di Sandro Guzzi-Heeb, storico
Ha fatto recentemente scalpore l’ultima prodezza del carismatico presidente dell’Fc Sion, Christian Constantin, così come le reazioni che essa ha provocato. Come noto, Constantin ha preso a schiaffi e a calci un esperto televisivo, Rolf Fringer, davanti agli obiettivi delle telecamere. L’interessante è che questo atto di vendetta personale non sembra avergli alienato le simpatie dei suoi ammiratori vallesani. In questo, l’atteggiamento di Constantin ricorda alcuni precedenti storici, così come altre figure carismatiche dei cantoni periferici, in particolare quella di Giuliano “Nano” Bignasca. Normalmente gli autori di simili palesi infrazioni, colti in fallo, si affrettano a scusarsi pubblicamente, cercando di arginare il danno mediatico. Non così il presidentissimo vallesano, il quale, ben lontano dal pentirsi e ancora di più dallo scusarsi, ha invece espresso una certa soddisfazione, ammettendo solo che la reazione era stata forse “troppo vallesana”. Constantin gioca visibilmente con un rapporto ambiguo fra una parte della popolazione del Vallese e la legalità emanante dallo stato centrale, nonché con le regole di correttezza politica relative. Se il suo comportamento ha indignato una parte dei sui concittadini, non sembra avergli fatto perdere ogni simpatia nel cantone. Constantin, si sa, non è del resto nuovo al menar le mani davanti alle telecamere, senza che ciò abbia incrinato la sua popolarità: nel 2016 il governo vallesano ha avuto il buon gusto di farsi ritrarre nella foto ufficiale sul terrazzo della villa del presidente del Club di calcio di Sion.
In questo, Constantin segue in parte le tracce del famoso falsario ottocentesco, Joseph-Samuel Farinet, il cui mito è ancora ben vivo nel Vallese di oggi; tanto che è immortalato in un percorso storico-turistico a Saillon, dopo esser stato celebrato in numerose opere storiche e letterarie. Non per niente, anche Farinet, inutilmente inseguito per anni dalle polizie di vari Paesi, è stato utilizzato come eroe e rappresentante di un “vieux pays”, di un Vallese tradizionale, supposto libero, in quanto ampiamente esente da fastidiosi interventi dello stato, da leggi complicate e regolamentazioni amministrative. Tale rapporto teso con la legalità “moderna”, ed emanante dai centri, è visibile nel Vallese e nelle zone alpine anche attraverso altri sintomi: l’opposizione strisciante alla politica federale di protezione del lupo, ad esempio, ma anche attraverso interpretazioni piuttosto libere delle normative sulla pianificazione del territorio.
Naturalmente Constantin non rappresenta l’unico grande provocatore sulla scena svizzera; anzi, la provocazione è diventata parte integrante della vita politica. Ma in pochi si sono spinti così palesemente al di là della legalità, senza troppo preoccuparsene e senza nascondersi. Uno degli esempi più illuminanti, nella storia recente, è stato quello del defunto presidentissimo della Lega dei Ticinesi, Giuliano Bignasca – non a caso un altro milionario. Persona molto discussa per la sua condotta personale, spregiudicata negli affari e più volte in conflitto con la giustizia, anche Bignasca ha saputo trarre vantaggio da tali sbavature, proponendosi come ribelle contro uno stato liberticida, contro una presunta élite inchiodata agli scranni del potere oltre che contro svariati altri nemici. Con il successo che tutti abbiamo potuto osservare. Credo che vicende del genere siano oggi possibili solo nei cantoni alpini o periferici, in cui storicamente la legittimazione dello stato e delle sue norme è debole, essendo stata in parte vissuta come un’imposizione esterna: sia il canton Ticino che il Vallese moderno sono, direttamente o indirettamente, figli della rivoluzione francese e di Napoleone, anche se lo ammettono molto malvolentieri. Cantoni in cui, comunque, gruppi influenti della popolazione da secoli intrattengono un rapporto ambiguo con lo stato e le leggi. Nei cantoni urbani, i provocatori e gli pseudo-ribelli non mancano, ma sfoggiano volentieri la cravatta e un’impeccabile immagine di rispettabilità borghese.
A Ginevra, Eric Stauffer, altro ribelle locale con vari precedenti giudiziari, ha avuto un certo successo col suo Mouvement citoyens genevois (Mcg), ma poi ha dovuto abbandonare il suo partito protestatario e sembra aver perso parecchi sostegni. Su un’altra scala, atteggiamenti differenti si sono visti in occasione di conflitti di alcuni uomini politici con la giustizia. In Ticino, Filippo Lombardi, beccato più volte al volante con tassi alcolici eccessivi, è stato rieletto senza problemi all’assemblea federale ed è ancora oggi sulla cresta dell’onda. Nel canton Berna, invece, Marc F. Suter, morto recentemente, per motivi simili ha dovuto dire addio alla sua carriera politica.
Da questo punto di vista, il comportamento di Constantin ricorda vagamente quello di eroi del passato che il grande storico Eric Hobsbawm ha definito come “ribelli primitivi”. Nel senso di fuorilegge che, pur senza assumere un’ideologia precisa, si sono fatti in qualche modo incarnazione di uno spirito di opposizione contro lo stato, contro i poteri economici o la modernità in generale. Un esempio relativamente recente è stato quello del mitico bandito Salvatore Giuliano nella Sicilia del secondo dopoguerra. Non siamo evidentemente ancora al livello del banditismo aperto. Tuttavia, l’azione di tali ribelli nostrani, e il loro relativo successo, evidenziano uno scollamento politico e culturale tra varie regioni o vari gruppi all’interno dello stato, che interpretano concezioni culturali opposte. Una scissione non ancora drammatica, ma che può inquietare, dopo aver visto cos’è successo negli Stati Uniti con l’elezione di un altro presunto “ribelle” come Donald Trump.