il personaggio

Berlusconi, l’uomo che fu tutto e non fu niente

L’incredibile vita dell’italiano più iconico della seconda parte del Novecento, colui che ha incarnato la Seconda Repubblica

Silvio Berlusconi era nato il 29 settembre del 1936
(Keystone)
12 giugno 2023
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Imprenditore, costruttore, cantante, editore, banchiere, sportivo, supermegapresidente di qualsiasi cosa – dalla Standa al Milan – marito, amante, piduista, primo ministro, imputato, ferroviere, barzellettiere, perfino “Unto del signore”, per sua stessa definizione.

Silvio de Bergerac

Cambiano – nemmeno tutti – i ruoli, i mestieri, le attitudini, e pare di leggere l’epitaffio che dettò per sé stesso Cyrano de Bergerac, che era questo: “Astronomo, filosofo eccellente, musico, spadaccino, rimatore, Del ciel viaggiatore, Gran mastro di tic-tac. Amante, non per sé, molto eloquente. Qui riposa Cirano Ercole Saviniano Signor di Bergerac. Che in vita sua fu tutto e non fu niente”.

Quel “fu tutto e non fu niente” scritto da Rostand oltre un secolo fa pare perfetto per Silvio Berlusconi: ingombrante, accentratore, arcitaliano e difficilmente dimenticabile (il “tutto”) eppure talmente trasformista e capace di assumere ogni forma pur di restare a galla da evaporare con la sua morte (il “niente”). Berlusconi si riempiva dell’ammirazione degli altri per nutrire sé stesso. E aveva cominciato da piccolo, eccellendo a scuola e facendo copiare i compiti (a pagamento o in cambio di favori) ai compagni.

Dittatori e dintorni

Curioso che un uomo che è stato dipinto come un imperatore d’altri tempi, capace di cambiare carriere – politiche e non – con un pollice alzato o verso (ricordate l’editto bulgaro? Correva l’anno 2002. Biagi, Luttazzi e Santoro fatti fuori dalla Rai su sua richiesta) e dagli avversari più livorosi una sorta di “dittatore 2.0” (che usava le tv come un manganello e le Coppe dei Campioni per distrarre le folle) fosse nato il 29 settembre del 1936, lo stesso giorno in cui iniziò la dittatura franchista in Spagna.

Berlusconi, negli anni, si è accompagnato, e con una certa soddisfazione, a figuri come Gheddafi (a cui permise di installare una tenda beduina a Villa Pamphilj, a Roma) e Putin, ha cercato di rivalutare goffamente Mussolini (“ha fatto anche cose buone” e dintorni) per compiacere gli alleati di destra e ha sempre flirtato con aree grigie e anime nere: i rapporti mai del tutto chiariti con la mafia ai tempi della sua ascesa come imprenditore edile, la presenza ad Arcore del suo “stalliere” Vittorio Mangano (un pluriomicida affiliato a Cosa Nostra), il legame stretto con Marcello Dell’Utri, poi condannato a sette anni per aver fatto da tramite proprio fra Berlusconi e le cosche, la tessera numero 1816 della loggia massonica P2, la famosa foto in bianco e nero in stile “Padrino”, in piena ascesa televisiva, con completo, capelli leccati e pistola in bella vista sul tavolo.


Con Muammar Gheddafi (Keystone)

Il Berlusconi fuorilegge non finisce mai, dalle inchieste per evasione fiscale, bancarotta, riciclaggio e ricettazione alle notti del bunga-bunga con starlette e ragazzine (e con Ruby Rubacuori, la celebre non-nipote di Mubarak), fino alle scorrettezze da ragazzaccio mai cresciuto, come le corna fatte a un collega nella foto ufficiale di un vertice Ue e perfino a un bambino, in quel di Rapallo.

Ma è proprio Berlusconi che non finisce: “Too big to fail” (troppo grande per fallire), dicono gli americani, che un po’ è vero, ma nel suo caso è meglio “Too big” e basta. Sapeva invadere il centro della scena e non lo lasciava, aspirando agli applausi, ma senza disdegnare i fischi, che sono pur sempre un gesto d’attenzione: per questo si allenò, con l’amico Fedele Confalonieri, esibendosi sulle navi, cantava canzoni d’amore in francese e nel frattempo prendeva le misure al mondo e all’universo femminile.

Le origini

Lui, figlio di un bancario della periferia milanese e di una casalinga, studente dai salesiani, si era laureato in Legge con una tesi che già prefigurava il suo futuro: “Il contratto di pubblicità per inserzione”. Per tirare su qualche soldo extra aveva venduto spazzole elettriche porta a porta e fatto fotografie ai matrimoni. Nel 1961 si butta nell’edilizia grazie a un sostanzioso prestito della Banca Rasini, quella in cui lavorava il padre, poi coinvolta, negli anni, in inchieste sulla mafia: in quella banca c’erano conti collegati, tra gli altri, a Totò Riina e Bernardo Provenzano. I pm di Palermo, negli anni Novanta, arrivarono a definire la Banca Rasini “il forziere della mafia a Milano”.


Con Barack e Michelle Obama (Keystone)

Nel 1963 nasce Edilnord (con dentro un socio svizzero, Carlo Rezzonico, che fornì i capitali attraverso la Finanzierungsgesellschaft für Residenzen AG di Lugano): Berlusconi scommette su un’area sonnacchiosa di Segrate per creare un paesino modello, Milano 2. Funziona. Sponsorizzata come “la città dei numeri uno” e ispirata ad alcuni esperimenti sostenibili e all’avanguardia del Nord Europa, Milano 2 ha centri di aggregazione, centri sportivi, supermercati, scuole, una chiesa, un sistema viario che divide pedoni, auto e biciclette.

Sua Emittenza

In parallelo, Berlusconi si era lanciato nelle tv commerciali, all’epoca inesistenti o quasi e fagocitate dalla Rai monopolista. Telemilano 58 è solo il primo passo: crea un network di tv locali e le riunisce sotto il nome di Canale 5: arriva Mike Bongiorno, e poi Corrado, Raimondo Vianello e Sandra Mondaini. Insomma è iniziata la sfida alla tv pubblica, vinta anche con i decreti dell’amico Bettino Craxi, segretario del Partito socialista e uno degli uomini più potenti d’Italia (sarà poi la Legge Mammì, nel 1990, a sigillare le proprietà di Sua Emittenza). Sono gli anni del Drive In e de Il Pranzo è servito. Un mix esplosivo che mette insieme comicità da caserma e trasgressione da Bar Sport, con donne scosciate e scollature, a programmi come quello di Corrado, tagliati su misura per le famiglie: arrivano Dallas, Happy Days, i cartoni animati che durano un pomeriggio intero e i telefilm americani.

Le protezioni politiche lo tengono lontano dai guai, e così Berlusconi si butta nel calcio, intuendo quanto lo sport possa restituirgli in termini di immagine e gloria: acquista un Milan decaduto (anche se pare fosse un tifoso dell’Inter in gioventù) e lo rende uno dei club più titolati al mondo senza dimenticare di metterci del glamour, con un gioco spettacolare e rivoluzionario (Arrigo Sacchi) e campioni da copertina (Gullit, Van Basten…). Il Milan, con cui vincerà 5 Coppe dei Campioni (poi diventata Champions League), rimarrà il suo biglietto da visita più luccicante in patria e all’estero.

I ‘cumunisti’

Nel 1992 parte però Mani Pulite, l’inchiesta che di fatto azzera i partiti politici della cosiddetta Prima Repubblica, travolgendo anche Bettino Craxi, autoesiliato in Tunisia per evitare l’arresto. Berlusconi, rimasto senza coperture sicure nei palazzi romani, decide di fare da sé con la famosa “discesa in campo”: fonda Forza Italia, si presenta in tv con l’aria a metà tra lo statista e il venditore di pentole e sbanca alle elezioni, tenendo fuori dal governo il Pds, gli odiati “cumunisti”, come li chiamava lui, mettendo la “u” dove non c’era, e dove non c’erano più nemmeno i comunisti, superati dalla Caduta del Muro e anche dalla Storia.


Il gesto delle manette (Keystone)

Sdoganare fascisti

Per restare in piedi Berlusconi si allea con chi può, e quindi con leghisti e post-fascisti (con dentro i fascisti veri, senza post, alcuni dei quali ancora oggi al governo quasi 30 anni dopo): il primo tentativo di governo durerà poco, causa screzi continui con l’irrequieto Umberto Bossi (che, coincidenza, porta il cognome dell’amatissima e onnipresente madre di Silvio, Rosa, morta quasi centenaria nel 2008). Poi la Lega prende le misure a Roma e mette la colla alle poltrone, Berlusconi si libera di chi, a destra, lo mette in difficoltà (Gianfranco Fini in primis) e diventa per oltre vent’anni il catalizzatore della politica italiana, con un solo antidoto, l’apparentemente pacioso Romano Prodi, che lo sconfigge per due volte alle urne.

Nella fase di berlusconite acuta, che lui sia al governo o all’opposizione, l’Italia parla praticamente solo di lui e delle sue leggi ad personam (che quasi sempre passano, permettendogli di passare indenne attraverso inchieste e processi) fino a dividersi come si faceva un tempo tra Guelfi e Ghibellini. Lui perde ogni freno, a parole e nella vita, dà apertamente del “coglione” a chi non vota per lui, promette qualsiasi cosa dalla dépendance di Porta a Porta, insulta colleghi in aula (la più clamorosa è “la proporrò per il ruolo di kapò” al socialista tedesco Schulz), si perde in nottate boccaccesche che lo portano al divorzio dalla seconda moglie, l’ex attrice Veronica Lario (la prima, Carla Dall’Oglio, conosciuta in gioventù, è la mamma di Marina e Pier Silvio, i due figli più potenti del clan).

Triste, solitario y final

Il finale è fatto di cause, processi che si accavallano che vengono quasi a noia al pubblico che per anni ha tifato come se fosse in una curva da stadio. Il finale, sempre triste in questi casi di uomini potenti senza più potere: un matrimonio finto con l’ultima fiamma, Marta Fascina, l’acquisto del Monza per farne un piccolo Milan, le battute, sempre le stesse, che non fanno più ridere nessuno.

Persino chi l’ha odiato da sempre e per sempre ha iniziato a provare pietà: tra le ultime immagini di decadenza si vede questo anziano rabbioso che si fa sorreggere per andare a votare alle ultime elezioni per il presidente della Repubblica. Voleva decidere lui per tutti ancora una volta, perché lui, in Italia, era stato tutto per davvero. Ma era già un uomo solo. Era già niente.


Sul tetto d’Europa con il suo Milan (Keystone)

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