Svizzera

Il toro per le corna

La sua iniziativa è considerata un 'miracolo della democrazia diretta': ritratto di Armin Capaul e della sua battaglia per ridare ‘dignità alle vacche e alle capre’

Il 67enne è nato nei Grigioni e vive nel Giura bernese (Keystone)
13 novembre 2018
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Nessun divieto né prescrizione, bensì un aiuto finanziario ai contadini che decidono di non decornare mucche e capre. È quanto prevede l’iniziativa sulla quale si vota tra una decina di giorni. Cronaca di una lunga battaglia per ridare ‘dignità alle vacche e alle capre’, quella di un ostinato contadino che  per molti è diventato l’archetipo del montanaro, colui che lotta per il bene.

 

Non so se avete presente la storia di Ursli, il bambino dell’Engadina Alta che incurante dei pericoli andò a prendersi nella baita in montagna un campanaccio gigantesco, una “plumpa”, questo è il nome che gli si dà da quelle parti, per camminare in testa al corteo del Chalandamarz. Beh, non so se ve la ricordate quella storia. Io sì, perché l’avrò letta ai miei figli centinaia di volte. E allora, quando ho incontrato Armin Capaul, che di anni ne fa 67, la memoria è andata a ripescare questo personaggio engadinese. Un po’ perché sia Ursli sia Armin portano un berretto con nappa in testa, un po’ perché sono testardi e cocciuti come muli.

Casa (fattoria) Capaul

Incontro Armin Capaul una sera di fine ottobre nella sua fattoria; 930 metri sul livello del mare, a una decina di chilometri da Moutier, nel Giura bernese. Se non hai la macchina, ti devi fare una scarpinata di 30 minuti su una strada sterrata per raggiungere le quattro case e stalle abbarbicate a un pendio. Ci vive con la moglie Claudia e il figlio Donat, a cui ha ceduto la piccola azienda agricola: 17 ettari di prati, 10 mucche con le corna di pura razza bruna, 2 cani, 6 gatti, 7 capre, 8 galline, 11 vitelli, 20 pecore e 42 nidi di rondine.
Mi fa sedere sul terrazzo che guarda sulla valle di Valengiron. A Nord, una parete rocciosa, a Est e Ovest una serie di colline, nel mezzo una radura dove all’imbrunire si sentono i campanacci delle sue mucche al pascolo.
Armin Capaul si arrotola una sigaretta, trinciato forte, se l’accende e tira una lunga boccata. Il fumo si perde tra i peli grigi della sua folta barba. Con una scodella di caffè e latte davanti, mi dice, e lo fa dandomi subito del tu, che è stanco e stufo di tutto questo bailamme mediatico. Conta le settimane fino al 25 novembre, fino al voto sulla sua iniziativa ‘Per vacche con le corna’. Innumerevoli giornalisti da ogni dove si sono avventurati fin quassù per parlare del suo ‘miracolo della democrazia diretta’. Manca ormai poco e lui crede di farcela, di dare una lezione, una sberla a quelli giù a Berna: all’Ufficio dell’agricoltura, al parlamento e al Consiglio federale che non l’hanno preso sul serio, pigliandosi gioco di lui.

Ignorato dagli ‘studiati’

La sua lotta per le corna inizia otto anni fa, nel 2010, con una lettera inviata all’Ufficio federale dell’agricoltura. La sua proposta: sostenere i contadini che non tagliano le corna alle mucche con un franco al giorno; venti centesimi per quelli che non decornano le capre. Ma loro, quelli studiati, come li chiama Armin Capaul, non hanno capito nulla, anzi non gli hanno nemmeno risposto. E allora è andato avanti. Nell’autunno 2012 ha presentato una mozione parlamentare alle due Camere federali con l’aiuto del senatore socialista Roberto Zanetti e del consigliere nazionale dei Verdi Louis Schelbert. La mozione viene però respinta dalle due Camere.
Armin Capaul non si lascia scoraggiare. «Non è per me stesso che sto lottando, bensì per le mucche a cui voglio solo dare una voce», racconta. E allora va avanti, come una sorta di Don Chisciotte, ma non in groppa a uno scudiero, bensì a una mucca con le corna. Con la lancia in resta si batte per ridare una «dignità alle vacche e alle capre». Undici mesi più tardi, il 6 dicembre 2013, il giorno di San Nicolao, Armin Capaul e un manipolo di seguaci attraversano le vie della città di Berna con tre capre e una mucca: sono diretti alla Cancelleria federale dove depositano una petizione munita di 18mila firme. Chiede al ministro dell’agricoltura Johann Schneider-Ammann di introdurre per ordinanza il ‘franco per le corna’. Armin Capaul incassa un altro secco ‘no’.

Stringere le corna per ricaricarsi

Ma si sbaglia chi crede di aver finalmente piegato questo ostinato contadino di montagna. Lui, la forza, la prende proprio dalle corna. Quando sta grattando il fondo del barile, si attacca per alcuni minuti a loro. «Sono come una sorta di spina elettrica. Mi basta stringerle per alcuni minuti per ricaricare le batterie», dice serio.
Nato nella Surselva, nel cantone dei Grigioni, dove vive i primi sei anni con i nonni, cresce poi nel Kreis 5, a Zurigo, dove si sono trasferiti i genitori in cerca di lavoro. Vive le rivolte giovanili che investono la città sulla Limmat nel Sessantotto, respirando lo spirito ribelle ed hippy di quegli anni. Uno spirito che le sue vacche conoscono bene. Quando è in stalla, Armin Capaul accende il mangianastri e le munge con in sottofondo le note delle canzoni di Jimi Hendrix, Janis Joplin, Santana. Quelle che lo ritraggono in stalla mentre balla sono immagini che lui concede di sé non in maniera disinteressata. Sa che possono aiutare la sua causa. Per qualcuno, il contadino ribelle di Valengiron è già un mito. È l’archetipo del montanaro, colui che lotta per il bene. E tra il bene e il male, questa volta, la differenza è netta. Da una parte le mucche con le corna, dall’altra quelle senza.

Non è stata una passeggiata

Dopo l’ennesima sconfitta, il 67enne si trova a un bivio. Deve giocare l’ultima carta per il bene, per le vacche con le corna? Lanciare un’iniziativa popolare? Tutti gli dicono che è pazzo, che deve gettare la spugna. Invece lui continua; non per lui, ma per le mucche. Sono loro a chiedergli di continuare, di non mollare. E così va avanti. Lancia l’iniziativa popolare denominata ‘Per la dignità degli animali da reddito agricoli’. È il 28 settembre 2014. 18 mesi dopo, il 23 marzo 2016 deposita la sua iniziativa alla Cancelleria federale, corredata di 119’626 firme valide.
Scritta così, sembra una passeggiata. Ma non è andata proprio in questo modo. Dopo un anno ha riunito soltanto la metà delle sottoscrizioni necessarie, raccolte tra l’altro nelle scuole Rudolf Steiner, durante le feste di lotta svizzera, presso il Museo svizzero all’aperto Ballenberg, alle stazioni ferroviarie, davanti ai centri commerciali. È un’impresa ciclopica, che rischia di fallire. In dirittura d’arrivo, Armin Capaul gioca il tutto per tutto. All’insaputa della moglie alleggerisce di 55mila franchi il conto risparmio di famiglia per finanziare la raccolta firme da parte di una ditta di professionisti, che ne riuniranno più di 30mila.
No, non è stata una passeggiata. Anche se è stanco, in fondo Armin Capaul sembra apprezzare tutto questo interesse mediatico. «E solo per due corna: è incredibile», ci dice sorridendo. Certo, farebbe a meno di investire inizialmente buona parte dei suoi risparmi, di rischiare di mandare all’aria il suo matrimonio. E se dovesse di nuovo fallire, gli chiediamo. Lui rigira la sigaretta ormai spenta tra le dita segnate dal lavoro, ascolta lo scampanio proveniente dai prati e poi risponde, guardandoci con gli occhi color del cielo, che non riesce a immaginarsi un fallimento alle urne, anzi spera in una vittoria netta, con l’80 per cento di sì. Io lo guardo un po’ perplesso. Ma se dovesse davvero vincere l’ultima decisiva battaglia? Beh, allora Armin Capaul dovrà armarsi di pazienza. L’interesse mediatico si riaccenderà di nuovo. Il ribelle contadino di montagna, considerato da tutti un po’ pazzo, in una domenica di fine novembre diventerebbe una sorta di eroe nazionale, un moderno Winkelried per le mucche con le corna.

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