la recensione

Pio e Amedeo a Lugano: zoccoli, pelliccia e 'amoremio'

Due ore e mezza di follia con alcuni punti fermi: l'Oceano, il Palacongressi ('Che brutto, nemmeno a Cosenza'), l'evasione fiscale e l'autoironia, che 'ci salverà'

'Salutiamo Jennifer' (Ti-Press)
29 dicembre 2019
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Sono complessivamente dodici i muscoli facciali coinvolti nell’azione della risata. Stando all’enciclopedia medica, dopo due ore e mezza ininterrotte di Pio e Amedeo dovrebbero essere gli zygomaticus major e minor, i muscoli interessati al sollevamento degli zigomi, a dolere più degli altri. Sempre che si sia disposti alla risata grassa, molto grassa, a volte obesa. ‘La classe non è qua’ è titolo esplicativo di quanto andato in scena venerdì al Palacongressi, scosso nelle fondamenta dalla brillante villania di Pio D'Antini e Amedeo Grieco, nati a Foggia nello stesso ospedale a cinque giorni di distanza l’uno dall’altro, come da ampio archivio fotografico a supporto di uno spettacolo anche autobiografico che non risparmia auto-black-ironia nemmeno a genitori e parenti. Propri.

Prima che il compare irrompa in sala in accappatoio per rivendicare il furto di popolarità in corso, è Pio (senza Amedeo) show, con la metà del duo comico del momento a prendersi la scena di quella che subito si annuncia – sulle note di ‘Stasera… che sera!’ dei Matia Bazar – come lo smontaggio dello spettacolo d’intrattenimento tutto, moderno e non,  con tanto di citazioni storiche (la Carrà di ‘Felicità ta ta’, sigla di Canzonissima 1974, cantata in coppia). Le battute su Lugano si sprecano, soprattutto quelle sull’entità ’Oceano’, che torna a intervalli regolari (in sala ci sarebbe tale Jennifer, su invito); ce n’è anche per il Palacongressi (“Ma che razza di teatro è questo? – edulcorato – Sembra Cosenza”: sindaco Borradori, è per lei).

In questo lungo ‘botta e risposta’ alla Franco e Ciccio, con Pio che vuole fare il colto e Amedeo che manda tutto in vacca, si sprecano anche le battute sull’Italia, «paese pazzerello» in cui «più evadi e più ti rispettano»; e dunque via con le lamentele su GC Events che ha fatturato l’intero cachet e niente in nero, via con la provocazione alle Fiamme Gialle (come da sketch di Sanremo di un anno fa), via coi guadagni nascosti non sotto i materassi ma “sotto le piante di broccoli” e giù battute sui settanta franchi per un biglietto di prima fila «che io non avrei spesso nemmeno per gli U2». E via con la seconda parte dello spettacolo, presa per i fondelli della tv del dolore di Barbara D’Urso, quella che «se piangi facciamo i soldi», in cui la spalla – Pio – regge il solista – Amedeo – in nome dell’affiatamento.

Dopo un’ora di minacce («Guarda che vado a prendere gli zoccoli…») perché il solista pretende dalla spalla uno show che sia più ‘meridionale’ («Ma quali italiani, in sala sono tutti emigrati dal sud!») arrivano gli zoccoli: annunciati dalla voce di Francesco Pannofino (come da serie tv, e sulle note di Toto Cutugno), i due di ‘Emigratis’ si materializzano nel tripudio del Palacongressi ormai trasformato in Papete per dare il peggio di sé, che nel loro caso è il meglio. Lo sketch incentrato sui sex toys crea inevitabili problemi alla coppia seduta alla nostra destra, col bimbo portato fuori dalla sala per via di contenuti troppo artistici (rimane in sala la sola mamma, con le lacrime agli occhi). I due si producono anche in ‘Frutti di mare’, parodia di ‘Gente di mare’ di Tozzi e Raf (anche se le parodie musicali riescono meglio a Checco Zalone, e a noi Pio e Amedeo ci bastano così, zoccoli e pelliccia).

Si chiude con sfottò ai luoghi comuni, inneggiando all’autoironia che ci salverà. Sugli applausi finali, un pensiero affettuoso va a Vanessa Calderisi, avvenente solista di sax all’interno della band che accompagna i due foggiani ‘costretta’ a subire avances in stile ‘Emigratis’ per tutta la serata. Un pensiero anche alla band, che anche a Lugano, anche dopo trenta repliche, ancora sollecita i propri zygomaticus major e minor fallendo una delle regole dell’avanspettacolo, ovvero non ridere alle battute del comico se si è parte della scena. Ma si poteva fare altrimenti?

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