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Lugano: cantiere Campus Est, Unia denuncia irregolarità

Secondo il sindacato – che ha segnalato il caso all'Ufficio di vigilanza competente – sul cantiere è stata violata la Legge sulle commesse pubbliche

Il cantiere del campus Est di Usi e Supsi a Viganello, due anni fa (Ti-Press)
1 aprile 2021
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Violazione della Legge sulle commesse pubbliche, dumping salariale, concorrenza sleale. Accuse pesanti per uno dei più grossi cantieri degli ultimi anni in Ticino: il Campus Est di Supsi e Usi inaugurato settimana scorsa a Viganello. Un progetto di grande interesse pubblico e di forte valenza strategica – che ha giustificato la presenza anche del presidente della Confederazione Guy Parmelin –, costato oltre 126 milioni di franchi. Un progetto che nasconderebbe però anche un lato oscuro: il cantiere, nelle sue fasi iniziali, sarebbe stato teatro di gravi irregolarità. A muovere le accuse è il sindacato Unia, che ha seguito una ventina di operai, e che ha indicato in 680'000 franchi circa il buco creato da una delle società che si sono susseguite sul cantiere. Sul caso è stata inoltre fatta anche una segnalazione all'Ufficio di vigilanza sulle commesse pubbliche (Uvcp) del Dipartimento del territorio (Dt).

Subappaltata la posa dell’acciaio d’armatura

Ma procediamo per gradi. Quasi esattamente quattro anni fa, era il 7 marzo 2017, veniva pubblicato il bando di concorso per le opere di impresario costruttore per il nuovo campus universitario. Ad aggiudicarsi l’appalto è la Garzoni Sa, sbaragliando la dozzina di concorrenti. A ottobre dello stesso anno viene posata la prima pietra e si entra nel vivo dei lavori. Monitorando l’attività sul cantiere, il sindacato viene a conoscenza dell’esistenza di un appaltatore di primo grado per la posa d’acciaio d’armatura: «la DIE Akkordunternehmung Schweiz Ag, società lucernese con succursale a Lugano», spiega Matteo Poretti. Nulla di illegale sin qui: sia la Legge sulle commesse pubbliche (LcPubb), sia di conseguenza il bando, lo permettono. Un paio di elementi insospettiscono tuttavia Unia. «Non conoscevamo i ferraioli presenti sul cantiere – ricorda il sindacalista –. Abbiamo così scoperto che si trattava di operai provenienti dalla Svizzera tedesca, e questo sebbene in Ticino vi siano diverse ditte del settore, e che molti di loro non avevano alcuna esperienza nella posa del ferro».

Segnalato il subappalto del subappalto

Quanto basta per far suonare il campanello d’allarme. Il sindacato si interessa al cantiere, scoprendo velocemente che non si trattava di lavoratori della ditta summenzionata, ma di una terza: la Pleschina Armierungen GmbH di Thun. «Questo, nonostante i documenti sui dipendenti che avrebbero dovuto lavorare al cantiere necessari per aggiudicarsi il subappalto siano stati presentati dalla DIE Akkordunternehmung – evidenzia il sindacalista –, ma si tratta di persone che non si sono mai presentate a Lugano. In realtà, abbiamo appurato che tutti gli operai presenti erano stati assunti dalla Pleschina». Non solo: «Per alcuni mesi hanno lavorato anche i ferraioli di una quarta ditta (con sede nel canton Zurigo, ndr), che ha abbandonato il cantiere perché non pagata dalla Pleschina». Si parla di circa 200-300'000 franchi per lavori eseguiti a Viganello e in altri cantieri ticinesi. E qui i nodi iniziano ad arrivare al pettine.

Stipendi, oneri sociali e imposte non pagati. E arriva la multa

«Abbiamo riscontrato un’infrazione sia della LcPubb sia del bando: sul cantiere era in atto un subappalto del subappalto» sostiene Poretti. Ma non si tratta dell’unico problema emerso nei lavori del campus. «I ferraioli della Pleschina hanno affermato di aver lavorato su chiamata e questo nonostante i contratti firmati parlassero di un rapporto di lavoro al 100% a tempo indeterminato. Si tratta di una pratica vietata dal Contratto nazionale mantello dell’edilizia e dall'articolo 15 del Contratto collettivo di lavoro vigente in Ticino». Inoltre, fatto forse ancor più grave, verso la fine dei lavori di posa la società ha smesso di pagare salari e oneri sociali, causando in tal modo sia un costo sociale privato per numerose famiglie residenti in Svizzera – la maggioranza degli operai coinvolti –, sia un costo per la collettività. Fatti segnalati da Unia alla Commissione paritetica cantonale dell’edilizia, che dopo i dovuti accertamenti nell'autunno 2018 multa per 100'000 franchi la Pleschina per differenze fra salario netto in busta paga e soldi effettivamente percepiti dai dipendenti, mancato pagamento degli assegni famigliari, delle trasferte e delle indennità di convenienza.

Nel 2018 il fallimento della fornitrice

Il buco lasciato a carico della collettività tuttavia è ben più profondo dei 100'000 franchi della multa. Secondo la graduatoria di fallimento stilata dall’Ufficio di fallimento di Lugano, circa 393'000 franchi di salari, vacanze e tredicesime non pagati sarebbero stati compensati dalla Cassa cantonale assicurazione disoccupazione (Ccad) per il periodo luglio-novembre 2018; 29'000 franchi di contributi dovuti per la Legge federale sulla previdenza professionale e 16'000 per prepensionamento anticipato; 33'000 sono mancati contributi all’assicurazione contro la disoccupazione e 52'000 per l’Avs, mentre 9'000 a favore della Suva. Infine 77'000 i franchi non pagati di Imposta sul valore aggiunta e 67'000 le spettanze salariali non coperte dal fondo di insolvenza della Ccad: «Soldi che gli operai non rivedranno mai più», precisa Poretti. Totale: oltre 683'000 franchi. E perché si parla di insolvenza? Perché la società bernese è fallita nel novembre del 2018, lasciando appunto sul tappeto una serie di debiti.

L’intervento del consorzio Usi/Supsi

Una volta scoperchiata la situazione – quindi subito a inizio cantiere, torniamo al settembre 2017 –, Unia contatta il committente del cantiere: il consorzio fra Usi e Supsi. Stando al sindacato, il consorzio è intervenuto sospendendo i lavori degli operai della Pleschina e richiedendone contratti di lavoro e documentazione: la verifica dell’idoneità dei subappaltatori compete infatti al committente. Ma, riferisce sempre Unia, nel giro di una decina di giorni i lavori riprendono, perché la situazione sarebbe stata risanata: subappaltatore della posa non sarebbe più la DIE Akkordunternehmung ma la Pleschina. Oltretutto, nello stesso lasso di tempo la maggioranza delle azioni della seconda vengono comprate dalla prima. «Due operazioni di maquillage – secondo il sindacalista –, restano comunque due soggetti giuridici distinti e gli operai ci hanno inequivocabilmente confermato che il loro riferimento in cantiere è sempre rimasta la ditta lucernese e anche la Garzoni stessa continuerà a relazionarsi con la DIE Akkordunternehmung, sebbene la subappaltatrice fosse diventata formalmente la Pleschina». A comprovarlo, secondo Unia, la richiesta formulata dalla Garzoni alla DIE Akkordunternehmung – e non alla Pleschina – affinché quest’ultima rinunciasse agli ultimi pagamenti per i lavori eseguiti, «a parziale e limitata copertura dei salari inevasi».

Corsa al ribasso sul prezzo dell'acciaio

Inoltre, e da qui le accuse di concorrenza sleale e dumping salariale, fra le tre società vi sarebbe stata una sorta di corsa al ribasso nell’offerta finanziaria per la posa dell’acciaio d’armatura. «L’offerta dei prezzi di posa è anonimizzata, ma i quantitativi e le tempistiche corrispondono a quelli del bando di concorso. Nello specifico, la Garzoni avrebbe pagato per la posa del ferro 30 centesimi al chilo alla DIE Akkordunternehmung, mentre quest’ultima ne avrebbe pagati invece 27 alla Pleschina – precisa il sindacalista –. Oggi il prezzo minimo della posa per realizzare anche un profitto risicato è di 45 centesimi al chilo, 42 in cantieri particolari. I prezzi praticati sul cantiere in questione erano insostenibili. In via ufficiosa due ditte ticinesi della posa ci hanno detto di aver fatto offerte di 39 e 41 centesimi, compensando la perdita con la fornitura dell’acciaio». Tuttavia, più si scende di prezzo e più è difficile realizzare guadagni per le società fornitrici, «che prima o poi si trovano costrette quindi a infrangere i disposti contrattuali e di legge fino ad arrivare al fallimento». Proprio come accaduto a Viganello, che secondo Unia non sarebbe ‘solo’ un presunto caso di mala-edilizia in un settore pubblico, ma anche lo specchio di un malandazzo nell’intero settore.

Unia: ‘Chiediamo che il Consiglio di Stato intervenga’

L’intera vicenda, come detto, è stata segnalata da Unia all’Uvcp del Dt. «Sono passati ormai due anni e mezzo, chiediamo al Consiglio di Stato (Cds) quale autorità di vigilanza superiore che l’inchiesta sia accelerata – ci dice Poretti – e che una volta confermata l’infrazione della LcPubb da noi segnalata siano applicate le sanzioni più severe, in particolare l’esclusione dalla partecipazione delle commesse pubbliche e la comminazione della multa massima contemplata dalla legge. Infine, il Cds valuti anche se esistono gli estremi per una denuncia penale. La necessità di una reazione dura si giustifica soprattutto perché l’accaduto si è verificato in un cantiere pubblico, sottoposto a dei vincoli legali più ferrei, soprattutto in materia di subappalti, rispetto a quelli privati, dove la situazione sta peggiorando velocemente. Abbiamo bisogno di segnali forti, inequivocabili, poiché a breve partirà il cantiere pubblico più importante degli ultimi anni, il Pse, e vogliamo evitare il ripetersi di queste derive».

Garzoni Sa: ‘Abbiamo operato nel pieno rispetto delle leggi’

Per una replica a queste gravi accuse, abbiamo contattato sia la Garzoni Sa sia il comitato di pilotaggio del progetto Campus Est. Mentre quest'ultimo – cioè il committente, il consorzio fra Usi e Supsi – si è limitato a darci conferma “dell’indagine in corso da parte dell’Uvcp”, ma “nel rispetto delle procedure, e trattandosi per l’appunto di un’indagine in corso, il suddetto comitato si astiene da qualsiasi commento in merito”, qualcosa in più – dopo una lunga chiamata – ce l’ha detta Alessandro Gibelli, direttore della Garzoni Sa: «Noi abbiamo operato nel pieno rispetto delle leggi. Siamo completamente estranei e non abbiamo nulla a che vedere con il fallimento della Pleschina». Su chiarimenti puntuali alle accuse di Unia, il responsabile della ditta ha preferito invece non replicare prima della pubblicazione dell’articolo. Abbiamo tentato di contattare anche il responsabile per la Akkordunternehmung sul cantiere, senza riuscirvi.

L'Ufficio di vigilanza apre una trentina di incarti all'anno

Appellandosi al segreto d’ufficio, nemmeno l’Uvcp ci ha rilasciato dichiarazioni sulla vicenda. Al capoufficio Mirko Polli abbiamo tuttavia chiesto cosa rischia chi infrange la LcPubb. «Dipende se parliamo di violazioni in ambito amministrativo o penale. Nel primo caso, i committenti che commettono una grave violazione rischiano una multa al massimo di 20'000 franchi e la riduzione del sussidio qualora ne siano beneficiari, mentre gli offerenti una sanzione pecuniaria fino al 20% del valore della commessa (la prestazione oggetto della violazione, ndr) e/o l’esclusione da future commesse per un periodo massimo di cinque anni quale sanzione deterrente. Nel secondo scenario invece, chiunque (sia i committenti sia gli offerenti, ndr) intenzionalmente commette una sanzione elencata dalla legge rischiano una multa sino a 50'000 franchi». Segnalazioni, inchieste e sanzioni, inoltre, purtroppo non mancano: «Negli ultimi anni sono stati aperti fra i 25 e i 35 incarti in media, con il coinvolgimento fra i 20 e i 30 committenti e circa 30 offerenti all’anno. Un terzo di questi casi comporta poi sanzioni da parte del Consiglio di Stato».

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