laR+ L'intervista

Antonio e Cleopatra, un'opera oltre misura

In scena al Lac per la regia di Valter Malosti, sul palcoscenico insieme ad Anna Della Rosa mercoledì 20 e giovedì 21 marzo

In sintesi:
  • Apparsa per la prima volta tra il 1607 e il 1608, l’opera ruota attorno alla storia d’amore tra Marco Antonio, triumviro dell’Impero Romano, e Cleopatra, regina d’Egitto
  • Abbiamo raggiunto l'attore e regista per un approfondimento sull’allestimento e la drammaturgia
Sulla fragilità del potere e la potenza dell’eros
(Tommaso Le Pera)
19 marzo 2024
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Il teatro, per sua stessa natura, è un genere effimero, soggetto al suo tempo e destinato a invecchiare presto. Eppure ci sono autori che neanche i secoli riescono a scalfire. Uno di questi, naturalmente, è Shakespeare. Da non perdere è quindi Antonio e Cleopatra, uno dei testi meno frequentati del Bardo, in scena mercoledì 20 e giovedì 21 marzo alle 20.30 al Lac di Lugano. La tragedia, mescolando tragico, comico, sacro e grottesco, racconta della fragilità del potere e della potenza dell’eros.

Apparsa per la prima volta tra il 1607 e il 1608, l’opera ruota attorno alla storia d’amore tra Marco Antonio, triumviro dell’Impero Romano, e Cleopatra, regina d’Egitto. A portarla in scena è Valter Malosti – attore, regista pluripremiato e direttore artistico di ERT-Emilia Romagna Teatro – che, oltre a firmarne la regia, veste proprio i panni di Antonio. Al suo fianco Anna Della Rosa, già interprete della sovrana egiziana in Cleopatràs, primo dei Tre lai testoriani che le valse la candidatura ai Premi Ubu del 2021. Sul palco con loro un ampio cast di attrici e attori per una produzione Ert con Fondazione Teatro di Napoli, Teatro Bellini, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino - Teatro nazionale e Lac Lugano Arte e Cultura.

Abbiamo raggiunto Malosti per un approfondimento sull’allestimento e la drammaturgia, di cui ha curato traduzione e adattamento insieme a Nadia Fusini.

Perché fra le molte opere di Shakespeare ha scelto, oggi, Antonio e Cleopatra?

C’è da dire intanto che questo testo è pressoché sconosciuto al grande pubblico. Il mito di Antonio e Cleopatra è stato ripreso dal cinema degli anni 60, che ha poi creato un vero e proprio immaginario comune attorno a questi due personaggi. La versione di Shakespeare però è un capolavoro e credo che sia un atto politico portarla in scena. Con Nadia Fusini abbiamo lavorato sul testo facendo un’operazione di restauro, piuttosto che di aggiornamento, cercando di rendere il tutto più fruibile al pubblico di oggi. Mi piace pensare che abbiamo dato luce a un dipinto, perché i colori di Antonio e Cleopatra sono sfavillanti. Shakespeare riesce a metterci davanti un’umanità che ci riguarda da vicino, in cui tutti si possono riconoscere pur nell’estrema turbolenza dei due protagonisti. Una volta superato l’iniziale scoglio linguistico, si può percepire nell’opera il ritmo propulsivo della tragedia antica, una musicalità interna, misteriosa, che in questo allestimento abbiamo cercato assolutamente di mantenere.

Cosa le interessava indagare?

Uno dei temi portanti è senz’altro quello dell’eros. Viviamo in un’epoca in cui questo concetto viene mercificato, svilito, reso pornografico. Qui invece parliamo di tutt’altro. L’eros shakespeariano va al di là del puro piacere sessuale perché è legato alla mente e allo spirito. Per delineare i suoi personaggi Shakespeare attinge da due libri di Plutarco – Vite parallele e Iside e Osiride. Ciò che riesce a fare e rielaborare è qualcosa di totalmente nuovo: la sua Cleopatra non è solo la puttana d’Oriente, come amavano definirla i romani, ma anche una dea. È la prima volta che viene attuato un accostamento del genere. Le due dimensioni si trovano a convivere dando complessità alla protagonista e sacralità all’eros. La regina, nella versione di Shakespeare, ha un’infinita varietà, è mutevole come lo sono gli dei.

In quale spazio scenico si muovono i personaggi?

Per questo allestimento ho cambiato metodo di lavoro. Sono partito dalla parola, l’ho scolpita. Tutto il resto si è avviluppato attorno a questo testo/scultura come un rampicante. Anche i costumi hanno una consistenza scultorea dal gusto antico con l’aggiunta di inserti contemporanei; ho issato Antonio e Cleopatra su piedistalli come se fossero statue di marmo. Avevo bisogno di uno spazio architettonico forte e ho chiesto alla scenografa Margherita Palli di ispirarsi all’architettura funeraria moderna per creare un ambiente a metà tra una casa e una tomba. Ci siamo lasciati influenzare dalle linee degli architetti Luis Barragán e Carlo Scarpa per creare un contenitore adatto a queste parole e a questa storia che ricorda quella di Romeo e Giulietta: Shakespeare a distanza di anni dalla sua opera più celebre ripropone infatti lo stesso schema della coppia di amanti suicida dopo il fallimento di una morte simulata. Qualcosa va storto e il piano fallisce. La scena suggerisce dunque il mausoleo in cui, nell’invenzione del drammaturgo inglese, verranno sepolti insieme i due innamorati ed è popolata da elementi funebri come il cavallo, la pedana, i troni di pietra.

Chi sono Antonio e Cleopatra? Su quali tratti peculiari ha lavorato?

Un’immagine che mi ha sempre colpito è quella della scena iniziale dove Antonio viene descritto come un demente d’amore in pieno disordine. Per dirla con Nietzsche, lui appartiene alla categoria dei buffoni tragici. È una parte che gli inglesi fanno malvolentieri, perché la considerano un po’ come la tinca, un pesce che sa di poco. Secondo me però c’è molto altro: Antonio è un uomo che si abbandona. Va incontro a se stesso e al suo destino amando una donna. Man mano che la tragedia procede lui sprofonda verso il nulla. Per un attore non è facile, tendiamo a mettere sempre davanti il nostro ego, quando invece bisogna farsi attraversare dalle parole, dalle traiettorie, trasformando questo buffone tragico in una figura commovente.

Cleopatra invece è un personaggio variegatissimo. Anna Della Rosa è straordinaria, riesce a farne una figura grottesca, tragica, melodrammatica, vera, compassionevole. È una donna che oltrepassa ogni misura, sconcertante e ricchissima di variazioni di stile perché ogni scena è diversa dall’altra. In questo Shakespeare è un maestro nel far convivere comico e tragico in una libertà estrema.

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