Ticino

Dimesso il prete del primo abuso sessuale comunicato dalla Curia

L'ex religioso, nel 2021, fu condannato a 4 anni di carcere per aver stuprato una giovane quando era parroco nel Basso Ceresio

In sintesi:
  • Originario del Locarnese, era stato sospeso dall'esercizio del ministero
  • La decisione di dimetterlo dallo stato clericale direttamente da papa Francesco
Pagine tristi della Chiesa
(Keystone)
28 marzo 2024
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Don Claudio Mazzier non è più un prete. A dimetterlo dallo stato clericale è direttamente papa Francesco. Dell’ormai ex sacerdote si era parlato in Ticino in occasione del processo che lo aveva visto alla sbarra nel febbraio del 2021.

L'ex religioso era stato condannato dalla Corte delle Assise criminali di Lugano, presiedute dal giudice Amos Pagnamenta, al termine di un procedimento di rito abbreviato, a 4 anni di detenzione. Oltre ai reati di coazione sessuale e violenza carnale, il 50enne, difeso dall'avvocato Luigi Mattei, era stato riconosciuto colpevole di contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti, avendo consumato almeno un chilo di marijuana fra il 2017 e il 2020.

Ma il fatto più grave che gli era stato contestato e riconosciuto, come anticipato, riguarda lo stupro, nel 2013, di una parrocchiana 18enne durante un viaggio in Italia. Mazzier si era offerto di accompagnarla a Rimini per assistere a un concerto di musica pop. Qui l'ex prete, originario del Locarnese, ma in quell'occasione attivo in una Parrocchia del Basso Ceresio (dove era giunto fra il 2006 e il 2014), approfittò sessualmente della fragile situazione della giovane, dopo che era stata oggetto di sue morbose attenzioni, attraverso baci ed effusioni, negli anni precedenti (dunque quando la ragazza era ancora minorenne).

Il caso era emerso nel maggio 2020, dopo l'arresto dell'uomo, suscitando clamore – oltre che per la fattispecie – per essere stato il primo abuso sessuale commesso da un ecclesiastico comunicato direttamente dalla Curia.

‘Agì per egoismo’

Una storia che oltre ai risvolti squallidi, per il comportamento dell'allora parroco (che «agì per egoismo», come sottolineato dal giudice Pagnamenta nel corso della lettura della sentenza), ha poi avuto un esito tragico con la morte a 22 anni della vittima sulla quale Mazzier avrebbe dovuto riservare, come desiderio della famiglia, un'attenzione diversa così da aiutarla a uscire da un momento particolarmente difficile e di sofferenza psicologica.

Tanto che, come emerso nel dibattimento del processo di tre anni fa, la ragazza non avrebbe voluto compiere quella trasferta, forse allarmata – come scrivevamo nella cronaca di quei giorni – da quanto precedentemente avvenuto in Ticino e dall'escalation di un rapporto che non era più come avrebbe dovuto essere. La situazione era, infatti, degenerata il secondo giorno di quel viaggio che avrebbe dovuto essere di divertimento ed evasione: avendole fatto bere alcol sin dal pomeriggio, alla sera il 50enne aveva raggiunto la 18enne ormai completamente ubriaca in albergo, abusandone sessualmente. Una violenza proseguita poi sotto forma psicologica nei giorni successivi, quando l'uomo aveva da un lato intimato alla giovane di non dire a nessuno l'accaduto per evitare che lui finisse nei guai e d'altra parte facendole intendere che non sarebbe mai stata creduta.

La giovane, dopo un primo tentativo andato a vuoto nel 2015, aveva invece trovato la forza di raccontare quanto era successo. Confidenze che erano arrivate all'orecchio del vescovo Valerio Lazzeri nel marzo del 2020 e che a sua volta aveva interpellato la Commissione diocesana di esperti per la gestione di casi di abusi sessuali in ambito ecclesiastico, decidendo così per la segnalazione alla Magistratura.

«Sarà da prevedere un periodo prolungato in una comunità religiosa per recuperare la dimensione spirituale» aveva ammesso il sacerdote in aula, nel 2021, dopo aver accusato la pena, e dopo essere stato sospeso dall'esercizio del ministero. Il pontefice, evidentemente, seppur con evidenti tempi biblici (non una semplice espressione, considerato che sono passati tre anni dal processo e undici dai fatti), gli ha indicato un’altra via più diretta e perentoria: ‘Fuori da qui!’.

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