laR+ IL COMMENTO

Le elezioni consegnano una Spagna spaccata e in bilico

Timida vittoria del centrodestra, ma Vox arretra e la maggioranza per il Pp non sembra a portata di mano. La sinistra evita il peggio

In sintesi:
  • Non si conferma il trend delle forze della destra più oltranzista in atto in Germania, Francia o Svezia
  • Regge lo Psoe di Sánchez e gli alleati di Sumar conseguono un ottimo risultato, ma alla sinistra non basta per mantenersi al potere
  • Probabile lo scenario di nuove elezioni anticipate, come nel 2015 e nel 2019
I nostalgici di Franco esultano
(Keystone)
24 luglio 2023
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Nessuna ‘remontada’ per la sinistra e niente ‘maracanazo’ (vittoria dello sfavorito), però la maggioranza uscente regge e la Spagna è in bilico; l’alternanza è in forse perché il timone non potrà passare al solo Pp, il moderato Partido Popular: neanche un’alleanza con l’estrema destra di Vox gli consentirebbe la maggioranza assoluta in parlamento.

Le elezioni anticipate, indette dallo stesso premier Pedro Sánchez all’indomani del rovescio subito dalla sinistra alle Amministrative di maggio, consegnano una timida vittoria al centrodestra ma non confermano il trend spavaldo delle forze della destra più oltranzista in atto in Germania, Francia o Svezia. La sinistra comunque non ce la fa a mantenersi al potere.

Il paradosso è lampante e una vera analisi del voto per essere credibile dovrà essere condotta a freddo: la Spagna in effetti è governata bene, il bilancio di Sánchez è indubbiamente tra i migliori a livello continentale. Il Paese – come ricordava ieri in un editoriale il quotidiano ‘El País’ – è moderno, europeista, tollerante, rispettoso delle minoranze, impegnato nella lotta al riscaldamento globale. Con gli alleati di Sumar (coalizione succeduta al fallimentare Podemos, formata da una quindicina di formazioni di sinistra guidate dalla brillante ministra del Lavoro, la comunista Yolanda Díaz), lo Psoe ha aumentato del 47% il salario minimo, ha indicizzato le rendite pensionistiche all’inflazione, ha ridotto il precariato e – last but not least – è riuscito a pacificare la Catalogna dopo il tentativo insurrezionale del 2017. È forse l’intesa puntuale in parlamento con i partiti indipendentisti a esser in parte causa della perdita di consensi del presidente del governo.

Alberto Nuñez Feijóo, leader del Pp, ha estratto dal cilindro un neologismo poi utilizzato a ripetizione nei meeting elettorali, stigmatizzando il “sanchismo”, pratica politica che a suo giudizio è consistita nel governare a colpi di decreti-legge approvati dal legislativo unicamente grazie al sostegno delle forze politiche secessioniste. Sembrano tuttavia non aver funzionato i toni apocalittici degli estremisti di Vox: le denunce del loro leader Santiago Abascal contro il “feminazismo” o il “fanatismo climatico” hanno risvegliato solo qualche acidume vendicativo da parte di una frangia della popolazione che non si riconosce nel discorso di apertura di uno dei governi più progressisti. L’ostilità all’Ue, ribadita ad nauseam, cavallo di battaglia dell’ultradestra continentale, ha convogliato nelle urne i vari pruriti patriottici e anti-immigrati. Ma molto meno di quanto preventivato.

Il Paese appare spaccato. Da non sottovalutare, nella perdita di consensi del centrosinistra uscente, la punizione autoinflittasi da Podemos, partito imploso qualche mese fa per le estenuanti faide interne e le interminabili battaglie di ego, un ‘clásico’, sorta di marchio di fabbrica della sinistra. Ieri ‘El País’ annotava un sentimento di “vertigine elettorale”, immagine azzeccata alla luce dell’esito delle urne che traghetta il Paese dalla continuità progressista all’incertezza che, in assenza di una maggioranza chiara, potrebbe sfociare in nuove elezioni anticipate. Come nel 2015 e nel 2019.

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