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Amnesty non guarda in faccia a nessuno, ma può sbagliare

L’analisi dell’Iwpr: il rapporto di Ai ha una grande pecca, non considera che questa guerra è asimmetrica

L’esercito di Kiev avrebbe installato, in 19 villaggi e città, proprie strutture e unità in edifici civili
22 agosto 2022
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Finire nelle torbide acque delle manipolazioni, disinformazione, polemiche, non è una novità per Amnesty International (Ai). Che sia Israele con i palestinesi, Cuba con i dissidenti, l’Arabia Saudita, l’Iran o la Cina con la sventagliata di esecuzioni capitali, la Siria con gli oppositori seviziati o le torture con le quali le forze di occupazione americane hanno trasformato la prigione irachena di Abu Graib in un luna park dell’orrore, i rapporti di Amnesty vengono sistematicamente respinti al mittente. La forza dell’Ong, che nei 60 anni di vita si è conquistata una forte credibilità internazionale, si nutre della propria indipendenza ed è speculare alle critiche di governi e regimi: Ai non guarda in faccia a nessuno. Ciò non significa che a volte non possa prendere qualche pericolosa cantonata.

L’abbaglio, secondo molti critici, è contenuto nel rapporto, presentato a fine luglio, in cui Ai punta il dito contro le forze ucraine che metterebbero in pericolo la popolazione civile. In estrema sintesi: nelle regioni di Kharkiv, del Donbass o di Mykolaiv, l’esercito di Kiev avrebbe violato il diritto umanitario internazionale istallando, in 19 villaggi e città, proprie strutture e unità in edifici civili, ospedali, scuole. Il rapporto si basa su testimonianze dirette, rilevamenti degli inquirenti, immagini satellitari. Amnesty sostiene che ci sarebbero state alternative (spostando le istallazioni a qualche chilometro, sulla linea del fronte). Mosca applaude suscitando un tripudio di ola tra la sua eccitata tifoseria. Ai si schermisce, replica e precisa: "Nulla giustifica le violazioni russe. La Russia è l’unica responsabile delle violazioni commesse contro i civili ucraini". Ma ciò non basta: Kiev respinge con indignazione, il presidente Zelensky calca la mano "Amnesty riprende la narrazione dell’aggressore". L’Ong viene travolta da critiche ma anche da dissenso interno e dimissioni: sbatte la porta la presidente della sezione ucraina ma pure, dopo 60 anni di incessante attivismo, il cofondatore Per Wästberg, autorevole accademico svedese membro del comitato per il Nobel della Pace. Alcuni giornalisti presenti sul terreno (in Italia Tinazzi e Cremonesi) smentiscono Ai e raccontano quanto hanno potuto vedere coi loro occhi: gli ucraini hanno fatto di tutto per proteggere i civili, sfollandoli dalle aree pericolose, le scuole erano comunque chiuse, per difendere le città a loro giudizio sarebbe stato impossibile avanzare sulla linea del fronte dove i militari si sarebbero fatti massacrare.

L’analisi dell’Institute for war and peace reporting (Iwpr) entra nello specifico, strategico e giuridico: il rapporto di Amnesty ha una grande pecca, non considera che questa guerra è asimmetrica, il diritto internazionale umanitario deve tener conto di come ci si può muovere di fronte a un’aggressione unilaterale. Ai ha regolarmente dimostrato di essere al di sopra di ogni sospetto. Ma può ovviamente sbagliare. Di fronte a un crimine russo paragonabile alla spartizione della Polonia tra Stalin e Hitler (Noam Chomsky) con massacri, stupri e saccheggi, è opportuno indagare anche sugli aggrediti? Risposta a nostro giudizio affermativa, ma con la consapevolezza che errori anche importanti possono essere stati commessi. Sarà ora un panel esterno indipendente, incaricato dalla stessa Amnesty International, a tentare di dissipare gli innumerevoli dubbi.

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