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‘Il giovane corsaro’, Pasolini negli anni di Bologna

Tra fiction e documentario, nella sezione ‘Young’, Emilio Marrese racconta la gioventù dell’intellettuale italiano

Nico Guerzoni
24 novembre 2022
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Le scuole ticinesi non lo vedranno, perché nessuna scuola si è iscritta per vederlo. È l’unica pecca de ‘Il giovane corsaro - Pasolini da Bologna’, ma non è colpa del film – vivace, leggero, necessario – a rendere più ‘commestibile’ l’intellettuale italiano in mezzo alle colte celebrazioni dei cent’anni dalla nascita.

"Avevo sette anni – dice il protagonista del film – stavamo cenando, e al telegiornale davano un servizio sull’omicidio di Pasolini (…) Chiesi a mio padre chi era Pasolini; lui girò su ‘Striscia la notizia’ e senza togliere gli occhi dalla tv mi rispose: ‘Un busone’". «È lo spunto dal quale sono partito. Anche a me, che un giorno chiesi chi fosse Pier Paolo Pasolini, fu risposto – non da mio padre – "un pervertito"». Attingendo da archivi audio e video, scritti inediti e tante immagini d’epoca, Emilio Marrese – giornalista, scrittore, sceneggiatore e regista – ricostruisce la gioventù bolognese di Pier Paolo Pasolini (che ha la voce di Neri Marcorè), non esattamente un amore a prima vista: «Figura difficile da farsi piacere, da raggiungere. Proprio per questa mia antica difficoltà sarebbe stato ingiusto liquidarne la sua complessità e così le incongruenze. Ho amato ‘Salò’, ‘Mamma Roma’, ma continuo a trovare ostica parte del suo cinema e della sua letteratura. Eppure la sua forza è arrivata ai nostri giorni per i motivi che in tanti prima di me hanno detto».

Marrese alleggerisce l’ipertrofica celebrazione da centenario del poeta di Casarsa immaginandosi uno studente (Nico Guerzoni) che vuole incentrare la sua tesi di laurea sul rapporto tra Pasolini e la città, ricostruendo del primo la formazione culturale ed esistenziale e, della seconda, l’apporto datogli. Proiettato ieri a Giubiasco, ‘Il giovane corsaro’ è in concorso nella sezione ‘Young’. «Spero che per ‘Young’ intendano il pubblico, perché io ho 55 anni. Mi consola sapere che c’è anche Pupi Avati…».

Emilio Marrese: Pasolini è sempre stato Friuli e borgate romane. Su Bologna in pochi si sono calati…

È il motivo per cui esiste questo documentario. Gli anni di Bologna sono in parte sconosciuti anche ai bolognesi stessi, e invece sono importanti. Non è, quello bolognese, un Pasolini più importante degli altri, anzi, comandano ancora il poeta friulano e il regista delle borgate, ma mi piaceva l’idea che già altri hanno messo in pratica – penso a Mario Martone e al suo Leopardi ne ‘Il giovane favoloso’ –, e cioè andare alle origini del personaggio e del suo pensiero.

Quanto è difficile raccontare Pasolini ai giovani?

Io ci ho provato. Dico sempre che trovo patetici gli adulti che tentano di parlare ai giovani con un linguaggio giovane, e in quel caso gli esiti rischiano di essere comici. Dunque questo non è un film per i giovani. Però ho cercato di fare qualcosa di dinamico, altrimenti mi sarei annoiato io per primo. Stiamo facendo tante proiezioni per i licei, e i ragazzi possono annoiarsi tutti, dormire sulle sedie; ma se anche nella testa di uno di loro si apre un dubbio, se s’interessa alla vita attraverso Pasolini, la cosa mi rende orgoglioso. Alla fine di queste proiezioni spesso mi fanno domande con occhi sgranati, ed è il complimento più autentico, la misura più veritiera di quanto il film sia riuscito o meno. So che chieder loro attenzione su un documentario è come chiedere a me di leggere lo scritto di un amanuense del Trecento, ma Pasolini è giovane perché ribelle, in contrasto col sistema, col potere, con la società, con la famiglia, con l’ordine costituito. Come i ragazzi.

Sta smentendo l’espressione "ah signora mia, i giovani di oggi…"?

Da padre di un 24enne, un 20enne e un 17enne, so bene che esistono canali di totale incomunicabilità e altri di potenziale scambio. Ma non posso più sentir dire che i ragazzi di oggi non valgono niente, che valgono di meno, che sono rimbambiti dal telefonino. Anche noi adulti siamo rimbambiti dal telefonino. I ragazzi di oggi sono meglio di come ero io, di sicuro. Quando, da dinosauro quale ti senti, riesci a risvegliare un interesse, a renderti interessante ai loro occhi senza essere trapper, soubrette o influencer – ma soltanto un vecchio regista – la sensazione è inebriante, gonfia l’ego.

Così dice Pasolini nel film: "Quando Manzoni scriveva I Promessi Sposi, il 97% degli italiani era analfabeta. Eppure nessuno avrebbe mai detto a Manzoni di non scriverli". Pensiero, oggi, rivoluzionario?

Pensiero un po’ snob, anzi molto snob, però le cose si possono anche comprendere più avanti. Occupandomi di comunicazione da quando ho vent’anni, farsi capire è importante, dopodiché è il caso di non prostituirsi o rinunciare a se stessi per la paura di non essere compresi dalla totalità delle persone. Avendo obiettivi diversi da Pasolini, al quale nemmeno oso accostarmi, a me interessava arrivare al numero più ampio di persone per far capire che egli non è una montagna impossibile da scalare. Ho cercato di rendere commestibili concetti che restano difficili. Però, quando vado alla Biennale di Venezia non ho la pretesa di capire tutto degli artisti e nemmeno gli artisti della Biennale si devono preoccupare che io capisca quello che loro vogliono dire.

Gli artisti, "scandalosi già nel momento in cui aprono la bocca", dice il poeta a Enzo Biagi…

Mi auguro con tutto il cuore che se Pasolini fosse vissuto più a lungo non sarebbe stato uno Sgarbi. Oggi, per noi, dare scandalo significa fare il guitto in televisione, cercare lo scontro, esasperare i toni col solo fine di stupire. Non so, in un contesto del genere, come Pasolini si sarebbe comportato. Era sicuramente un narcisista, un innamorato di sé che voleva a tutti i costi provocare; negli ultimi anni era ossessionato dal voler a tutti costi sottolineare la propria diversità, essere corrosivo, urticante a prescindere. Però, molto di quel che sosteneva, in un contesto completamente diverso da quello odierno, era rumoroso ma giusto.

Il suo Pasolini preferito?

Mi ha molto colpito l’opinionista per la forza, l’efficacia chirurgica con la quale portava avanti le sue tesi, che il tempo ci ha detto non essere così folli. In fondo, quanto ha predetto della nostra società e della nostra politica si è, purtroppo, in gran parte avverato.

Anche sul calcio, da lui amato quanto i libri, ci aveva preso: "Nel prossimo futuro il calcio raggiungerà fasti sempre più grandiosi. Il neocapitalismo lo vuole (…) Coppe e campionati aumenteranno di numero perché i lavoratori non chiederanno di meglio che andare allo stadio due volte alla settimana, magari anche tre", specificando che la sua previsione era pessimistica…

È un’intervista del 1975 al Guerin Sportivo. L’istinto per il calcio è qualcosa di primordiale, ancestrale e assolutamente trasversale. Pasolini non è l’unico intellettuale praticante e amante del pallone. Come diceva lui, "è una malattia che si contrae da giovane", e che ci si porta dietro tutta la vita.

Per finire: giri i nostri complimenti a Nico Guerzoni.

L’ho scoperto nel corto ‘Figli delle stelle’. Il suo essere ragazzo in transizione, o ‘attore trans’ come si definisce, richiama i travagli di Pasolini in gioventù. Più di un ragazzo mi ha riconosciuto il coinvolgimento non strumentale. Nico è nel film perché è bravo, non per ottemperare alle richieste dei cast dei film odierni, che chiedono di coprire ogni possibilità legata al gender.

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