Sportellate

Murat Yakin e i dolori del giovane Werner

Il selezionatore rossocrociato minge di nuovo fuori dal vaso, mentre il regista Herzog racconta del suo rapporto con lo sport

17 ottobre 2023
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Nel corso del weekend ho pensato dapprima che avrei dedicato l’odierna rubrica al rugby, sport affascinante di cui si stanno disputando i Mondiali. Di questa disciplina apprezzo l’atmosfera dentro e fuori dal campo, la correttezza e il coraggio di chi la pratica e ovviamente la sua tradizione ormai plurisecolare. Fa niente se non sempre distinguo tattiche e chiamate arbitrali: mi godo lo spettacolo e lascio che a scriverne sia chi ne capisce.

E così, in seconda battuta, ho creduto che sarebbe stato meglio parlare di calcio. Spunti del resto non ne mancavano, a cominciare dalle scommesse clandestine piazzate da alcuni giocatori italiani: c’era però il rischio che scadessi nel turpiloquio. E qualche parolaccia, confesso, mi sarebbe scappata pure se mi fossi concentrato sull’estemporanea gestione tecnica del Ct rossocrociato Murat Yakin. Il quale, invece di sfruttare per risolvere qualche magagna della sua squadra il maggior tempo a disposizione piovuto dal cielo insieme al posticipo della gara in Israele, ha pensato bene di concedere ai calciatori e a se stesso un po’ di vacanza.

Eppure, cose da sistemare – dentro e fuori dallo spogliatoio – ce ne sarebbero state a iosa, viste le polemiche e le controprestazioni degli ultimi tempi. Per l’ennesima volta Yakin l’ha fatta fuori dal vaso, e puntualmente domenica sera coi suoi ragazzi ha collezionato contro la Bielorussia una nuova figura di guano.

E così, alla fine ho deciso di occuparmi d’altro, di qualcosa che in teoria nemmeno parrebbe avere attinenza con la sezione del giornale consacrata all’agonismo. Mi riferisco a ‘Ognuno per sé e Dio contro tutti’ (Feltrinelli), libro di Werner Herzog che tutti gli estimatori del regista tedesco dovrebbero procurarsi. Nelle pagine, insieme a gustosi aneddoti sulla sua vita, la sua opera, gli incontri fondamentali per la sua carriera e i prepotenti scenari naturali in cui ha spesso scelto di girare i film, si trovano infatti inaspettati ma frequenti riferimenti al mondo dello sport.

Nato durante la guerra, cresciuto senza padre e spesso soffrendo la fame: i dolori del giovane Werner erano leniti soltanto dal calcio, che giocava per sua stessa ammissione senza troppa classe ma con estremo coinvolgimento. Tanto da rincasare spesso ammaccatissimo: impressionante è l’elenco delle fratture subite, una delle quali – gravissima e guarita soltanto dopo un anno – la rimediò a Cannes da adulto durante un match fra registi e attori a margine del celebre Festival.

Si trattava, probabilmente, della medesima voglia di scoprire i confini del fattibile che sempre lo ha guidato nel suo lavoro, e che una volta lo indusse, mentre sciava con amici, a lanciarsi con attrezzatura inadeguata sugli stessi pendii su cui alcuni professionisti cercavano di stabilire nuovi record nel chilometro lanciato. Sopravvissuto per miracolo al primo tentativo, ne fece un secondo partendo da un po’ più in alto, sempre per il vecchio demone della ricerca dei limiti: si lacerò il volto, perse conoscenza e passò altri due anni con una gamba in trazione.

Niente, comunque, in confronto a quando rischiò di morire in alta quota. La prima volta – accompagnando Reinhold Messner e Hans Kammerlander nel loro tentativo di scalare nella stessa spedizione entrambi i Gasherbrum – precipitò in un crepaccio. La seconda invece, sotto il culmine ghiacciato del Cerro Torre con Stefan Glowacz, fu sorpreso da una bufera che lo costrinse in un buco nella neve per 60 ore: ne uscì ovviamente mezzo congelato.

Curioso è invece un episodio dei primi anni 80, quando Herzog cercava l’attore a cui affidare la parte di ‘Fitzcarraldo’, il suo capolavoro girato in Amazzonia, in sostituzione di Jason Robards, che aveva dovuto abbandonare il set per una malattia a metà delle riprese. Prima di scegliere Klaus Kinski, chiamò Jack Nicholson, il quale però declinò l’offerta perché in quel periodo – disse – non abbandonava mai la California: per nulla al mondo avrebbe infatti rinunciato ad assistere a una partita dei Los Angeles Lakers di Magic Johnson e dello showtime.

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