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Ferdinando Scianna e i suoi ‘Incontri con fotografi illustri’

Pubblicato da Utet, il libro del fotografo e fotoreporter italiano è aperto da un autoscatto che ben sintetizza il momento e l'opera

19 marzo 2024
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Non si poteva scegliere immagine migliore quale foto di copertina per l’ultima recente pubblicazione di Ferdinando Scianna (“Incontri con fotografi illustri”, Utet Editore). Non solo perché l’autoscatto ritrae un illustrissimo gruppo di colleghi in un interno: l’art director Amilcare Ponchielli il primo a sin. – baffuto tutto di nero vestito – è l’unico non fotografo della combriccola; mentre sul divano ecco Gabriele Basilico con Joseph Koudelka che sembra voler prendere a calci lo stesso Scianna, e il buon Berengo Gardin che osserva sornione.

Non solo per questo, bensì e forse soprattutto perché la foto trasmette complicità goliardica e allegria! Sentimenti, sensazioni e risate sono infatti parole ribadite sovente negli scritti di Scianna che accompagnano la sua serie di ritratti. Scrive l’autore: “Ho voluto aprire il libro con questa immagine perché mi sembra restituisca il clima di amicizia di molti rapporti con altri fotografi importanti nella mia vita”. Inevitabile partire da Henri Cartier-Bresson: un Maestro (“Il Mozart della Fotografia dall’Obiettivo ben temperato”) che segnò la carriera di Scianna chiamandolo nel 1982 nella prestigiosa Agenzia Magnum. “Quando uscì il mio primo libro (prefazione di Leonardo Sciascia, ndr) qualcuno lo definì d’ascendenza bressonana. Ma la mia enciclopedica ignoranza includeva allora anche HCB”. Spassoso il ricordo del primo incontro tra i due: “Mi invitò a cena a casa sua. Ero agitatissimo e sbagliai la fermata del metrò, così giunsi in ritardo. Mi ero portato dietro una scatola di fotografie, ma pensai che fosse cosa pessima presentarmi con delle foto. Incastrai la scatola accanto alla gabbia dell’ascensore e salii. Dopo un po’ arrivò una signora che aveva in mano la mia scatola, spiegò a HCB. Mi sentii morire di vergogna!”.

Più toccante l’incontro con l’Anonimo fotografo di strada incrociato nel 1971 a Dacca, capitale del futuro Bangladesh, ma in quei giorni devastata da un’immane tragedia naturale. Torna il ricordo di sua madre che, quando uno street photographer urlava tra le viuzze di Bagheria per invitare i suoi abitanti a farsi ritrarre, “impupava la mia sorellina col suo vestito migliore e un gran nastro sui capelli, cospargendo i miei con una quantità spropositata di brillantina”. Decise così di farsi fare un ritratto e il collega lo piazzò con grande cura davanti al suo coloratissimo fondale esotico e fece click. Tutto bene? Niente affatto: “Mentre mi allontanavo un violento colpo di vento mandò per aria sia il fondale sia la macchina fotografica. L’amico era disperato e correva agitatissimo per recuperare i cocchi e ricomporre il suo scompaginato set”.

Scianna ricorda poi l’avventura di William Klein (“Con Robert Frank ha cambiato la fotografia”): vittima dell’antisemitismo, lascia New York e si rifugia a Parigi. Anni dopo si sposa e vuol portare la moglie nella sua città natale, che fotografa da mattina a sera – animato da un gran sentimento di vendetta – servendosi di un grandangolare in grado di permettergli di scattare senza nemmeno guardare nel mirino. Nasce così il libro “New York”, grande capolavoro mondiale secondo Scianna (“Potrei scrivere per ore di questo libro”). Parole gentili e piene d’ammirazione anche per tanti altri Maestri: da Ugo Mulas a Sebastiano Salgado; da Manuel Alvarez Bravo a J.H. Lartigue, passando da André Kertész e, tra gli altri, Don McCullin.

Per non gettare zucchero sul miele, tocca dar conto anche di due dissidi, entrambi e curiosamente con due suoi concittadini, che Scianna vividamente ricorda. Letizia Battaglia (“Un’energia da tempesta ingovernabile. Generosa d’iniziative ma ferocemente accentratrice”) lo accusò di volerla fissare nell’esclusivo ruolo di fotografa di morti ammazzati. Poi però “quel ruolo di eroina antimafia diventò la sua importante immagine internazionale”. Enzo Sellerio, infine, che Scianna incontrò da timido diciottenne: “Mi accolse con brusca gentilezza (…) Scoprii anni dopo che Sellerio mi detestava in maniera appassionata, direi barocca”.


Edito da Utet

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