L'analisi

La democrazia liberale è a rischio

La forte ascesa del sovranismo, dell’estrema destra e di alcuni movimenti anti sistema è ormai una costante

Salvini (foto Keystone)
1 ottobre 2018
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Emana un certo sentore di olio di ricino quel “me ne frego dell’Europa” esclamato l’altro ieri da uno spavaldo Matteo Salvini. Così come non può non ricordare balconi e baionette quel “dobbiamo vincere la guerra perché guerra sarà” pronunciato dal ministro Paolo Savona e rivolto a quell’Europa di cui dovrebbe essere proprio lui l’interfaccia del governo di Roma. Tira aria pesante insomma, c’è chi paventa il ritorno di camicie scure, nelle varianti brune o nere… Timori si spera eccessivi. La condanna morale non può tuttavia occultare un fenomeno di fondo che non riguarda unicamente l’Italia. La forte ascesa del sovranismo, dell’estrema destra e di alcuni movimenti antisistema è ormai una costante: in Germania i partiti tradizionali ottengono meno della metà dei consensi. I leader mascelluti seducono sempre di più: il liberticida Putin esercita un certo fascino a sinistra come a destra, Donald Trump rompe con la tradizionale separazione dei poteri, attacca le sue stesse istituzioni, celebra l’idillio con il campione mondiale del totalitarismo, Kim Jong-un. Tra i progressisti c’è chi vede di buon occhio il modello cinese, un capitalismo dirigista radicalmente antidemocratico. Questo cocktail politico globale minaccia le fondamenta dello stato liberale sul quale si è costruita la nostra democrazia. “Il liberalismo ha creato la modernità, ma questa si rivolta ora contro di esso” sentenzia ‘The Economist’, che in una sua recente edizione pubblica un manifesto per rinnovare la società liberale. Iniziativa che ha il grande pregio di identificare nelle tracimazioni del liberalismo stesso l’origine della sua crisi. Cause endogene dunque. Nato come una corrente di emancipazione dall’oscurantismo e dai privilegi di casta, erede – come in buona parte il socialismo – dell’illuminismo, il liberalismo si è prefisso di promuovere le libertà individuali, economiche e di pensiero, i diritti dei cittadini, sulla base del principio dell’eguaglianza di opportunità. I successi della democrazia liberale sono indubbi, in gran parte inanellati grazie alle sue varianti progressiste e al welfare (le prime misure furono varate… dal cancelliere tedesco Bismark): aumento generale del benessere, riduzione della povertà, alfabetizzazione, libertà di parola. La democrazia liberale come unica alternativa ai totalitarismi, quello stalinista e quello nazifascista: ecco quanto ci ha insegnato il XX secolo. Il XXI secolo però ci sta anche dicendo qualcosa d’altro: nei suoi eccessi la visione del “meno Stato” e del dogma di una libertà senza argini può rivelarsi letale per la democrazia, spianando la strada ai populismi. Quando la proclamata meritocrazia viene di fatto azzerata dalla “riproduzione” delle élite (la maggioranza degli studenti delle grandi università americane appartiene oggi all’1% delle famiglie più ricche), quando la finanziarizzazione dell’economia crea baratri sociali planetari (uno studio del Credit Suisse rivela che il 10% della popolazione controlla ormai l’85% della ricchezza mondiale), quando si premia l’egoismo degli abbienti a scapito del bene comune, il liberalismo si vede privato della sua stessa natura. Che sia oggi il giornale della city londinese a propugnare una riforma profonda della democrazia liberale per garantire il benessere della popolazione non può che far riflettere sugli eccessi a cui ha portato il liberismo, variante perversa di una visione del mondo sulla quale abbiamo costruito il progresso umano e sociale. Variante che ha indubbiamente creato un humus favorevole all’estremismo populista.

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