Ticino

Abbracci rubati: i centri educativi ai tempi del Covid

Durante il lockdown della scorsa primavera molti giovani non hanno potuto incontrare i genitori per molte settimane

(ti-press)

Stare lontano dalla propria famiglia. Una condizione che stanno vivendo in tanti e che tocca soprattutto i minori che si trovano in un centro educativo (Cem). Si tratta di circa 300 ragazzi e ragazze che per ragioni personali o familiari si trovano in istituto. «Durante il lockdown molti giovani non hanno potuto incontrare i genitori per sette settimane», ricorda Vito Lo Russo, direttore dell’istituto von Mentlen di Bellinzona. Per mantenere il contatto con le famiglie e poter frequentare la scuola a distanza è stato necessario trovare in poco tempo gli strumenti tecnologici adeguati, in assenza dei quali il distacco dalla normalità sarebbe stato ancora più duro: «Non si sono dovuti attrezzare solo gli istituti, abbiamo anche dovuto trovare il modo perché i genitori disponessero dei supporti per comunicare a distanza coi figli», sottolinea Mario Ferrarini, coordinatore della Conferenza dei direttori dei centri educativi minorili (Codicem) nonché direttore della Fondazione Vanoni di Lugano.

Anche tutto il personale è stato fortemente sollecitato, ne approfittiamo per ringraziarlo a nome di tutta la Codicem. «Gli educatori hanno fatto turni anche di alcuni giorni consecutivi in una situazione già di per sé difficile e piena d’incertezze», prosegue Ferrarini. «Persone che hanno magari anch’esse a casa famiglia e figli». Oltre all’aspetto emotivo dovuto al distacco dalla normalità, il personale si sta confrontando con la difficoltà di molti ragazzi e bambini di comprendere la situazione: «È difficile spiegare a un bimbo di quattro anni che quel weekend non può andare dalla mamma perché lei ha la tosse», dice Ferrarini. I ragazzi più grandi invece spesso non comprendono certe decisioni: «C’è molta incertezza a causa dei continui cambiamenti – afferma Vito Lo Russo –. I giovani non sanno se continueranno ad andare a scuola, se potranno vedere la famiglia e non capiscono per quale motivo in alcune situazioni la mascherina è obbligatoria mentre poi si ritrovano insieme a mangiare». Fortunatamente, salvo qualche eccezione, gli ospiti dei Cem hanno reagito bene: «I più grandi ci hanno dato una mano a far capire ai più piccoli cosa stesse succedendo», ricorda Lo Russo. «Ora – aggiunge Ferrarini –, il grosso del lavoro è quello di continuare ad avere la collaborazione dei ragazzi e delle famiglie».

Un altro ostacolo per i minorenni dei centri educativi è stata la «convivenza forzata», illustra Ferrarini. «Per loro è già difficile accettare il distacco dai genitori e il fatto di vivere in un istituto. Oltre a questo si sono ritrovati confinati in piccoli gruppi, senza magari poter vedere il fratello o la sorella che si trovava nello stesso istituto». Un intralcio alla filosofia che sta alla base dei Cem: «I ragazzi che vengono da noi sono stati collocati per necessità – spiega Lo Russo –. Il nostro compito è quello di metterli in condizione di vivere una vita il più vicino possibile a una quotidianità in famiglia».

Le autorità sono state un altro importante tassello soprattutto durante la prima ondata pandemica. «Il nostro ufficio di riferimento, l’Ufficio del sostegno a enti e attività per le famiglie e i giovani (Ufag), è stato pronto a rispondere a ogni nostra necessità, anche riguardo all’approvvigionamento di materiale protettivo», afferma il direttore del von Mentlen. «La disponibilità è stata totale», concorda il presidente della Codicem.

Un servizio che si è invece dovuto fermare quasi completamente è quello di sostegno e di accompagnamento educativo (Sae). Si tratta di educatori che si recano a casa delle famiglie che stanno vivendo delle difficoltà educative, per evitare o prevenire eventuali collocamenti nei centri educativi. «Seguiamo circa trecento famiglie l’anno – spiega Ferrarini –. Quando abbiamo dovuto interrompere il servizio è stato bello vedere il desiderio dei genitori di mantenere un contatto regolare con gli educatori. Infatti hanno creato una pagina Facebook per condividere attività da fare con i figli e organizzare incontri via Skype con i gli educatori che magari leggevano una storia o preparavano dei lavoretti».

Una realtà fragile che in questa pandemia sta riuscendo a far fronte alle difficoltà. Nonostante questo c’è grande stanchezza: «Noi lavoriamo assieme ai ragazzi, li coinvolgiamo in tutte le attività, anche nell’apparecchiare la tavola – spiega il coordinatore della Codicem –. Tante di queste cose non sono più possibili ed è difficile anche sopperire ai bisogni emotivi. Gli abbracci li diamo, ma sono abbracci rubati».

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