compositore georgiano, e d’aver qualche difficoltà a collocarla tra le opere sue contemporanee della seconda metà del Novecento.

Mi è sembrato un Notturno trafitto da sussulti dinamici laceranti, una musica impressionista carica di introspezione. Mi ha richiamato “Il lampo” di un poeta nato un secolo prima di Azarashvili: “… una casa apparì sparì d’un tratto; come un occhio, che, largo, esterrefatto, s’aprì si chiuse, nella notte nera”.

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