Mendrisiotto

‘Figlia ridotta a oggetto sessuale’, 5 anni di carcere

La corte delle assise criminali di Mendrisio ha prosciolto dalla tentata violenza carnale il 37enne a processo da stamattina

17 settembre 2020
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«Ha ridotto la figlia a un oggetto sessuale, tradendo la sua fiducia per puro e semplice egoismo». La corte delle Assise criminali di Mendrisio ha condannato a 5 anni, sospesi per permettergli di seguire un trattamento stazionario, il 37enne della regione a processo da oggi nell'aula penale di Lugano. Quanto accaduto tra le mura domestiche ai danni della figlia minorenne, durante i suoi diritti di visita, non è però stata una tentata e ripetuta violenza carnale. La Corte ha riconosciuto l'imputato colpevole di coazione sessuale e atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere. Seguendo le indicazioni della perizia a cui l'uomo è stato sottoposto, Pagnamenta ha concluso che il 37enne «è un pedofilo e c'è il rischio di recidiva: è necessario un lungo percorso terapeutico». All'uomo è stato riconosciuto di essere stato «costante nell'affermare di non avere cercato un rapporto completo con la figlia, scartando in modo deciso la possibilità. Come da lui sostenuto, è plausibile che provasse soddisfazione solo con gli sfregamenti». Seguendo la tesi esposta dall'avvocato Stefano Pizzola che si è battuto per una condanna non superiore ai quattro anni, la Corte ha ritenuto «una certa collaborazione, anche se un po' sfumata. O gli si crede su tutta la linea, o non lo si fa: se avesse voluto arrivare a un rapporto completo, lo avrebbe potuto fare senza difficoltà». Il procuratore pubblico Roberto Ruggeri ha invece proposto una condanna a 7 anni e 6 mesi, sospesi per consentire all'imputato di seguire un trattamento stazionario.

‘Fatti gravissimi’

Le azioni commesse dall'imputato «sono fatti gravissimi che hanno avuto quale vittima la figlia minorenne, la quale avrebbe avuto ogni diritto di approcciarsi alla sessualità in modo naturale». Fatti, ha aggiunto Pagnamenta, «che hanno tradito la fiducia di ogni bambino» e che sono stati commessi tra le mura domestiche, ovvero laddove i più piccolo «dovrebbero essere al sicuro». Il 37enne, ha concluso il giudice «era perfettamente consapevole che stava commettendo degli illeciti. Visto quanto ha a sua volta subìto, più di altri non poteva non sapere quali sofferenze incontra un bambino costretto a vivere l'interesse sessuale di un genitore».

Parola ad accusa e difesa

Le accuse principali risalgono al 2012 e al 2015. A domanda diretta del giudice, l'imputato che ha riconosciuto i fatti – «sono giusti, va bene così» – ha dichiarato di «non avere voluto» avere un rapporto completo con la bambina e di «non sapere rispondere al perché di questi strusciamenti: non ero molto consapevole di quello che stavo facendo». Mentre gli atti sessuali sono iniziati nel 2007. L'anno successivo è stato aperto un primo procedimento, poi abbandonato, per atti sulla figlia. Come mai, ha chiesto il giudice all'imputato, non ha smesso di commettere questi atti? «Se ricordo bene, ho iniziato a toccare mia figlia nel 2011». Il 37enne ha fatto risalire l'inizio degli atti ai mesi del procedimento che ha interessato suo padre (che ha ammesso un episodio) per reati analoghi. «Nel 2010 hanno processato mio padre e mi sono sentito abbandonato. Avevo bisogno di aiuto e l'ho chiesto in tutti i modi». L'uomo aveva anche rilasciato un'intervista televisiva. A mente dell'accusa, l'uomo «è un manipolatore e amante del vittimismo – ha aggiunto Ruggeri –. La perizia ha stabilito che non c'è nessun legame tra il passato e il presente: è passato da vittima a carnefice perché è stato incapace di trattenere i suoi orridi impulsi sessuali». La difesa, rappresentata dall'avvocato Stefano Pizzola, ha chiesto il proscioglimento dal reato di tentata violenza carnale e una condanna per atti sessuali e pornografia (oltre alla continuazione del trattamento terapeutico ambulatoriale che l'imputato sta seguendo in carcere). «Non ha agito per creare pressione psicologica. Se ha fatto qualcosa, è stato approfittare della situazione in cui si è trovato». Dopo le vicende legali del padre, «è fuori discussione che l'imputato è stato abbandonato a se stesso e non sia stato aiutato a evitare quanto accaduto». Di «campanelli d'allarme», ha fatto notare il legale, «che avrebbero dovuto portare a proteggere la figlia ce ne sono stati, a partire dall'inchiesta penale del 2008». L'avvocato ha evidenziato la «collaborazione fattiva e importante. Tentennamenti, ritrattazioni e dichiarazioni a tratti confuse ci sono state, ma si tratta anche di atti indicibili ai danni di sua figlia e non è evidente parlare di queste cose».

Le scuse e le lettere: ‘Io mi fidavo’

L'imputato ha come da prassi avuto l'ultima parola prima della camera di consiglio. «Ho sempre avuto difficoltà a spiegare le mie emozioni. Avrei voluto dire tante cose ma ne dico una sola: chiedo scusa a mia figlia», sono state le sue parole tra le lacrime. L'avvocato Stefano Pizzola ha consegnato alla patrocinatrice della vittima, l'avvocato Maria Galliani, una lettera scritta dall'imputato alla figlia. Nel suo intervento, la legale ha citato una missiva che la giovane ha scritto al padre qualche anno fa. “Mi hai rovinato la vita, come se non fosse già complicata. Io mi fidavo”. La Corte ha riconosciuto alla giovane un'indennità di torto morale di 10mila franchi. «Il comportamento dell'imputato le ha creato danni anche futuri. La terapia che sta seguendo ha una prognosi riservata».

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