Fotografia

World Press Photo Exhibition, Mariupol e dintorni

Torna a Monte Carasso la mostra itinerante del concorso che premia il meglio del fotogiornalismo mondiale. La ospita SpazioReale, da oggi al 24 settembre

‘The Price of Peace in Afghanistan’
(Mads Nissen/Politiken/Panos Pictures)
1 settembre 2023
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Forse era un presidente, forse un direttore artistico. C’entrava il cinema. Cerca cerca, per fortuna la Rete memorizza tutto. Era il marzo 2022: “Io ho fatto per cinque anni il presidente della Lombardia Film Commission e me ne intendo”, gridava l’ospite. “Una scena così è un set che monti in due ore”.

È con questo negazionismo nelle orecchie, irritante come un acufene, che abbiamo sempre guardato al lavoro del pluripremiato Evgeniy Maloletka, fotografo ucraino che ha raccontato per immagini il bombardamento dell’ospedale dell’infanzia di Mariupol. È sua, annunciata già lo scorso aprile, la fotografia dell’anno per il World Press Photo Contest, concorso che dal 1955 premia fotogiornalisti e fotografi documentaristi che in più categorie – ‘Singole, Storie’ (3-10 fotografie), ‘Progetti a lungo termine’ (24-30 scatti) e ‘Open Format’ (più mezzi di narrazione, in cui il principale contenuto visivo sia la fotografia) – siano stati capaci di fermare lo spazio e il tempo di un avvenimento giornalisticamente rilevante. E nessun singolo scatto è risultato più rilevante, agli occhi della giuria, di quello che ritrae gli ultimi attimi di vita della 32enne Iryna Kalinina e del bimbo che aveva in grembo, chiamato Miron (Pace), nato morto.

Diversamente da quanto pensava l’ospite televisivo (sempre che nel frattempo non abbia cambiato idea, l’eventuale ravvedimento in Rete non c’è), per la giuria “la foto descrive un vero e proprio attacco al futuro dell’Ucraina”. I cinque uomini che trasportano la barella con sopra madre e figlio non sono gli unici scatti di Maloletka, che insieme ad alcuni colleghi dell’Associated Press si è aggiudicato anche il Pulitzer per il servizio pubblico, il più importante di tutti i Pulitzer.


Evgeniy Maloletka
Mariupol Maternity Hospital Airstrike

Oscar

L’immagine simbolo di Mariupol, insieme ad altre 114 foto premiate, singole o plurime, sono lo specchio della condizione umana aggiornata al 2022 in mostra allo SpazioReale di Monte Carasso da oggi fino al 24 settembre. Accade ogni anno: una volta ufficializzati i suoi vincitori, il World Press Photo Contest diventa World Press Photo Exhibition e gira il mondo. Quella che approda nei sotterranei dell’Antico Convento delle Agostiniane è l’unica tappa nella Svizzera italiana ed è stata illustrata ieri da Julia Kozakiewicz, curatrice ed exhibition manager, che del lavoro di Maloletka ricorda l’importanza nel far sì che verso la città ucraina rasa al suolo dall’esercito russo si aprisse un corridoio umanitario, ma anche l’aver dato la possibilità di definire più precisamente l’atto compiuto, un crimine di guerra. “Questa è l’importanza della fotografia”, dice l’emissaria del contest, che parla di “Oscar del fotogiornalismo”, cui si arriva dopo una prima suddivisione di tutto il materiale ricevuto in otto regioni di provenienza, e poi nelle suddette categorie legate al formato.

Guerra, cambiamento climatico, diritti delle donne e più in generale umani. Sono i temi che occupano i bianchi pannelli di questa edizione, la cui immagine ufficiale è quella con la quale apriamo la pagina e che ci guarda dalle strade. È un estratto da ‘Il prezzo della pace in Afghanistan, reportage dell’anno (o World Press Photo Story of the Year) che si deve al fotografo danese Mads Niessen. Il 15enne afgano che mostra la cicatrice di un rene asportato si chiama Khalil Ahmad, il suo sacrificio ha fruttato 3’500 dollari per la sopravvivenza di un’intera famiglia. Quella di Khalil è la prima foto di una serie che documenta le conseguenze del ritiro delle truppe statunitensi nell’agosto del 2021, da cui il ritorno al potere dei talebani.

Citiamo qui il Premio ‘Progetti a lungo termine’, andato alle ‘Acque maltrattate’ di Anush Babajanyan, reportage su Tagikistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Kazakistan, vittime della privatizzazione e della siccità, ma il lungo termine del Nord e Centro America porta con sé una storia non meno toccante, quella delle famiglie che coltivano fiori a Villa Guerrero, in Messico, dove Europa, Cina e Stati Uniti inviano prodotti agricoli che esse stesse vietano. I danni prodotti dalle serre per la floricoltura sulla popolazione locale sono nelle patologie di due teenager, e nel destino segnato di una madre.

Open Doors

Sempre che internet raggiunga gli smartphone negli anfratti di SpazioReale, le fotografie dell’Exhibition sono dotate di codice Qr che rimanda a materiale audio e video. E a tutto il resto di quanto esposto rimandiamo anche noi, non prima di avere ricordato l’EventoReale, le porte aperte sul cinema del mondo curate dal Locarno Film Festival, sezione Open Doors, cui la Città di Bellinzona contribuisce dal 2011, partecipando al finanziamento del premio Open Doors Grant, un contributo fattivo ai progetti più meritevoli presentati all’interno della specifica sezione del Festival.

In occasione dell’apertura di questa sera, con inizio alle 20.30, verrà proiettato ‘Joyland’, primo lungometraggio del regista pachistano Saim Sadiq che dalle Open Doors è transitato lo scorso anno. Il film è un ritratto della società machista e patriarcale pachistana confrontata con le diversità: accolto a braccia aperte a Cannes nel 2022 (premio della giuria nella sezione ‘Un certain regard’), rimane osteggiato in patria.

Presto o tardi

C’è un momento di pura gioia al Convento delle Agostiniane. È il furgoncino che esplode di gente festante in una strada di Buenos Aires, ma il catalogo della mostra offre anche la Capitale dall’alto col suo fiume di persone che ferma le auto e le inghiotte. È la festa per la Coppa del mondo che l’Argentina di lì a poco porterà in patria dal Qatar, è la Menzione d’onore dedicata dalla giuria al Sud America, la boccata d’aria di una vittoria che si è appena compiuta, definitivamente. La Menzione d’onore asiatica viene invece da Teheran e a Monte Carasso sta giusto all’inizio della mostra. Non è nelle foto utilizzabili dalla stampa, così la raccontiamo con le parole del menzionato: “Pochi giorni dopo la morte di Mahsa – scrive il fotogiornalista e narratore visivo iraniano Ahmad Halabisaz – stavo camminando attraverso Keshavarzi Boulevard quando vidi una folla di uomini e donne, giovani e vecchi, che cantavano uno slogan che non avevo mai sentito prima: ‘Donna, Vita, Libertà’. Mi fece aprire gli occhi, era commovente”.

Mahsa è Mahsa ‘Jina’ Amini, la 22enne curda arrestata per aver violato la legge sul hijab obbligatorio e la cui morte ha acceso il grido di libertà di tutto l’Iran. Halabisaz inquadra una giovane donna senza velo, impegnata nella stessa sfida. È seduta e alle sue spalle si muove un corteo che dal 27 dicembre 2022, data dello scatto, a suo modo non si è ancora fermato, e che lotta per una vittoria che non è avvenuta. Non ancora.

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