L'analisi

Trump tra l’onda blu e quella rosa

È certamente sopra le righe Barack Obama nell’affermare che “queste sono le elezioni più importanti della mia vita”

5 novembre 2018
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È certamente sopra le righe Barack Obama nell’affermare che “queste sono le elezioni più importanti della mia vita”. Sta di fatto che le midterm assumono una rilevanza globale: la tornata elettorale 2018 sarà un vero e proprio referendum su un uomo controverso, un leader che ha rivoltato come un guanto il modo di fare politica, dalla comunicazione fino a una concezione singolare della separazione dei poteri (che in un crescendo di onnipotenza lo aveva condotto a rivendicare il diritto all’autoperdono). Adulato o odiato: non c’è spazio interstiziale tra questi due estremi. Il “tweeter in chief”, il presidente che annuncia le sanzioni all’Iran con l’iconografia di “Game of Thrones”, che si “innamora” improvvisamente del dittatore nord-coreano snobbando gli alleati tradizionali, è il vero protagonista di queste midterm. Lui, l’antisistema che offre regali miliardari all’alta finanza, ma che ha anche captato la pancia dei perdenti della globalizzazione e nel quale si identifica parte dell’elettorato popolare, soprattutto quello bianco e maschile dell’America profonda, in crisi di identità sociale e culturale. Eletto, grazie ai complessi meccanismi elettorali americani, dalla minoranza degli elettori, Donald Trump ha oggi dalla sua un’economia dinamica con il Pil al 3,7%, una disoccupazione ai livelli più bassi dal 1969, mercati finanziari che conoscono la crescita più lunga della storia. Un indubbio successo anche se molti esperti sottolineano che in realtà il trend è in atto, senza interruzione, dal 2009, da quando Obama con il suo piano di stimoli economici pose fine alla maggior crisi dal lontano 1929. Ma l’economia non basta per vincere, Trump ne è ben consapevole: ecco allora che alimenta la paura quando paventa l’invasione da parte di orde di immigrati, o quando fomenta il complottismo di George Soros e dei poteri forti, categoria a cui curiosamente riesce a sottrarsi. Ma Trump è anche altro: sa abilmente nutrire la speranza di un’America che vuole porre fine al suo declino industriale, per ritornare ad essere “first”, la prima della classe. È probabile che questo «referendum» non darà un esito netto: la Camera dei rappresentanti dovrebbe passare nelle mani dei democratici, al Senato quasi certamente regnerà lo statu quo, così come nell’equilibrio dei governatori dei 50 Stati. Nessuno tsunami e neanche una vera e propria onda blu (dal colore del partito democratico) auspicata dai «libéral», ma molto probabilmente una significativa “pink wave” con l’elettorato femminile in gran parte ostile al presidente e motivato dalla presenza, nelle file del partito democratico, di un elevato numero di donne candidate. Nomi come quelli della giovanissima Alexandria Ocasio-Cortez (New York) o di Ayanna Pressley (Massachusetts) sono assurti velocemente alla notorietà nazionale, così come quello di Stacey Abrams che in una Georgia ancora segregata lancia l’impossibile sfida: diventare la prima donna governatrice afroamericana del Paese. Sarà dunque verosimilmente il voto femminile a stabilire quelli che il ‘New York Times’ ha definito, non senza spirito partigiano, i “limiti della decenza e della vergogna”. La politica, così come l’economia, si iscrive ormai da tempo in un’ottica globale: fluisce in vasi comunicanti e l’esito delle midterm travalicherà nella sua valenza i confini Usa. L’elettore americano sembra averne percepito l’importanza, considerando il record di partecipazione nel voto anticipato. Con la sua scheda nell’urna voterà, seppur indirettamente, anche un po’ per noi.

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