Calcio

Piazza del mercato vuota anche dopo la crisi

Basso profilo in vista per la campagna acquisti e cessioni. Ma sarà soprattutto il calcio 'di tutti' a pagare il prezzo più alto

21 aprile 2020
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ll Coronavirus avrà pesanti ripercussioni sull'economia mondiale e di certo non risparmierà il calcio, uno sport che ai massimi livelli è giunto al punto di non ritorno. O di un brusco ritorno sulla terra, dopo aver volato alto per tanti anni, con spese folli, stipendi assurdi e un giro d'affari imbarazzante, per l'ampiezza che negli anni ha assunto. Pesanti saranno anche le ricadute sul mercato, i cui prossimi movimenti si preannunciano nulli, irrilevanti, se paragonati alla marea di quattrini che nelle scorse sessioni ha inondato la spiaggia delle trattative, sempre piuttosto affollata, da gente con portafoglio gonfio.

Ciò favorirà un certo riequilibrio all'interno di un meccanismo di compra-vendita che si era fatto perverso e fuori dalla realtà. Per intenderci, i 222 milioni che il Psg a suo tempo sborsò per assicurarsi Neymar segnano l’apice della follia che fu e che non ha più ragion d'essere, almeno per un po'.

Karl-Heinz Rummenigge, uno che nel calcio qualcosa ha combinato e che regge le sorti di un club di prima fascia come il Bayern Monaco, ha parlato di 'cifre malate', riferendosi al mercato dei trasferimenti, e ha trovato un pregio, nell'emergenza sanitaria che sta piegando il mondo: quello di aver interrotto la folle corsa al rialzo dei prezzi, all'aumento degli affari, alla velocità degli stessi. Corsa della quale, beninteso, i club sono complici, in quanto primattori.

I sigilli al calcio causeranno perdite di circa quattro miliardi di franchi ai cinque principali campionati europei (serie A, Premier, Bundelsiga, Liga e Ligue 1). Un crollo dovuto soprattutto al mancato incasso dei diritti televisivi. Ne nasce l'impossibilità di rimediare i capitali per lanciarsi con la disinvoltura di sempre sul mercato. Quella piazza rimarrà quindi desolatamente vuota anche dopo che ci saremo lasciati alle spalle il peggio.

C'è poi una questione di ordine morale: mal si vede come i club possano richiedere aiuti allo stato per superare il momentaccio, salvo poi spendere sul mercato soldi che hanno detto di non avere. Anche con l’onestà vanno fatti due conti. Ne consegue che i salari dovranno essere rivisti al ribasso. Con essi, anche le commissioni mostruose dovute a procuratori e agenzie di intermediazione varie, dalla cui portata spesso dipende la futura destinazione di un giocatore.

Siccome, però, ai massimi livelli ci sono i margini per sopportare un taglio anche drastico degli emolumenti a tutto tondo, il terremoto maggiore lo si avvertirà sotto, nei campionati e nelle leghe non illuminate dalla luce dei riflettori del calcio mondialmente teletrasmesso e telechiacchierato. Lì sì che le scosse saranno avvertite e le conseguenze si riveleranno pesanti, o addirittura letali. La riduzione di salari modesti o, peggio, il licenziamento di calciatori professionisti e di dipendenti a vario titolo da parte di società con l'acqua alla gola, sono lo spettro che aleggia sul mondo del pallone, inteso come sport per tutti. Chi investe sui giovani per cercare di piazzarli e finanziare la propria squadra deve rivedere la strategia aziendale. Chi perderà il lavoro inciderà sul tasso di disoccupazione. Chi ha i soldi, per un po' ne spenderà meno, in attesa di capire come guadagnarne altri. Il meccanismo si è solo inceppato. Passata la buriana si rimetterà in moto: l'avidità batte il buon senso, da sempre.

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