la recensione

Domande inquietanti dietro il delitto Moro

Nel fine settimana è andato in scena sul palco della Sala Teatro del Lac lo spettacolo ‘Se ci fosse luce’ di Francesca Garolla, autrice e regista

Anahì Traversi e Paolo Lorimer sulla scena
23 aprile 2023
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- È lei il professor Franco Tritto?

- Sì, ma io voglio sapere chi parla!

Dopo un sospiro, l’altro risponde in un soffio: “Brigate Rosse”.

È il 9 maggio 1978, il momento forse più drammatico degli anni di piombo attraversati dall’Italia, e “l’altro” è Valerio Morucci. Sul rapimento, i suoi 55 giorni di prigionia e infine la morte del presidente della Democrazia Cristiana, Leonardo Sciascia scrisse un istant book (‘L’affaire Moro’), parecchie firme importanti del giornalismo non solo italiano dissero la loro; ci fu chi ipotizzò lo zampino di un Grande Vecchio al soldo di servizi segreti (quelli bulgari, la Cia e il Kgb) cinicamente quanto crudelmente messo là per impedire – di fatto – quel Compromesso Storico cui erano giunti Enrico Berlinguer e lo stesso Aldo Moro.

A quasi mezzo secolo da quei fatti, Francesca Garolla ha scritto e portato in scena ‘Se ci fosse luce’, titolo che riprende una frase scritta da Aldo Moro in una delle lettere fatte giungere ai familiari. “Nel 1978 non ero ancora nata”, confessa la regista sul programma di sala, aggiungendo poi che “i miei ricordi hanno solo l’eco di quella storia, un’eco infantile. Suggestioni, racconti riferiti e romanzati, probabilmente non veritieri, ripetuti a me stessa come fossero leggenda. Ma anche se assente, la mia generazione ha ereditato quei fatti come se li avesse vissuti”.

Un’eredità fatta anche di domande che vanno ben al di là della mera ricostruzione processuale e delle litanie dei vari processi Moro Ter, Quater… Qual è il ruolo che spetta al singolo individuo nel grande disegno della Storia? Il libero arbitrio può diventare una condanna? Qualche risposta giungerà dai protagonisti sistemati attorno a un lungo tavolo. Sono solo in quattro, ma qualcosa rimanda all’Ultima Cena (difatti c’è un diretto riferimento a Giuda). Anahì Traversi parte da quella telefonata e a turno gli altri tre risponderanno alle sue sollecitazioni da reporter. “Un latitante” (Valerio Morucci, arrestato nel marzo ’79), “un uomo che è anche un assassinio” (Prospero Gallinari, il killer che uccise Moro sparandogli due pallottole) e “Una giudice” (dietro la quale è lecito supporre ci sia una figlia della vittima) che si scaglia anche contro le istituzioni: “La pietà era del tutto incoerente e quello – urla – fu un omicidio politico!”. La sua è una requisitoria che rasenta volentieri sociologia e filosofia: “Non sarà la Storia a giustificare gli uomini. Sono gli uomini che si troveranno a giustificare la Storia”. È l’amministratrice di una singolare quanto aggressiva versione di quella Giustizia Riparatrice a suo tempo illustrata anche a Lugano da Agnese Moro e Adriana Faranda. Una versione che contempla rimorso e profondo senso di colpa – stazioni di una Via Crucis sfociata in Via Caetani – prima di poter sperare nel perdono e nella redenzione. Chiederà infine una pena per gli imputati altrettanto singolare: “Che vengano corrosi dalla pietà!”.

Prodotto dal Lac in collaborazione con Emilia Romagna Teatro, ‘Se ci fosse luce’ ha certamente colpito il pubblico della “première”, sabato sera. Vuoi per l’intensità del tema (tutti ci ricordiamo dov’eravamo quel 16 marzo ’78), vuoi soprattutto per quella dell’interpretazione degli attori. Accanto alla già citata Anahì Traversi, sono stati convincenti pure Angela Dematté, Giovanni Crippa e Paolo Lorimer. Meritati omaggi vanno anche alle scene di Davide Signorini; ai costumi di Margherita Platé; alle luci di Luigi Biondi e al suono (con la fondamentale telefonata Morucci-Tritto) di Emanuele Pontecorvo.

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