Ticino

Berlusconi e l'attrazione ‘fatale’ per il Ticino

Le strade, ma soprattutto le ‘carte’ svizzere, che l'ex cavaliere solcò (e firmò) fra il capoluogo lombardo e le rive dei laghi ticinesi

Sorrisi luganesi
(Ti-Press)
12 giugno 2023
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Tutte, o quantomeno molte, portano in Ticino. Sono le strade, più spesso giudiziarie, che nella vita di Silvio Berlusconi, e soprattutto nei suoi affari, hanno avuto la Svizzera, e Lugano in particolare, come epicentro finanziario. Qui, a una manciata di chilometri da Milano, lontano dagli occhi indiscreti di finanzieri e paparazzi (se non volontariamente e furbescamente invitati), si sono stampati e incastrati i puzzle di un colosso patrimoniale ed economico a nove zeri.

E sulle rive del Ceresio il cavaliere ‘dimezzato’ (titolo a cui dovette rinunciare nel 2014 in piena bufera penale) puntò centinaia di volte la sua berlina blu scura o il suo elicottero, secondo la voglia e la fretta del momento, accompagnato dalle fedeli guardie del corpo (i cui capelli sono ingrigiti nel tempo ben prima dell'esimio titolare). Meta privilegiata, la punta più a sud della Confederazione, non solo per il proprio benessere civettuolo (pensiamo fra il 2004 e il 2009 agli interventi di chirurgia estetica all'Ars Medica di Gravesano) o per questioni calcistiche (in una fiduciaria di via Bossi sancì nel 2015 la vendita di parte delle quote del Milan al magnate-meteora thailandese Mr. Bee, mentre nel quartier generale di via Pietro Capelli dello stilista tedesco Philipp Plein firmò, quattro anni più tardi, la sponsorizzazione dell'Ac Monza) ma, ancora, per far visita, nel 2009, alla Clinica Sant'Anna di Sorengo alla figlia Barbara, neomamma.

Milano-Lugano, andata e ritorno. Chissà quante volte avrà solcato l'Autostrada dei Laghi o il cielo insubrico, spingendosi anche verso il Locarnese, quando l'amico e alleato Umberto Bossi scelse l'Hildebrand di Brissago per cure riabilitative in seguito all'ictus che lo aveva colpito il 7 settembre 2004 e dal quale non si è mai ripreso del tutto, così come l'alleanza Forza Italia-Lega Nord. Un ricovero che proprio ‘laRegione’ aveva smascherato, con tanto di foto ricordo.


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A Brissago in visita a Umberto Bossi (2004)

Dall'azzurro dei nastri al grigio dei faldoni

Nastri azzurri e rettangoli verdi che, in Ticino, si sono incrociati con pesanti e grigi faldoni e scottanti dossier che alle nostre latitudini hanno trovato terreno fertile per processi e rogatorie: da Tangentopoli al caso Lentini, dalla holding Fininvest (la cui società per azioni aveva sede a Massagno) a Mediaset fino a Cosa Nostra passando dalla ‘piccola’ Banca Arner della centralissima piazza Manzoni (dove a Silvio si attribuiva il conto numero 1) e dal lungolago di Lugano di cui il ‘Berlusca’ (così lo chiamavano affettuosamente i meneghini) si era detto affascinato.

Attrazione ‘fatale’ per Silvio Berlusconi anche quella con la giustizia svizzera. Nel 2005 il Ministero pubblico della Confederazione indagò sui cosiddetti fondi neri. La vicenda riguardava la compravendita di diritti televisivi da parte di Mediaset attraverso società offshore a essa riconducibili. Secondo l'accusa, quasi 170 milioni di dollari erano stati depositati all'estero. Di questi, circa 140 milioni erano stati bloccati in Svizzera, in particolare su conti bancari ticinesi.

Nel 2013 la prima condanna definitiva per Berlusconi: quattro anni di carcere per frode fiscale, tre dei quali condonati dall'indulto. L'ex presidente del Consiglio scontò la pena effettuando lavori di interesse pubblico in una casa di riposo per anziani. Denaro, però, sbloccato nel 2016, dopo l'assoluzione da parte della Corte di Cassazione del fidato amico Fedele Confalonieri e del figlio, Piersilvio Berlusconi, rispettivamente presidente e vicepresidente di Mediaset. Ministero che aprì un'indagine per riciclaggio di denaro contro Berlusconi nel 2005, su richiesta italiana. Procedimento però che fu archiviato nel settembre del 2011.

Dal centrocampista al Monza

Ma fu il mondo del calcio a ergere Berlusconi nell'Olimpo del football (Champions in primis, allora Coppa dei Campioni) e a travolgerlo di... polvere. Il 30 giugno 1992 il calciatore Gianluigi Lentini firma per il Milan per la cifra – all'epoca considerata spropositata – di 18,5 miliardi di lire, scatenando di riflesso la rivolta degli ultras del Torino e sfociata in violente proteste e tafferugli di piazza. Lo stesso centrocampista viene travolto da una pioggia di monetine lanciate dai tifosi che anticiperà, di un anno, quella ben più nota sul socialista Bettino Craxi, fra i patron politici del successo berlusconiano, aprendo a indagini giudiziarie, anche ticinesi, per un presunto pagamento di diversi miliardi fuori bilancio (e transitati proprio, guarda caso, su un conto di Lugano).


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Con lo stilista Plein per la sponsorizzazione nel 2019 dell’Ac Monza

A Lugano, come detto, Berlusconi chiuse nel 2015, almeno ufficialmente, la sua carriera da presidente del Milan, facendo conoscere un semi-sconosciuto, più sconosciuto che semi, Bee Taechaubol, un sedicente imprenditore asiatico, che in molti lessero come un suo avatar (nuovo nome, ma stessa proprietà). E sempre sotto il San Salvatore l'ex cavaliere, affiancato dal fratello Paolo e da Adriano Galliani, compagno di partite, siglò nel 2019 un accordo di sponsoring a favore della sua nuova squadra, il Monza, società acquisita meno di un anno prima dalla famiglia dell'ex primo ministro italiano e che in tre anni dalla serie C è approdata in A.

Mobilitò anche la protesta

Fra le notizie ticinesi legate a Berlusconi e al suo partito, non possiamo non citare la manifestazione anti-Forza Italia messa in scena a Vico Morcote nel 2004 in occasione del 23° Congresso Azzurri nel Mondo. Un gruppetto di autogestiti invase la strada cantonale nei pressi della riunione tanto da far intervenire la polizia.


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Manifestazione anti Berlusconi a Lugano (2004)

Da Massagno a Milano

‘Strizzammo quelle carte ma non c'era succo’

Il 17 gennaio del 1996, un mercoledì, si aprì a Milano il processo che vide Silvio Berlusconi alla sbarra con una decina di imputati, fra cui manager della Fininvest nonché ufficiali e sottufficiali della Guardia di finanza: concorso in corruzione l’ipotesi di reato a suo carico. Sullo sfondo l’inchiesta, condotta dal pool dei magistrati inquirenti milanesi di ‘Mani pulite’, sulle presunte mazzette, 380 milioni delle vecchie lire, che sarebbero state versate a personale delle Fiamme gialle per ‘addolcire’ i controlli fiscali in società italiane del Biscione.

Lui, Berlusconi, presidente della Fininvest, aveva sempre respinto le accuse affermando di non essere mai stato a conoscenza delle presunte tangenti. Tuttavia venne rinviato a giudizio. Nelle mani dei pm italiani anche le carte sequestrate in Ticino, acquisite nel dicembre 1994 alla Fininvest Service Sa di Massagno durante la perquisizione disposta dal Ministero pubblico della Confederazione che diede così seguito alla richiesta di assistenza inoltrata dalla Procura del capoluogo lombardo.

La rogatoria italiana era volta a far luce sui presunti fondi neri che la Fininvest avrebbe costituito all’estero e che, secondo il pool ‘Mani pulite’, sarebbero serviti fra l'altro a pagare uomini della Giuardia di finanza. All’invio in Italia dei documenti ‘ticinesi’ tentarono di opporsi gli avvocati svizzeri del Biscione, con ricorsi al Tribunale federale contro l’ordinanza di trasmissione delle carte all’autorità giudiziaria italiana firmata nel settembre del ’95 dall’allora procuratrice federale Carla Del Ponte.

Pochi mesi dopo, nel gennaio ’96, il processo al Palazzo di giustizia di Milano. Folto pubblico. Quel giorno, e solo quel giorno, ‘laRegione’ era presente. In una pausa dell’udienza riuscì ad avvicinare Silvio Berlusconi. Il tempo per una sola domanda: “Presidente, che cosa c’è nelle carte Fininvest sequestrate in Ticino?”. Rapida e breve la risposta: «Se ben ricordo – dichiarò Berlusconi al nostro giornale – la procuratrice federale Carla Del Ponte ha smentito l’intervista in cui parlava di carte succose. E di succoso infatti non c’è nulla. Le carte sono state strizzate ma di succo nemmeno una goccia. Zero. Avevo allora consigliato ai miei dirigenti di mostrare i documenti in tivù, anche se poi la richiesta non è stata accolta». Insomma, niente fondi neri, a detta del presidente.

Come andò a finire? Il processo, ricorda l’enciclopedia online Wikipedia, terminò due anni dopo “con una condanna, per tutti i capi d'accusa, a due anni e nove mesi di reclusione complessivi”. Poi l’Appello. Che, con sentenza del maggio 2000, assolse Berlusconi, “con la formula per non aver commesso il fatto, per la vicenda Tele+”, e prosciogliendolo “con riguardo ai tre residui capi d'imputazione (per intervenuta prescrizione dovuta alla concessione delle attenuanti generiche)”. Nell’ottobre 2001 la Cassazione italiana assolse Berlusconi “per tutti e quattro i capi d'accusa (con la formula per non aver commesso il fatto)”. Il 25 febbraio 2010, indica ancora Wikipedia, sempre la Corte di cassazione emise “una sentenza nell'ambito del processo Mills dichiarando che l'avvocato David Mills fu corrotto per testimoniare il falso nel processo sulle tangenti alla Guardia di finanza, favorendo così l'assoluzione di Berlusconi”.

L’ex legale della Fininvest

‘All’epoca impresa ardua vincere un ricorso’

All’epoca legale in Svizzera del gruppo Fininvest era l’avvocato Carlo Lombardini, esperto tra l’altro di diritto bancario. Nell’Italia delle vicende giudiziarie era il periodo dell’inchiesta ‘Mani pulite’. L’inchiesta su veri e presunti casi di finanziamento illecito di partiti e di corruzione investì la classe politica italiana e concorse al passaggio dalla prima alla cosiddetta seconda Repubblica. Un’indagine ad ampio raggio che necessitò di accertamenti anche all’estero, tramite lo strumento della rogatoria, per l’acquisizione di documentazione bancaria, fondamentale per verificare, corroborandoli o meno, i reati ipotizzati dai pubblici ministeri.

«Le rogatorie, le domande cioè di assistenza giudiziaria, nella fattispecie quelle presentate alla Svizzera dalla magistratura italiana, riguardavano in quel momento storico non solo la Fininvest, ma anche altri diversi gruppi industriali, politici e intermediari italiani – ricorda oggi Lombardini, contattato dalla ‘Regione’ –. Parliamo di centinaia, se non di migliaia di rogatorie. Ovviamente la Fininvest era quella che destava nei media il maggior interesse, perché era dell’imprenditore e del presidente del governo italiano Silvio Berlusconi e perché lo stesso Berlusconi non esitò a un certo punto a polemizzare, anche in maniera piuttosto dura, contro i magistrati della Procura di Milano. Ed era un periodo nel quale le autorità giudiziarie svizzere prestavano la massima collaborazione a quelle italiane. Ed è questo aspetto che faceva la grande differenza rispetto al passato. Un cambiamento di mentalità indotto anche dalla nostra classe politica, che voleva collaborare a tutti costi nella lotta alla corruzione, anche quando le indagini italiane erano, perlomeno a nostri occhi di avvocati difensori, tutt’altro che solide. Quindi – continua Lombardini – ricorrere e ottenere ragione davanti al Tribunale federale era per noi un’impresa assai difficile, e se non addirittura impossibile. Ritengo poi che i magistrati italiani sapessero come andava scritta una rogatoria affinché i colleghi elvetici la eseguissero. Di certo fu un periodo nel quale si era consapevoli del fatto che se si perdeva un ricorso, questa sconfitta giudiziaria aveva o avrebbe potuto avere un impatto molto importante sulla vita politica di un paese straniero, in questo caso l’Italia».

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