Calcio

Né bello né dannato. Ingrato e fortunato

Fenomeno da rotocalco, o da gossip, ma sempre meno calciatore che fa la differenza

9 giugno 2020
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L’accostamento ai belli e dannati del pallone, pane per la letteratura sportiva, quelli belli e dannati per davvero, a prescindere dall’ampiezza e della ricchezza della bacheca, francamente non regge. Possono starci, per Mario Balotelli, l’altare e la polvere, per ripercorrere i picchi di una carriera tormentata e i continui tonfi, ma non la celebrazione di un valido calciatore fatto passare come un talento fuori dal comune che si è buttato via, vittima di un carattere un po’ particolare, altrimenti chissà che fenomeno sarebbe diventato. Genio e sregolatezza? No, perché manca il genio. Fenomeno da rotocalco, o da gossip, ma sempre meno calciatore che fa la differenza. Men che meno campione quale andava profilandosi a inizio carriera, capace di lampi di classe. Offeso dai vergognosi uh-uh-uh a sfondo razzista, contro i quali – gli va dato atto – si è sempre scagliato con la fermezza necessaria, in un contesto – quello della lotta a ignoranza e inciviltà nel mondo del calcio – in cui invece prevale una linea fin troppo morbida, financo complice. Quella durezza, legittima e benvenuta, non l’ha saputa tradurre in campo, nel suo lavoro, fermandosi in superficie, vivacchiando di rendita, accontentandosi.

Non è uno di quei talenti che hanno fatto la storia del calcio perché hanno sacrificato sull’altare dei propri limiti o vizi un percorso che altrimenti li avrebbe consegnati alla leggenda. Balotelli non è né Best né Maradona, per intenderci. È fortunato. Ha campato e continua a campare di quel calcio dal quale ha tratto il massimo, guardandosene bene dal ripagarlo dando tutto sé stesso. Colpevole di una condotta mai del tutto professionale, di un’etica del lavoro discutibile che gli costerà il posto anche al Brescia, la sua città, l’ennesima opportunità che – in barba a precedenti a lui sfavorevoli – gli era stata comunque offerta. L’ha gettata al vento con una superficialità che fa montare la rabbia. Altri colleghi, con una atteggiamento del genere avrebbero pagato dazio molto prima. Si sarebbero giocati la carriera senza appello, proprio perché il calcio ai massimi livelli è una realtà in cui vale il principio di “avanti un altro”, giacché nella massa di quelli bravi ma non eccezionali ce ne sarà sempre un altro, più o meno forte uguale.

Se proprio vogliamo parlare di straordinarietà, con lui, facciamolo per le tante possibilità che ha avuto. Chapeau a Mino Raiola, il suo procuratore, tra i più influenti al mondo. C’è senza dubbio il suo zampino, in ogni lauto contratto sottoposto al suo assistito. Il resto lo ha fatto la fama di un calciatore sopravvalutato, fortunato e immaturo. Capace di sedurre, di illuderti che oltre la cortina di fumo di qualche fuoco d’artificio si celi un fuoriclasse vero. Aiutato, in questa sorta di grande finzione, dall’eco mediatica di ogni suo gol e di ogni sua “balotellata” che fa notizia più di una tripletta.

Quanto alla capacità di sprecare e buttarsi via, beh quella è distintiva: è sua. Un limite, sì, ma ci convive benissimo. Campione nel buttare via ogni opportunità, l’ennesimo assist. Per un attaccante che si vorrebbe fortissimo, non tramutare mai in gol un passaggio invitante è un guaio serio, una condanna. O no?

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