laR+ Poesia

Pusterla, Princeton, Plutone

‘Brief homage to Pluto and other poems’, la Princeton University Press pubblica un’antologia di testi di Fabio Pusterla

Fabio Pusterla
(Ti-Press)
14 settembre 2023
|

Non capita tutti giorni che una prestigiosa università americana pubblichi un volume di poesia dedicato interamente a un poeta di lingua italiana; basti pensare che nella collana The Lockert Library of Poetry in Translation i poeti più prossimi a Pusterla sono Luciano Erba, Guido Gozzano e, molto più indietro nel tempo, Giovanni Pascoli. Evviva, evviva la poesia, dunque!

La selezione di testi (divisi in due sezioni intitolate Poems 1994-2004 / 2010-2019) e la traduzione sono opera di Will Schutt, anch’egli riconosciuto poeta (classe 1981), residente a New York, e in passato premiato per le sue traduzioni di Edoardo Sanguineti.

Le poesie proposte sono quarantacinque e sono accompagnate dal testo a fronte; le composizioni sono anticipate da un’introduzione dal titolo sobrio, Translator’s Introduction, che però appare allegramente in contrapposizione con quanto viene scritto sulla quarta di copertina dove, verrebbe da dire in stile americano, si legge “thank to translator Will Schutt, a brillian poet in his own right, who prefaces his resonant versions with a stellar introduction”.

Pusterla viene definito una voce che esplora le zone di frattura (“wayfaring voice and rift zone vision”) del reale, spaziando dalle inquietudini che emergono dal paesaggio alpino (ben diverso da certi cliché turistici), alla vertigine della memoria, fino a toccare “the pressing moral concerns” del suo tempo.

Il libro è intitolato Brief Homage to Pluto and other poems e riprende l’omonima Breve omaggio a Plutone (Pietra sangue, 1999). Questa scelta evidenzia indubbiamente l’importanza che Schutt attribuisce a questa lirica. Qui di seguito si propone il secondo movimento:

Perché la pioggia, perché il vento e le pianure

notturne, l’erba gialla, il respiro. Quell’acqua

che scroscia nei vicoli, e i prati. Perché

non c’è tregua, o domani. Soltanto

le sbarre, la gabbia di un io.

L’inferno è non essere gli altri,

guardarli passare e sparire nel niente:

un posteggio che piano si svuota,

il cantiere del vento

Because rain, because wind and valleys

at night, yellow grass, breath. That water

raking the alleys and fields. Because

there i no truce or tommorow. Only

these bars, the cage of an I.

Hell is not being others,

watching them slip by and disappear:

a parking lot that slowly empties,

The windblown worksite.

Il passo, fra i più conosciuti e antologizzati, presenta nel sesto verso – L’inferno è non essere gli altri, – una dichiarazione che in qualche modo rappresenta un segmento della poetica di Pusterla che lo ha accompagnato per molti anni; forse solo nelle recenti raccolte si è in parte trasformato in una prospettiva più morbida e rassicurante. L’altro elemento che va annotato è il ribaltamento di una famosa dichiarazione di Sartre che in un dramma scrive: L’inferno sono gli altri. Pusterla considera il proprio esistere ingombrante, soprattutto perché l’io è costantemente minacciato dal desiderio, da un’attitudine di agire secondo calcoli radicati nella nostra visione del mondo. Aprire la mano: questo è difficile. Lasciare / qualcosa senza sacrificio, senza falsità prosegue Pusterla nel terzo movimento. A differenza di Sartre l’Io pusterliano non si sente in scacco dagli altri, ma da sé stesso, da the cage of an I. Will Schutt a proposito sottolinea giustamente come “the I and eye of the poems often scan for language in a negative place”. Più avanti nell’introduzione Schutt ribadisce questa lettura, e sottolinea come “Pusterla remains a reluctant poet”, che descrive sé stesso “making do in the kitchen / writing poems, not being a poet”.

Il libro, non va dimenticato, si rivolge al pubblico americano e ciò che interessa è quindi l’esito che la lingua di Pusterla assume in inglese. Tutto si gioca quindi nel tentativo di riportare nell’idioma tradotto il ritmo e i suoni originali, meno importanti sono i metri (elementi contingenti alla lingua di partenza) e, almeno in parte, il lessico. Per tradurre non è quindi per forza necessario essere degli integerrimi linguisti. Di tutto ciò è consapevole Schutt che a tal proposito scrive: “Attention to the dominant sounds has guided many of my translation choices”. Si tratta quindi, continua il traduttore, di mettere in relazione suono e senso, gli elementi fondanti della poesia.

L’ultimo testo antologizzato è il notevole poemetto Libellula (Argéman, 2014) – Dragonfly. In questo caso per Schutt non esistono margini d’azione nel tradurre il nome dell’insetto: l’italiano ci dona una bellissima parola aerea (ben quattro le l, senza dimenticare l’accento sdrucciolo), che sembra involarsi leggera con le sue ali sottilissime e trasparenti, un frullo di speranza. La parola inglese, soprattutto nella prima parte dove udiamo la pesante d seguita da g, ci fa immaginare un potente elicottero, o un drago.

Qui di seguito viene proposto un passo tratto dal secondo movimento. Una bella sfida per il traduttore.

E adesso, in questo estremo ultimo autunno,

eccola qui improvvisa,

senza bagliore o ronzio per annunciarla,

con il suo volo di scatto e surplace,

ad accamparsi sul margine dello sconforto e della resa,

sopra fanghiglie reali e metaforiche,

leggera smeraldina la libellula

in sospensione sull’aria

e quasi immota nel frusciare imperscrutabile

delle sue quattro ali di garza iridescente,

intarsiata.

And now, at the very end of autumn

here it, unbidden,

not flares or trumpets to herald its arrival,

with its fitful flight, decamped

on the edge of discomfort and surrene,

over the real and metaphorical muck,

weightless emerald dragonfly

held in the air

by the inscrutable almost montionless rustle

of its four gauzy, iridescent, tessellated

wings.

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