La recensione

‘Nuda’, per vincere la prova del tempo

‘Dentro lo spettacolo della Compagnia Finzi-Pasca’, documentario che riflette la volontà di imprimere il teatro con l’ausilio del cinema

Per la regia di Patrik Soergel
(Viviana Cangialosi)
9 novembre 2023
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Più di tutte le arti, il “qui e ora” contraddistingue il teatro: la musica viene registrata, la letteratura scritta, il cinema filmato e così via, mentre la performance di un attore teatrale è unica e irripetibile, strettamente incatenata al presente. “Noi spariamo, facciamo un passo e non esiste più”: queste le parole detta da Daniele Finzi-Pasca, presentando il documentario ‘Nuda - dentro lo spettacolo della Compagnia Finzi-Pasca’, assieme al regista Patrik Soergel. Primo progetto in Ticino per l’associazione ‘De la scène à l’écran’, sostenuta dalla Società Svizzera degli Autori, Suissimage, il Fondo per la Produzione Televisiva e RTS, il cui scopo è finanziare prodotti audiovisivi riguardanti spettacoli e compagnie di teatro. Grazie anche alla collaborazione sul nostro territorio con Inmagine, la Ticino Film Commission e Rsi, Daniele Finzi-Pasca è apparso profondamente commosso e felice di avere, in un certo senso, afferrato il tempo con questa possibilità, una fusione di linguaggio televisivo e teatrale. Una sorta di documentario-backstage, certo valido come elemento d’archivio ma non esente d’approfondimenti, anche del regista dietro all’autore e degli attori dietro ai personaggi, una cooperazione creativa su cui è raro poter indugiare.

La storia di due gemelle brasiliane, provenienti da una famiglia eccentrica e quindi simile a tutte, una santa e l’altra che lotta per la normalità, una nata vestita e immacolata, l’altra nata nuda e che non si è mai più spogliata. Tra carezze, rincorse, abbracci, competizione, un po’ di gelosia e qualche sgambetto, le gemelle si ritrovano, perché il legame che le tiene unite è indissolubile. Il ritratto di un infanzia raccontata da un punto di vista gioioso, ma in cui non mancano i drammi delle visioni mistiche di Anna e gli accenni alla morte, dai baci sulla fronte della tradizione indiana, alla petit mort dei sogni, in un costante saliscendi tra mondo immaginario e realtà. Una voce femminile che grida al mondo la sua felicità nel sentirsi, per la prima volta, nuda sotto ai vestiti, portando alla luce la bellezza del corpo e quella interiore, fuori dal “teatro degli dei”, senza che un burattinaio ne tiri le fila come una marionetta.

Un grande amore

Daniele è un autore che ascolta e che collabora con gli attori senza mai svalutare a prescindere anche le idee più impulsive, sintomo di una certa modestia, eleganza e umanità; un’occasione per osservare il creatore mentre si relaziona con il creato, nella ricerca della perfezione che attanaglia gli artisti, qui paragonata a un isola già visitata in passato, ma che si dimentica e si perde nella sua evanescenza, portando a chiedersi se è stata vista e raggiunta per davvero, o solamente sognata. Un grande amore per l’opera che si vede innanzitutto dai volti, dalla curiosità, dalla serietà al momento delle prove e dalla cura dei movimenti; i gesti si alternano alle anche complesse acrobazie e un inciampo può diventare un incidente. Il pericolo è sempre presente e necessita un allenamento particolare, basato su una grande preparazione che ha come obiettivo il dominio completo dello spazio, oltre che sulla sintonizzazione reciproca tra le persone. Gli elementi e avvenimenti sono un po’ inventati e un po’ reali, il linguaggio aspira alla particolarità magica dei sogni e vuole tradurre le cose che nella vita sfuggono, allontanandosi dalla pretesa di rispondere alle classiche domande senza risposta perché vuole invece fungervi da specchio, come sottolineato ad esempio dal nome palindromo Anna o dalla duplicità del narratore e dei personaggi.

Tra la metafora e l’atto fisico, “Nuda” è un’opera teatrale che appartiene a un realismo magico, ispirato da un peculiare collegamento tra i quartieri di Lugano, l’America Latina, l’India e dove solennità e spensieratezza si mescolano, anche grazie alle musiche, composizioni originali magnifiche di Maria Bonzanigo. La messa in scena in senso stretto del documentario, da un punto di vista artistico, non è estrema, ma palpabile è l’emozione che fuoriesce dallo spettacolo fino alla chiusura del sipario, che questa volta potrà essere riaperto altre volte, come se si potesse tornare indietro nel tempo, per rivivere il presente.

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