L'INTERVISTA

Ascoltare noi stessi per comprendere gli altri

Sabato 18 novembre all'Usi il convegno ‘E se noi ascoltassimo?’, sulla giustizia riparativa e il suo approccio interdisciplinare

Silenzio. Ascoltiamo.
16 novembre 2023
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L’intera giornata di sabato 18 novembre, presso l’Auditorium del Campus Ovest dell’Usi a Lugano, sarà dedicata al tema dell’ascolto. ‘E se ascoltassimo?’ è il titolo del convegno proposto dall’associazione rJustice in collaborazione con l’USI e il DECS - Servizio LINEA. La giustizia riparativa e il suo approccio interdisciplinare saranno la cornice tematica nella quale verranno approfonditi i punti di vista di Antonella Marchetti, psicologa studiosa della Teoria della Mente, Adolfo Ceretti, criminologo e mediatore penale e Anna Bacchia, ricercatrice sullo sviluppo delle nostre capacità intuitive. Abbiamo raggiunto Antonella Marchetti, professoressa ordinaria di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Direttrice del Dipartimento di Psicologia e Responsabile dell’Unità di Ricerca sulla Teoria della Mente.

Il filosofo Riccardo Manzotti ha pubblicato recentemente un articolo sulla rivista online ‘L’indiscreto’, nel quale critica l’operato delle neuroscienze nel tentativo di spiegare la coscienza. Quale prospettiva assume invece la Teoria della Mente rispetto al tema della coscienza?

Al convegno che si terrà a Lugano parlerò di Mentalizzazione, che è un concetto teorico apparentato con la Teoria della Mente, ma non sovrapponibile del tutto. Peter Fonagy, uno dei massimi esperti di Mentalizzazione, definisce la Teoria della Mente come “la capacità di sentire i pensieri e di pensare ai sentimenti”, unendo gli aspetti cognitivi della comprensione di noi stessi e degli altri con gli aspetti affettivi di tale comprensione. In altre parole, si tratta dell’abilità che noi abbiamo di intuire o di comprendere chiaramente che dietro alle azioni delle altre persone e alle nostre vi sono pensieri, sentimenti, credenze – vere o false – affetti, emozioni. Insomma, nella comunicazione con gli altri la nostra interazione è un po’ monca se non è accompagnata da questo tipo di comprensione. Per questi motivi per me non è tanto una questione di coscienza, ma per quanto riguarda il concetto di Mentalizzazione, è una questione di relazione interpersonale e intersoggettività. La Teoria della mente e la Mentalizzazione non si occupano della coscienza come la definiscono i filosofi o i neuropsicologi, ma si occupano degli aspetti impliciti, espliciti, non verbali e verbali della comprensione di sé e degli altri.

Si tratta quindi di un ascolto legato soprattutto alla parola?

Anni fa un autore parlava di voci della mente, al plurale. Voci radicate nelle culture, ovviamente non le voci che sente lo schizofrenico, che sono per lui reali, ma le voci che ci parlano nella mente quando incontriamo l’altro nella sua contestualizzazione culturale, incontro che può avvenire fisicamente o attraverso la lettura di un testo. Le voci per cui l’ascolto è quasi automatico e non è possibile evitarlo. È un ascolto dettato da influenze socioculturali, da stati mentali che fin dalla prima infanzia costituiscono la mente delle persone. Tanto inevitabile che ci spinge ad assumere dei punti di vista personali che, se radicalmente distanti da quelli altrui, sfociano nel conflitto. Per questo occorre affrontare se stessi attraverso l’ascolto. Ad esempio, quando la prospettiva di un altro mi irrita e mi verrebbe voglia di non stare lì un minuto di più, sarebbe opportuno fare un passo indietro e chiedersi: che cosa della mia storia, della mia educazione, mi fa diventare così resistente rispetto alla sospensione momentanea del giudizio? Siamo esseri umani e probabilmente siamo portati a dare per scontato che ciò che pensiamo sia la fotografia della realtà, per questo è utile riconoscere che gli stati mentali sono soggettivi. Torti e ragioni vanno riportati all’interno di questa arena del riconoscimento reciproco della soggettività. Ciò non significa che la realtà non esista, ma si arriva a una realtà condivisa attraverso il dialogo e attraverso l’ascolto solo se si abbandona il presupposto di oggettività delle proprie credenze.

Gli aspetti educativi e culturali come influenzano le capacità di ascolto?

La nostra comprensione di sé e dell’altro avviene sempre in una situazione che è per definizione sociale: l’intersoggettività si costruisce all’interno dei contesti sociali caratterizzati da un’ampia variabilità all’interno della stessa cultura, e tanto più quando le culture sono differenti. L’accento sulla dimensione culturale – in campo degli studi sulla teoria della mente e mentalizzazione – si è fatto negli anni sempre più importante. Prendere atto di questi aspetti è necessario per capire le intenzioni, le credenze e le emozioni che motivano una certa persona ad agire in un certo modo. Non posso pretendere di abbracciare un collega giapponese come abbraccerei un collega italiano, dopo la seconda o terza volta che lo vedo, perché violerei una norma culturale che regola la distanza che bisogna tenere in quella cultura.

Tornando al tema della giustizia riparativa, tema che verrà ampiamente approfondito durante il convegno di sabato. Come è possibile riparare la mente, la coscienza, attraverso l’ascolto?

È una domanda grande. Tempo fa ho letto un articolo che parlava di pluralismo nel pensiero e citava il concetto di carità interpretativa, un concetto che unisce gli aspetti cognitivi, perciò interpretativi, e gli aspetti più emotivi, tra cui la carità. Ci sono stati mentali che sono soggettivi, altri invece sono degli errori sotto tutti gli aspetti. Vorrei portare un esempio, ma prima è necessario accordarsi sulle parole: io non utilizzo il termine ‘ragioni’, perché mi sembra di dare sostegno a delle persone che hanno commesso atti orribili. Preferisco chiamarli ‘motivi’. Se io mi accosto ai motivi di un'altra persona e riesco ad assumere una postura di carità interpretativa – cosa per nulla scontata, ma che va elaborata nel tempo – è più probabile che io riesca a intraprendere un percorso di comprensione che porterà a una riparazione. Il dolore, il danno, la crudeltà possono essere i motivi che inducono a questi errori. Vedere una strada come l’unica via percorribile senza scorgere un’alternativa può portare a una mancata sintonizzazione emotiva e a cadute dell’intersoggettività fino ad azioni sanzionabili da tutti i punti di vista.

Per partecipare all’evento ‘E se ascoltassimo?’ è necessario iscriversi sul sito www.usi.ch. Il convegno si svolgerà nel corso della mattinata, a partire dalle ore 9.00, mentre il pomeriggio sarà dedicato ad alcuni atelier esperienziali che offriranno stimoli pratici per verificare e affinare le proprie capacità di ascolto.

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