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Uno studente svizzero in viaggio verso l'ignoto

Nel memoir ‘Un incontro a Pechino’ il sinologo Billeter ripercorre la sua scoperta della Cina nell'epoca di Mao

Nella Cina di Mao
(Keystone)
16 ottobre 2023
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“Dopo gli studi in Lettere, terminati a Ginevra nel 1961, ho trascorso un anno a cercare la mia strada. Passavo da una cosa all’altra, e tra queste la lingua e la scrittura cinesi, perché mi ero imbattuto in un manuale”. Il basilese Jean François Billeter, che diventerà un sinologo di fama mondiale, dopo la laurea cerca soltanto un’occasione per rinviare il superamento della linea d’ombra e l’iniziazione alle responsabilità e alle consapevolezze dell’età adulta. “Aveva senso studiare il cinese? Mi avrebbe portato da qualche parte?”: incoraggiato dall'accademico Gilbert Etienne, profondo conoscitore dell'Estremo Oriente, Billeter supera i dubbi e la burocrazia e, al colmo della felicità e dell’incoscienza, parte come l’Ulisse di Dante verso un Paese di cui, da quando i comunisti vi hanno preso il potere chiudendolo agli stranieri, nessuno sa cosa stia succedendo. È il primo svizzero ad andare a studiare in Cina, un Paese devastato dal fallimento del ‘grande balzo in avanti’ promesso da Mao: Pechino, racconta nel memoir ‘Un incontro a Pechino’, edito da Casagrande, è un immenso villaggio rurale con stradine in terra battuta e pochi edifici moderni; le biciclette sono beni di lusso, razionati come tante altre cose; si vive tagliati fuori dal mondo e non c'è alcuna possibilità di telefonare in Europa. Informazioni che non sono ancora arrivate in Occidente, dove i sacerdoti dell'ideologia infilzano con terribili anatemi chiunque si azzardi a scalfire il mito della rivoluzione. Il regime, d'altro canto, ha approntato rigide misure preventive per impedire ai germi occidentali della democrazia e della libertà di pensiero di infettare la popolazione locale: le soffocanti maglie censorie tendono a confinare gli studenti stranieri nel mondo chiuso della scuola, per tenerli all'oscuro della realtà cinese e isolare i cinesi dal mondo esterno.

Come Stendhal in Italia

Quando mette il naso fuori dalla bolla artificiale in cui lo si vorrebbe costringere, Billeter deve adattarsi a usanze bizzarre, che sembrano provenire da un altro sistema solare. Eccolo al teatro dell'opera: "I bambini correvano tra le file della platea, gli adulti sgranocchiavano semi di anguria. Gli spettatori, verosimilmente del quartiere, parlavano quando lo spettacolo non li interessava, tacevano per ascoltare le arie e lanciavano sonori hao! hao! quando le giudicavano ben interpretate. Un impiegato percorreva i corridoi e lanciava panni riscaldati col vapore a chi, con un cenno della mano o un grido, ne faceva richiesta per asciugarsi il viso". Novità che inizialmente incuriosiscono e incantano Billeter, che si sente come Stendhal in Italia, prima che lo sconforto per la fatiscenza delle infrastrutture e per la mediocrità e la monotonia della vita quotidiana prenda il sopravvento. La vita dei cinesi, come Billeter ha modo di constatare, è compartimentata e irregimentata dal Partito, nessuna iniziativa personale è consentita (è stato collettivizzato persino l'artigianato), tutto è subordinato alle esigenze della rivoluzione, gli strumenti della propaganda alimentano una paranoia collettiva che obbliga ognuno a stare all'erta, perché il nemico può annidarsi ovunque.

Innamorarsi a Pechino

Si escogitano pretesti per reprimere le turbolenze politiche interne, i controlli vengono intensificati o allentati a seconda della partita che si gioca alla testa del potere, e il più delle volte a farne le spese sono gli intellettuali, condannati alla damnatio memoriae attraverso la sparizione delle loro opere: "Io mi affrettavo a fare il giro delle librerie per metterci le mani. Mi è capitato di passare tra gli scaffali pochi minuti prima del funzionario incaricato di rimuoverle". Gli intellettuali sono le vittime predilette delle soperchierie di Stato, insieme agli abitanti con origini di classe non gradite, sottoposti agli abusi della polizia, a umiliazioni pubbliche e a vendette personali. Decisioni prese da dirigenti corrotti, che praticano vite dissolute nonostante la propaganda predichi la frugalità rivoluzionaria e imponga, come avviene oggi nelle teocrazie islamiche, abbigliamenti e tagli di capelli che non appaiano legati ad aspirazioni e sentimenti borghesi. In tutto questo, Billeter decide di complicarsi la vita innamorandosi di una ragazza cinese. L'avvicinamento tra i due, ostacolato dalle labirintiche disposizioni del Partito, dalla sorveglianza generalizzata e dalle frustranti usanze locali, culmina in un avventuroso matrimonio e nel sospirato trasferimento in Occidente. La Cina, nel frattempo, non si è avvicinata come profetizzavano i sessantottini: "ancora oggi i cinesi non sono liberi di parlare", annota Billeter, "e trarre degli insegnamenti dalla storia recente,". Con la conseguenza che la storia resta non detta, "l'ignoranza e l'indifferenza guadagnano terreno e con il passare delle generazioni diventano definitive. È ciò che vuole il regime".

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