Culture

Il Festival di Giona Nazzaro: ‘Per il pubblico e per il cinema’

Intervista al nuovo direttore artistico: le sue passioni, non solo cinematografiche, le sue priorità. E l’appartamento a Locarno…

Giona Nazzaro (Ti-Press / Davide Agosta)
6 novembre 2020
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“Prenderò un appartamento a Locarno. Il mio non sarà un impegno limitato ai giorni del Festival”. Di questi tempi, una dichiarazione come questa vale un curriculum. Giona A. Nazzaro è da ieri il nuovo direttore artistico del Locarno Film Festival. Il critico cinematografico e scrittore italiano succede al breve regno di Lili Hinstin, ringraziata dal Marco Solari dopo un divorzio consensuale ma «dolorosissimo», parole del presidente. The future of films, mutuando dall’edizione ibrida 2020, passa così nelle mani di Nazzaro, classe 1965, nato a Zurigo, giornalista di formazione. Delegato generale della Settimana Internazionale della Critica di Venezia dal 2016, membro di IFFR (International Film Festival di Rotterdam), il neo direttore artistico ha già lavorato per il Visions du Réel di Nyon e per il Locarno Film Festival come moderatore. La sua vicinanza al digitale appare decisiva nella scelta, e l’entusiasmo – «Rischio di sfociare nel sentimentalismo», dice del Festival – cattura il GranRex…

Nazzaro, la felicità è evidente. Se vuole sfociare nel sentimentalismo con noi, faccia pure…

No, la prego (sorride, ndr). La direzione artistica di Locarno è un’enorme responsabilità. Sono felicissimo perché questo è il festival che raccoglie tutto ciò che di buono c’è negli altri. L’amore per il cinema, un pubblico devoto che si raccoglie per vedere i film di Leon McCarey qui nel GranRex, o in Piazza Grande per film che magari non conosce. Un pubblico mai blasé, sempre di cuore. I cineasti si sorprendono dell’accoglienza che hanno qui, e allo stesso modo qui è possibile incontrare personaggi come Trumbull, Corman, Cimino, Friedkin. Il Festival è anche l'attenzione ai restauri della cineteca di Losanna. Un Festival enorme ma a misura d'uomo, non nevrotizzato. Che solo Locarno ha.

Il Festival non è solo la Piazza Grande ma anche la città, che dal direttore artistico, ancor più oggi, si attende vicinanza. Il cosiddetto ‘legame col territorio’…

Locarno Film Festival è una realtà a cerchi concentrici. E come quando si lancia un sassolino nello stagno, senza il primo cerchio non esistono tutti gli altri. Un esempio. Se intervisto Renato Berta, caro amico, e lui mi suggerisce un ristorante, e mi racconta la storia che lo lega a quel posto, quella è una dimensione che va preservata. È l'infinitamente piccolo, plusvalore della grande manifestazione, che è la forza di Locarno.

Che lei vuole vivere di persona…

Non si può pensare di lavorare in un posto senza conoscerlo, nei limiti del possibile. Oltretutto, Locarno ha una dimensione così unica che rende assai piacevole essere presenti sul territorio.

Locarno Festival è anche fusione tra ‘red carpet’ e ricerca. Se ne farà tramite?

Locarno, storicamente, ha dato vita alla forma moderna del festival cinematografico, ha intuito che esistono pubblici diversi in un medesimo luogo, che il video è una parte importante della ridefinizione dell’idea stessa di immagine cinematografica. È stata la sede di retrospettive su autori di teatro con installazioni video. Questo per dire che il glamour intelligente è parte integrante del piacere di essere qui. Vedere Alain Delon, Christopher Lee, Ethan Hawke è una cosa bella. Mi auguro si possa, pur in un quadro pandemico così drammatico, proseguire in questa direzione.

La sua competenza in ambiti digitali è qualità in cui il Festival ripone il suo futuro. Ma il Locarno 2020 si è speso per salvare le sale svizzere. Ne terrà conto?

Il futuro è quella cosa in cui, volenti o nolenti, ci si trova dentro. Citerò un film di Ed Wood, il 'peggiore regista del mondo' (sorride, ndr) al quale Tim Burton dedicò un bellissimo (e omonimo, ndr) film. All’inizio di ‘Plan 9 from outer space’, il mago Criswell dice “Buonasera, signore e signori. Se siete qui è perché siete interessati al futuro”. Il punto è che il futuro c’è, e lo si può subire o inventarlo, modellarlo, con l’ottimismo del lavoro. Oggi viviamo un momento di compresenza delle diverse forme che permettono a un appassionato di musica come me, per esempio, di usare un giradischi mentre altri ascoltano solo file in alta definizione Flac. Mi permetterei mai d'impedire a qualcuno di ascoltare i suoi Flac? Mai. E soprattutto, mi opporrei a una ricerca che permetta la definizione di altre frontiere sonore? Mai.

E le sale?

Devono continuare a esistere, perché garanti di democrazia e libertà. E le cineteche, il cuore della memoria. Al di là di tutto, oltre le forme resta il racconto, il piacere che io e lei proviamo quando ci vediamo insieme ‘Duello al sole’, ‘Roma città aperta’ o ci gasiamo davanti a ‘Avengers’ e vogliamo che Thanos la smetta di rompere le scatole.

Durante la conferenza si è parlato di concorrenza tra festival. I film sono difficili da reperire anche perché di nuovi ve ne sono pochi…

È un problema reale, ma non ineludibile. Ci stiamo lavorando. Credo che ogni festival che si riesca a fare fisicamente è un festival in più, anche con limitazioni. E ogni festival in più che si fa, si sblocca un cantiere cinematografico, perché si accende una fiammella di speranza.

Citando le sensazioni provate al Festival ha incluso “la musica che esce dai locali”. Quindi a Locarno, cito chi l’ha preceduta, non c’è “la musica più brutta del mondo”…

La musica senza la gente non esiste. Penso ai buskers. Lunga vita! Come il disco dei The View, ‘Hats off to the busker’, giù il cappello davanti ai musicisti di strada. Amo il rock, il jazz, la new wave nelle declinazioni più no wave, il soul. Poi mi piacciono anche John Adams, Arvo Pärt. La musica è... funk. Anche se in realtà vengo dall’hard rock. Da ragazzino, a Zurigo, ero fan dei Kiss, Led Zeppelin, Deep Purple, Nazareth. Mon dieu: magari questo non lo scriva…

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